La crisi greca
si agita su una tela di fondo, la Germania, di cui purtroppo non si mette a
fuoco la pericolosità. Di un’opinione pubblica che è stata condotta, da alcuni
partiti (la Csu, i Liberali, i neonazisti) e da alcuni giornali, in testa la
diffusissima”Bild”, a pensarsi derubata da questo o da quello. Dopo che la Germania ha messo mano a tutte
le risorse europee per salvare le sue banche sostanzialmente fallite nel 2007.
Valga come promemoria la rilettura di un estratto di “Gentile Germania” sulla
crisi (l’onorevole Dobrindt di cui nell’estratto era allora il segretario della
Csu, il partito cristiano-sociale, delfino di Schaüble, ed è ora ministro. Le
argomentazioni della destra tedesca contro la Grecia sono più violente, ma
analoghe a quelle esercitate contro l’Italia.
Giovanile,
velista, spigliato, un bavarese così raffinato da parere finto, Alexander
Dobrindt ha impazzato contro l’Italia per tutto il 2012, fino a Natale, nel
quadro d’una crociata anti-mediterranea, Spagna esclusa – per essere la Spagna
mezzo visigota? o mezzo atlantica: su che mare ha casa l’onorevole Dobrindt?
“Vedo la Grecia fuori dall’euro nel 2013”, confidò alla Bild alla vigilia delle ferie estive. Alla vigilia di Ferragosto
attaccò l’Italia sul Tagesspiel, pigliandosela
con Draghi, in quanto presidente Bce: “Salta
all’occhio che Draghi si attiva sempre e fa acquistare Btp dalla Bce ogni volta
che l’Italia è alle strette”. E intimandogli: “Decida da che parte sta: dalla
parte dell’Unione nella stabilità o da quella dei Paesi in crisi, che tentano,
zitti e mosca, di mettere le mani sui soldi dei contribuenti tedeschi”.
Il Tagespiel lo commentò con la prima del Giornale di Berlusconi: un QUARTO REICH a tutta pagina. Sommario:
“I no della Merkel e della Germania rimettono in gi-nocchio noi e l’Europa”. E
di spalla: “I tedeschi salvatori dell’euro? Macché, spende di più l’Italia”. Ma
niente, a fine mese Dobrindt tornò alla carica, precipitando un’altra crisi per
l’Italia e la Grecia, sempre via Bild,
in quattro punti: 1) “Più tempo per la Grecia significa più oneri per la
Germania. Non lo permetteremo . Ciò che ci vuole è una roadmap, che parta da un’ordinata uscita della Grecia dall’euro”;
2) Draghi, comprando titoli di paesi deboli, aiuta la speculazione e “fa della
Bce una banca dell’inflazione”: a) “La politica di Draghi è ad alto rischio,
per l’import trans-frontaliero del caro interessi”, b) “Draghi usa la Bce come
uno scambiatore, per trasferire denaro dai solidi Nord ai Sud deficitari”. A
novembre Dobrindt si ripeté, sempre con la Bild:
“Il condono del debito greco sarebbe la rottura degli argini”. Con scarso esito
a quel punto, la speculazione fu poco incisiva e Dobrindt sparì. Anche perché,
dopo tanto tuonare, lui stesso precisava: “Il salvataggio della Grecia costa al
contribuente tedesco per la prima volta soldi veri”.
A ottobre 2011,
per riaccendere la crisi che si affievoliva dopo la vendita dei Btp, il capo
economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer, pubblicamente aveva a-monito
contro ogni aiuto all’Italia. In una col presidente del Ces-Ifo di Monaco,
rinomato istituto di studi sulla con-giuntura, Hans Werner Sinn, che aveva
redatto e pubblicizzato una serie di note contro l’Italia, sul debito e le
banche. Con l’effetto non casuale di
mettere nel mirino le banche italiane, meglio gestite e capitalizzate delle
tedesche, elevando una cortina di fumo su quest’ultime, che erano tutte un
colabrodo, Deutsche inclusa. “Offrire un’assicurazione di prima categoria sui
titoli contro il fallimento dell’Italia ci colpisce come offrire
un’assicurazione sulla cristalleria al padrone di una casa prossima a un
impianto nucleare che sta per collassare”, scrisse Mayer online nel bollettino
della banca. Neppure con la garanzia del Fondo europeo di stabilizzazione: “Né
il padrone di casa né il detentore di titoli italiani si sentirebbero molto
sollevati da questa assicurazione”. Con spreco di distinzioni fra germanici e
latini.
Questi
personaggi non sono isolati. Sinn è pure più popolare dell’onorevole Dobrindt:
quando sparla dell’Italia ride. Nel 2013 ha avuto il premio Erhard per
l’economia “sociale di mercato”. Gliel’ha dato il dottor Mayer, per aver
sfidato il Fondo europeo di stabilizzazione e la stessa Bce alla Corte
costituzionale tedesca. Mentre periodicamente, per tutto il 2012, Jürgen Stark
scandiva su Handelsblatt, il Sole 24 Ore tedesco, la fine della Bce.
In odio a Draghi e all’Italia. Nel 2013 ha persistito: il 25 luglio annunciava
“il culmine dell’eurocrisi nel tardo autunno”, dopo le elezioni tedesche e la
pronuncia della Corte costituzionale. Stark, ex Bundesbank, membro del
direttivo Bce, s’era dimesso nel settembre 2011, in polemica con Draghi, prima
ancora che Draghi arrivasse. Nel 2013 sotto accusa di Sinn, Stark & co. fu
la Francia: un allargamento del fronte latino che non significava
un’assoluzione dell’Italia ma un aggiramento per un migliore sfondamento.
Il
governo Merkel-Schaüble s’è accreditato nella crisi come l’ultimo baluardo contro
un’insorgenza sciovinista e a difesa dell’euro. Ma è quello che ha condotto la
guerra all’Europa. Surrettiziamente, è vero. Nel 2011 che condannò l’Italia, il
23 ottobre, nel varco aperto s’è buttata Angela Merkel, che nel duetto
periodico con la spalla Sarkozy, una sorta di Stanlio e Ollio sull’abisso, si
esibì al vertice Ue nel dileggio dell’Italia. Voleva dall’Italia il taglio
annuo d’un trentesimo del debito, cinquanta miliardi per iniziare. Berlusconi
disse di no, fu deriso, e tra i lazzi perdette il posto. Monti pare si sia
impegnato al taglio di un ventesimo dal 2015, cento miliardi il primo anno – al
secondo saremmo tutti morti, come diceva Keynes. Che dirne? La Germania s’è
fatta furba: il Nuovo Ordine Euro-peo, senza Hitler, senza la guerra, senza il
razzismo, e con la democrazia, è qui. Il 19 giugno 2013 Schaüble attaccava
Draghi: la Bce non può comprare titoli del debito pubblico.
A fine maggio
del 2012 Thomas Mayer è stato licenziato. Una tavola da lui costruita per
dimostrare che Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia erano stati i
beneficiari dei finanziamenti europei tramite la Bce dimostrava l’opposto.
I
rifinanziamenti Bce sono andati per l’80-90 per cento ai paesi euro del Nord da
metà 2007 a metà 2009, e per il 60 per cento e oltre agli stessi paesi da metà
2009 a metà 2010. Quindi per tre anni, quando la stessa Deutsche Bank se la
vedeva brutta, e alcuni colossi olandesi, belgi, austriaci. Solo nei dodici mesi
successivi i Gip, Grecia, Irlanda, Portogallo, sono arrivati al 50 per cento –
Italia e Spagna ancora a ottobre 2011 non superavano il 5. Non era la sola
bizzarria del computo: i Gip erano arrivati al 50 per cento degli impegni Bce
quando questi erano stati ridotti, a 400-500 miliardi. Quando la Bce aiutava i
nordici l’impe-gno era sopra i 700 miliardi, in alcuni mesi sopra gli 800.
Il dottor Mayer
dimostrava cioè che per tre anni la Bce ha finanziato la galassia bancaria
tedesca. Forse per questo fu sostituito, dopo il supermanager Ackermann di cui
era stato il consigliere. Ma non cessò
di insistere. Allo Handelsblatt
a fine maggio 2012 spiegava: “Vedo l’Italia molto peggio della Spagna”. La cui
banche erano al fallimento in senso proprio, tecnico, con miliardi di metri
cubi già costruiti invendibili, un negozio chiuso su due, i disoccupati al 20
per cento, un’economia senza più credito.
Ma più che un
errore, quello di Mayer è stato il segno di una prepotenza. Della superiorità
naturale del Nord, della Germania, l’unico terreno della virtù. Veniva a completamento
di una battaglia serrata dell’opinione più qualificata in Germania, con accenti
diversi ma a un unico fine.
Ufficialmente la
Germania sosteneva, guardando ai saldi della bilancia interna della Banca
centrale europea, che la Bundesbank sopporta i costi maggiori della crisi.
Trovandosi per questo sovraesposta nei confronti del Sud Europa, dei paesi col
debito più alto, e quindi essa stessa a rischio contraccolpi. Era la tesi del
presidente della Bundesbank, Weidmann, e più ancora del beffardo Sinn. Mentre i
conti dicevano il contrario: il Sud Europa paga l’austerità, la Germania incassa,
e accumula attivi. Sono questi attivi fragili, a rischio cancellazione? Ma è la
Germania che ne blocca il bilanciamento, col no a una politica Bce espansiva e
il no agli stimoli alla sua domanda interna, malgrado un’inflazione zero e anzi
negativa, che consentirebbero più esportazioni – più lavoro, più reddito - ai
partner euro.
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