Ridotta dalla sociologia di caserma
a ballo mafioso, la tarantella “affascina” Ludovico Einaudi, che ne edita
un’antologia, “Taranta project”: “Una musica che ha un potere che è in grado di
curare. Il primo passaggio per entrare in questo stato alterato è il ritmo.
Trance o estasi, comunque la taranta ci offre un’elevazione rispetto al
quotidiano. Può accaderti in chiesa, in piazza, ma anche quando fai jogging”.
Il ballo (ritmo) e il sacro non è
una traccia molto lavorata. Ma è indubbio che in antico si legavano – come si
legavano fino a qualche anno fa, prima della modernizzazione, in Africa e in
Asia.
Dei 15 progetti di grandi opere da
cofinanziare da parte dell’Unione Europea con una diecina di miliardi, presentati
dal ministro Delrio, non uno a Sud. Nemmeno al Centro, tutti padani.
“Folla tenta di impedire l’arresto”
del boss della camorra Cuccaro. Avviene e Napoli o nei dintorni. Tg indignati: “Lo Stato qui è il nemico”, etc. Ma si vedono solo donne urlanti, non molte,
due o tre. Con mariti, fratelli, curiosi intenti a calmarle.
Il fatto è che la Polizia è arrivata con le telecamere, e quindi ci voleva la sceneggiata.
Il fatto è che la Polizia è arrivata con le telecamere, e quindi ci voleva la sceneggiata.
Paginate contro Vittorio Pisani quattro anni fa, il capo della
Mobile a Napoli, accusato di intrallazzi coi camorristi, che era il solo a
mettere dentro, e allontanato dalla cttà. Per Pisani assolto definitivamente
solo poche righe, in cronaca locale.
I giudici che hanno allontanato Pisani da Napoli, Sergio Amato e
Enrica Parascandolo, e il comando della Dia che ha creato le “prove”, invece hanno
fatto carriera. Ed è giusto, anche la camorra sta tranquilla:
Sempre
notabili
Emiliano, il giudice anti-Berlusconi che
d’Alema ha fatto per questo sindaco di Bari per dieci anni, e che ora con Renzi
si proietta per altrettanti alla regione Puglia, ha trovato un’amante
nell’addetta stampa del Comune, Elena Laterza. Onestamente, come dice , si è
separato dalla moglie, e convive con Elena Laterza come compagna in attesa del
divorzio. Convive felicemente, al punto che l’ha voluta a capo della direzione
stampa della Regione. E si meraviglia che qualcuno glielo rimproveri: “La legge
non me lo impedisce”, obietta.
Questo non è vero, la legge glielo impedisce per analogia con altre situazioni analoghe proibitissime, all’università e negli ospedali. Ma se anche la cosa è legale, non c’è un minimo di sensibilità?
Questo non è vero, la legge glielo impedisce per analogia con altre situazioni analoghe proibitissime, all’università e negli ospedali. Ma se anche la cosa è legale, non c’è un minimo di sensibilità?
È proprio vero che il problema del Sud è
un problema di classe dirigente. Di notabili sempre, che al meglio non rubano,
ma di nessun’altra sensibilità. Soprattutto di nessun rispetto per il
meraviglioso meccanismo accumulativo della democratizza: il Sud è “povero”
perché non è democratico.
Non si contano più le gaffes e gli imbroglietti del presidente
della Sicilia Crocetta. Che era quello che avrebbe dovuto rivoluzionare tutto.
In Calabria a dieci mesi dal voto il protonotabile del Pd Oliverio non ha
nemmeno costituito una giunta e non se ne preoccupa. Avrebbe l’obbligo di
governare, ma lui evidentemente è al di sopra dei doveri.
Si dice il bisogno. Ma la compagna di
Emiliano, con quel nome a Bari, non ha bisogno di mendicare un posto. No, è l’ubbia
del potere, il disfacimento è in questa malattia.
La
padrona fa la serva – turismo in Calabria
Non ne diremo il nome perché l’esercizio
è in attività – è sulla Tonnara di Palmi, una spiaggia omerica su un mare
cobalto di cristallo. Un angolo della Tonnara che porta entro il mare, e al
tramonto concilia con se stessi, soffice, luminoso, avvolgente. Guardando Capo
Faro e il profilo delle Eolie, di Stromboli e Vulcano. Apprestato anche con
gusto, tavoli semplici, pochi, entro un recinto appena accennato di losanghe di
legno grezzo, l’idillio si colora anche di agreste. Ma non viene nessuno.
Passa mezzora e andiamo a vedere. C’è
dentro una signora, che non saluta nemmeno, e dice secca: “Il servizio comincia
alle 8”, “Ma le 8 sono passate”. “C’è da aspettare”.
Aspettiamo. Alle 8,30 nessuno s’è fatto
vedere, torniamo a chiedere. A chiedere se non altro da bere. Ma la donna non
c’è più. Si rumoreggia, si chiede, ma nessuno si fa vedere. Torniamo a sedere
indecisi sul da farsi. Ed ecco una soluzione si prospetta: una donna robusta, che
sembra una cameriera. È una rumena, ma molto sgarbata. Prende le ordinazioni
senza dire né sì né no e scompare.
Alle 9 niente è arrivato. Torniamo dentro
– il percorso è disagevole perché c’è da attraversare la strada – a chiedere da
bere. La cameriera alza appena gli occhi dal cellulare, prende con l’altra mano le bottiglie e indica con la testa i bicchieri. Torniamo a sedere fiduciosi
ma alle 9.30 niente ancora è arrivato.
A questo punto il nervosismo è
incontrollabile. Ma un energumeno ci confronta dentro, un tunisino o egiziano,
che in genere sono miti, che a colpi di “vaffanculo” e “me ne fotto”
indirizzati a non si sa chi, alla rumena? alla padrona?, dice qualcosa come:
“Qui nessuno accende il forno e poi vogliono i piatti pronti”. L’idillio è
rotto, resta solo la morale – che la padrona fa la serva.
Non lavorare va bene, nessuno è mai
morto dalla voglia di lavorare. Ma fino a questo punto?
Il
turismo a noi – turismo in Calabria 2
Aldo Busi irritato in vacanza a
Malindi (“Sodomie in corpo 11”, p. 276) scopre che non c’è una pensione decente
tenuta dai locali: “Non una pensione decente retta da uno zio Tom a prezzi
convenienti. O le stelle o le stalle”..
È in sintesi, per altri motivi, lo stesso del turismo in Calabria. Che mai è decollato
– è solo un’ubbia per spendere milioni in “promozioni”. Forse perché non c’è
l’arte dell’accoglienza – c’è quella personale e familiare ma non quella professionale.
Forse perché non c’è costanza: il turismo richiede una lunga incubazione, soprattutto
è un rapporto di fiducia, e la fiducia va costruita. E d’altra parte la Calabria ha rifiutato, per vie legali e per vie abusive, il turismo bene organizzato dall’alto,
dalle società finanziarie o di settore, capaci di grandi investimenti e
di grandi movimentazioni. Come è stato per la Sicilia a fine Ottocento, e per
la Sardegna negli anni 1960.
Il “turismo a noi” è la ricetta del calabrese anarcoide. Per non farne nulla. O piuttosto per disperdere una miniera, invece di metterla a frutto.
Il “turismo a noi” è la ricetta del calabrese anarcoide. Per non farne nulla. O piuttosto per disperdere una miniera, invece di metterla a frutto.
Il
discorso del Sud
Paul Veyne, lo storico di Roma antica,
nel libro-testimonianza su Foucault, si chiede a un certo punto: “Da dove esce
questa determinazione suppostamente cieca che è il discorso?”. Il “dispositivo
conoscitivo” attraverso il quale si dipana l’archeologia del sapere: “Da dove
vengono le mutazioni misteriose del discorso attraverso i secoli? Provengono
semplicemente dalla causalità storica ordinaria e ben nota, che non cessa di trascinare
e modificare pratiche, pensieri, costumi, istituzioni, con i discorsi che non
fanno che accerchiare le frontiere”.
Il “discorso” è di Foucault ed è al
centro della sua “archeologia del sapere” – che lo ha portato a tanti
sorprendenti e veritieri lavori di scavo, sulla follia, la malattia, il
carcere, la sessualità, il piacere. “Termine scelto male”, lo dice Veyne, ma è
il quadro formale attraverso il quale conosciamo – il “dispositivo”: l’archeologo
Foucault si voleva alla ricerca di “dispositivi” piuttosto che di “strutture”,
che sanno di rigido e immobile.
Ma non è solo questo. Il discorso di Foucault è anche la frase fatta
o luogo comune di Flaubert, l’opinione di Nietzsche, la “rappresentazione”, lo
stereotipo. L’Idealtypus di Max Weber. La “cosa in sé” di Kant, riportata alla singolarità.
Mai definita ma sempre evocata lungo gli anni, “in termini di discorso, ma
anche di pratiche discorsive, di presupposti, di epistemè, dispositivi…”. Anche mobili, anzi “erranti”. Più o meno
analoghe ai modi (attributi) di Sinoza, alle monadi di Leibniz, ai multipli di
Platone. Le mutazioni sono ininterrotte nei secoli, benché misteriose.
Caratterizzazioni innovative dunque. Ma
anche, è da dire, statiche e regressive. Il discorso diventa più spesso
stereotipo, più falso che vero, prevenuto e non critico (analitico), e quindi
punitivo e non conoscitivo. Chiude e non apre. Senza essere migliorativo: non
se lo propone e non lo vorrebbe, essendo inteso a prevenire un raddrizzamento. È
il nido, coltivato, vezzeggiato, del pregiudizio.Come tutto, anche il Sud è un discorso - una narrazione, una rappresentazione. Ma restrittivo e punitvo - cattivo. È parte di un pregiudizio, e di una condanna ormai si può dire ancestrale. Al pari della squalifica del negro, del contadino (montanaro), dello sfortunato, della figlia femmina in certe culture, non remote. Essere meridionale è come essere latino negli Usa, paria in India, o italiano sopra le Alpi.
leuzzi@antiit.eu
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