“L’Europa per i greci non è mai esistita”, il settimanale “Lettura”
fa dire a Roger Crowley. Lo storico del Mediterraneo (“La caduta di
Costantinopoli”, “Imperi del mare”, “City of Fortune”, cioè Venezia) non dice
questo, dice anzi l’opposto, della Grecia avamposto avanzato e isolato nel
Medio Oriente: “La crisi di Atene dimostra che un’Europa unita probabilmente non
esiste”, dice Crowley a Davide Frattini, “e forse per la Grecia non èè mai
esistita” – l’Europa unita, non l’Europa.
La Grecia, dice ancora Crowley, è “un
paese in cui molti ricordano con la stessa emotività di 800 anni fa il sacco di
Costantinopoli da parte de Crociati”. Vittima della divisione delle chiese, latina
e ortodossa. Questo è possibile, il fatto è vero. Ma lo scisma non ha nulla di
non ricomponibile - omessa la superiorità papale, sempre più evanescente.
Quanto
ha pesato l’immagine di un paese solare e pulito, ordinato, in pace con se
stesso malgrado l’impoverimento, ragionativo, misurato anche nelle polemiche, e
bello, quella della Grecia nei tg e nei giornali anche più acuminati contro la
Grecia, in Germania e affini, tra le brume dal Brennero in su, nell’odio contro la Grecia
stessa, l’insofferenza, l’invidia?
“Erano gli abitanti dei villaggi calabresi
a vivere nel terrore dei pirati musulmani”, dice Crowley a Davide Frattini su “Lettura”,
per dire delle situazioni instabili e degli incroci ricorrenti nel
Mediterraneo, “costretti a fuggire dalla costa per non essere rapiti e resi
schiavi”. È vero, la fuga è durata fino a un secolo fa. Ma nessuno storico ne
ha fatto la storia, non in Italia, non in Calabria.
Bergamotto-Bergamo, twitta qualcuno.
Come non averci pensato? Magari la coltura sarebbe stata difesa a Bruuxelles.
Il
cugino di Torino – o della deprecazione
Il Sud si depreca. Il mare è sporco. Il
cielo è troppo azzurro. Fa troppo caldo – anche troppo freddo. Gli ospedali
sono fabbriche di morte – solo a Milano si muore con prestigio in ospedale. E
sulle strade si muore, al Sud. La lista è interminabile: non c’è un cosa buona
al Sud, nemmeno la pizza, e tutto quello con cui il meridionale s’imbatte è
deprecabile – s’imbatte al Sud, altrove in genere è entusiasta, è di bocca
buona: il meridionale è il “cugino di Torino” del compianto Mario Bagalà, che
tutto trova meglio appunto a Torino.
Non tutto il Meridione è depresso, una buona
parte continua a godersela. Tristi sono gli intellettuali in genere, e la
classe media che, avendo viaggiato e visto cose, sa come va il mondo.
Tuutto bene, ognuno sa quello che fa. Se
non che questi stessi, intellettuali e viaggiati, sono anche quelli che fanno
le spese del leghismo imperante, agli altri non gliene frega nulla delle
intemperanze padane – “sono malumori passeggeri, o allora vaffa”. C’è già
qualcosa che non funziona nella deprecazione.
Ma c’è di peggio: gli stessi tristi sono le vittime prime della
deprecazione. Vittime magari inconsapevoli, ma in una sorta di automartirio. Fungono
infatti da esche ai pescicani leghisti.
Il più vorace di questi, la colonna del
“Corriere della sera” Gian Antonio Stella, non gliene lascia passare una: appena
i neonotabili accennano una lamentela, zacchete, Stella la promuove al
“Corriere della sera”. L’ultima riguarda le didascalie del Museo archeologico di
Reggio Calabria. Una raccolta unica oltre che affascinante, che però avrebbe le
didascalie vergate (a mano o al computer? non viene detto) su pezzi di carta invece
che appropriatamente stampate, su cartoncino, come si deve. “Pizzini”, li rubrica
Stella, con un che di mafioso dietro cioè, e li denuncia sul “Corriere della
sera” – il pezzo è “troppo”, per non essere letto per intero nella sua beffarda
ipocrisia (il “Corriere” online risparmia sull’archivio, ma la denuncia si può trovare
ovunque in rete: “Al museo di Reggio tra pizzini e archeologia”).
Un altro avrebbe argomentato che le Sovrintendenze,
cui purtroppo il Museo di Reggio è delegato, sono incapaci a gestire alcunché.
Ma magari il\la sovrintendente di Reggio Calabria è amico\a degli Indignati del
“Quotidiano di Calabria” e del “Corriere della Calabria”, che il misfatto hanno
denunciato e dalla cui indignazione prende l’aire Stella, e di questo non si
parla – il misfatto “lo denunciano furenti, meritoriamente, giornalisti e
archeologi calabresi”, specie diffuse com’è noto in Calabria, “su giornali
calabresi come” i summenzionati, ma evidentemente non furenti abbastanza.
Oppure la storia si potrebbe prendere
per l’altro verso: in Calabria le cose vano talmente bene che i suoi giornali
non trovano di che occuparsi, se non delle didascalie dell’Archeologico. Che ci
sia un presidente della Regione che a otto mesi dall’elezione non sia riuscito
nemmeno a varare una giunta, di questo per esempio non si parla - Oliverio è un
compagno e un presidente, è sempre stato preidente di qualcosa, e potrebbe
ricordarsene.
Questo Stella si sarà occupato una
decina di volte dell’Archeologico di Reggio nell’ultimo anno o due. Forse per
questo, per la fatica di tanta applicazione, non ha mai scritto niente – e
nemmeno il suo giornale per la verità – dei Nuovi Uffici di Firenze per
esempio. Il misfatto dei misfatti delle Sovrintendenze. Un appalto del 2006,
che si doveva completare nel 2011, per
il centocinquantenario dell’unità, e si completerà nel 2019, forse, più
probabile per l’Olimpiade del 2024, se sarà in Italia, per una spesa che non si
sa a quanto ammonti (ma si sa. un centinaio di milioni, finora).
Il
delitto è istituzionale più che antropologico
Il senatore dipietrista De Gregorio, che
si è fatto dare da Berlusconi tre milioni per votare contro la sua maggioranza,
ha successivamente ricattato Berlusconi, con altre richieste. Poiché non è
stato ”nemmeno ricevuto”, come afferma ora, ha deciso di “collaborare con gli
inquirenti” napoletani. Cioè di denunciare Berlusconi. Per questo Berlusconi è
stato condannato a Napoli. Prontamente, e giustamente: il delitto non c’è (i
soldi erano suoi, di Berlusconi, il prezzo della corruzione non era una prebenda
come si suole in questi casi, la presidenza di un ente pubblico, una fondazione,
un istituto) ma la dabbenaggine di Berlusconi è a questo punto criminale. Se
non che De Gregorio invece è stato praticamente assolto: ha patteggiato una
pena che non gli verrà nemmeno iscritta nel casellario giudiziale, e si è
tenuto i soldi del mercimonio.
Il caso è anzitutto di giustizia
“napoletana”, di paglietta per i quali tutto vale. Benché di giudici quasi
tutti figli d’arte - giudice il padre giudice il figlio - naturalmente non
raccomandati. Pagare uno con soldi
propri è un reato, pagarlo coi soldi pubblici (la presidenza, etc.) no.
Un’accezione sbirresca della giustizia, nemmeno molto legale. Dove si combatte
il malaffare?
Si può anche arguire che quello dei
pentiti è un fatto anomalo in una situazione anomala. Un’eccezione alla giustizia
per ragioni di ordine pubblico. Se non che questa eccezione è da un trentennio
circa tutta la giustizia. Privilegiata
su ogni altra forma. La corruzione, cioè.
Sostenere che l’apparato repressivo sia
la causa prima della delinquenza diffusa sembra ardito, ed è comunque difficile da provare – le “prove” ce
le hanno “loro”. Ma va nel senso comune, dell’esperienza quotidiana.
È però un fatto che la giustizia è un
fatto di governo. Di leggi e di carabinieri. E che non ci sono popolazioni più
miti di quelle meridionali, dove però allignano le mafie. E allora?
Commisso
in Calabria e fuori
Rocco Commisso vene celebrato dal
“Corriere Economia” per aver fondato Mediacom, l’ottavo operatore tv Usa via
cavo, che gestisce, con internet superveloce. Emigrato da Marina di Gioiosa
Jonica nel 1962 a dodici anni, figlio di un falegname, ha fatto gli studi d’ingegneria alla Columbia, compreso il
master, con una borsa di studio in quanto calciatore, per rafforzare la squadra
di calcio del’università.
“Da bambino in paese ho imparato a suonare la
fisarmonica e a giocare al calcio”, spiega: “Grazie alla musica mi hanno
accettato in un’ottima scuola nel Bronx (sic!.), e grazie al calcio ho ottenuto
una borsa di studio alla Columbia”. Ma molto quadrato, evidentemente, di suo.
I Commisso rimasti a Gioiosa Ionica
sono, secondo il “Quotidiano di Calabria”, “una potente ed efferata famiglia di
‘ndrangheta operante nella Locride e in Canada”. Alleati dei De Stefano, Piromalli, Bardellino, Aquino, Costa - nonché
dei Greco e dei Corleonesi da tempo estinti. Insomma gente quadrata. Cambia
solo il quadro d’insieme.
leuzzi@antiit.eu
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