giovedì 2 luglio 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (250)

Giuseppe Leuzzi

Ridotta dalla sociologia di caserma a ballo mafioso, la tarantella “affascina” Ludovico Einaudi, che ne edita un’antologia, “Taranta project”: “Una musica che ha un potere che è in grado di curare. Il primo passaggio per entrare in questo stato alterato è il ritmo. Trance o estasi, comunque la taranta ci offre un’elevazione rispetto al quotidiano. Può accaderti in chiesa, in piazza, ma anche quando fai jogging”.
Il ballo (ritmo) e il sacro non è una traccia molto lavorata. Ma è indubbio che in antico si legavano – come si legavano fino a qualche anno fa, prima della modernizzazione, in Africa e in Asia.

Dei 15 progetti di grandi opere da cofinanziare da parte dell’Unione Europea con una diecina di miliardi, presentati dal ministro Delrio, non uno a Sud. Nemmeno al Centro, tutti padani.

“Folla tenta di impedire l’arresto” del boss della camorra Cuccaro. Avviene e Napoli o nei dintorni. Tg indignati: “Lo Stato qui è il nemico”, etc. Ma si vedono solo donne urlanti, non molte, due o tre. Con mariti, fratelli, curiosi intenti a calmarle.
Il fatto è che la Polizia è arrivata con le telecamere, e quindi ci voleva la sceneggiata.

Paginate contro Vittorio Pisani quattro anni fa, il capo della Mobile a Napoli, accusato di intrallazzi coi camorristi, che era il solo a mettere dentro, e allontanato dalla cttà. Per Pisani assolto definitivamente solo poche righe, in cronaca locale.

I giudici che hanno allontanato Pisani da Napoli, Sergio Amato e Enrica Parascandolo, e il comando della Dia che ha creato le “prove”, invece hanno fatto carriera. Ed è giusto, anche la camorra sta tranquilla:

Sempre notabili
Emiliano, il giudice anti-Berlusconi che d’Alema ha fatto per questo sindaco di Bari per dieci anni, e che ora con Renzi si proietta per altrettanti alla regione Puglia, ha trovato un’amante nell’addetta stampa del Comune, Elena Laterza. Onestamente, come dice , si è separato dalla moglie, e convive con Elena Laterza come compagna in attesa del divorzio. Convive felicemente, al punto che l’ha voluta a capo della direzione stampa della Regione. E si meraviglia che qualcuno glielo rimproveri: “La legge non me lo impedisce”, obietta.
Questo non è vero, la legge glielo impedisce per analogia con altre situazioni analoghe proibitissime, all’università e negli ospedali. Ma se anche la cosa è legale, non c’è un minimo di sensibilità?
È proprio vero che il problema del Sud è un problema di classe dirigente. Di notabili sempre, che al meglio non rubano, ma di nessun’altra sensibilità. Soprattutto di nessun rispetto per il meraviglioso meccanismo accumulativo della democratizza: il Sud è “povero” perché non è democratico.
Non si contano più le gaffes e gli imbroglietti del presidente della Sicilia Crocetta. Che era quello che avrebbe dovuto rivoluzionare tutto. In Calabria a dieci mesi dal voto il protonotabile del Pd Oliverio non ha nemmeno costituito una giunta e non se ne preoccupa. Avrebbe l’obbligo di governare, ma lui evidentemente è al di sopra dei doveri.
Si dice il bisogno. Ma la compagna di Emiliano, con quel nome a Bari, non ha bisogno di mendicare un posto. No, è l’ubbia del potere, il disfacimento è in questa malattia.

La padrona fa la serva – turismo in Calabria
Non ne diremo il nome perché l’esercizio è in attività – è sulla Tonnara di Palmi, una spiaggia omerica su un mare cobalto di cristallo. Un angolo della Tonnara che porta entro il mare, e al tramonto concilia con se stessi, soffice, luminoso, avvolgente. Guardando Capo Faro e il profilo delle Eolie, di Stromboli e Vulcano. Apprestato anche con gusto, tavoli semplici, pochi, entro un recinto appena accennato di losanghe di legno grezzo, l’idillio si colora anche di agreste. Ma non viene nessuno.
Passa mezzora e andiamo a vedere. C’è dentro una signora, che non saluta nemmeno, e dice secca: “Il servizio comincia alle 8”, “Ma le 8 sono passate”. “C’è da aspettare”.
Aspettiamo. Alle 8,30 nessuno s’è fatto vedere, torniamo a chiedere. A chiedere se non altro da bere. Ma la donna non c’è più. Si rumoreggia, si chiede, ma nessuno si fa vedere. Torniamo a sedere indecisi sul da farsi. Ed ecco una soluzione si prospetta: una donna robusta, che sembra una cameriera. È una rumena, ma molto sgarbata. Prende le ordinazioni senza dire né sì né no e scompare.
Alle 9 niente è arrivato. Torniamo dentro – il percorso è disagevole perché c’è da attraversare la strada – a chiedere da bere. La cameriera alza appena gli occhi dal cellulare, prende con l’altra mano le bottiglie e indica con la testa i bicchieri. Torniamo a sedere fiduciosi ma alle 9.30 niente ancora è arrivato.
A questo punto il nervosismo è incontrollabile. Ma un energumeno ci confronta dentro, un tunisino o egiziano, che in genere sono miti, che a colpi di “vaffanculo” e “me ne fotto” indirizzati a non si sa chi, alla rumena? alla padrona?, dice qualcosa come: “Qui nessuno accende il forno e poi vogliono i piatti pronti”. L’idillio è rotto, resta solo la morale – che la padrona fa la serva.
Non lavorare va bene, nessuno è mai morto dalla voglia di lavorare. Ma fino a questo punto?

Il turismo a noi – turismo in Calabria 2
Aldo Busi irritato in vacanza a Malindi (“Sodomie in corpo 11”, p. 276) scopre che non c’è una pensione decente tenuta dai locali: “Non una pensione decente retta da uno zio Tom a prezzi convenienti.  O le stelle o le stalle”.. È in sintesi, per altri motivi, lo stesso del turismo in Calabria. Che mai è decollato – è solo un’ubbia per spendere milioni in “promozioni”. Forse perché non c’è l’arte dell’accoglienza – c’è quella personale e familiare ma non quella professionale. Forse perché non c’è costanza: il turismo richiede una lunga incubazione, soprattutto è un rapporto di fiducia, e la fiducia va costruita. E d’altra parte la Calabria ha rifiutato, per vie legali e per vie abusive, il turismo bene organizzato dall’alto, dalle società finanziarie o di settore, capaci di grandi investimenti e di grandi movimentazioni. Come è stato per la Sicilia a fine Ottocento, e per la Sardegna negli anni 1960.
Il “turismo a noi” è la ricetta del calabrese anarcoide. Per non farne nulla. O piuttosto per disperdere una miniera, invece di metterla a frutto.

Il discorso del Sud
Paul Veyne, lo storico di Roma antica, nel libro-testimonianza su Foucault, si chiede a un certo punto: “Da dove esce questa determinazione suppostamente cieca che è il discorso?”. Il dispositivo conoscitivo attraverso il quale si dipana l’archeologia del sapere: “Da dove vengono le mutazioni misteriose del discorso attraverso i secoli? Provengono semplicemente dalla causalità storica ordinaria e ben nota, che non cessa di trascinare e modificare pratiche, pensieri, costumi, istituzioni, con i discorsi che non fanno che accerchiare le frontiere”.
Il “discorso” è di Foucault ed è al centro della sua “archeologia del sapere” – che lo ha portato a tanti sorprendenti e veritieri lavori di scavo, sulla follia, la malattia, il carcere, la sessualità, il piacere. “Termine scelto male”, lo dice Veyne, ma è il quadro formale attraverso il quale conosciamo – il “dispositivo”: l’archeologo Foucault si voleva alla ricerca di “dispositivi” piuttosto che di “strutture”, che sanno di rigido e immobile.
Ma non è solo questo. Il discorso di Foucault è anche la frase fatta o luogo comune di Flaubert, l’opinione di Nietzsche, la “rappresentazione”, lo stereotipo. L’Idealtypus di Max Weber. La “cosa in sé” di Kant, riportata alla singolarità. Mai definita ma sempre evocata lungo gli anni, “in termini di discorso, ma anche di pratiche discorsive, di presupposti, di epistemè, dispositivi…”. Anche mobili, anzi “erranti”. Più o meno analoghe ai modi (attributi) di Sinoza, alle monadi di Leibniz, ai multipli di Platone. Le mutazioni sono ininterrotte nei secoli, benché misteriose.
Caratterizzazioni innovative dunque. Ma anche, è da dire, statiche e regressive. Il discorso diventa più spesso stereotipo, più falso che vero, prevenuto e non critico (analitico), e quindi punitivo e non conoscitivo. Chiude e non apre. Senza essere migliorativo: non se lo propone e non lo vorrebbe, essendo inteso a prevenire un raddrizzamento. È il nido, coltivato, vezzeggiato, del pregiudizio.
Come tutto, anche il Sud è un discorso - una narrazione, una rappresentazione. Ma restrittivo e punitvo - cattivo. È parte di un pregiudizio, e di una condanna ormai si può dire ancestrale. Al pari della squalifica del negro, del contadino (montanaro), dello sfortunato, della figlia femmina in certe culture, non remote. Essere meridionale è come essere latino negli Usa, paria in India, o italiano sopra le Alpi.
 

leuzzi@antiit.eu

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