lunedì 27 luglio 2015

Brecht censurato

Asor Rosa lo vuole tribuno: “Mettersi in una tribuna” sarebbe il proprio di Brecht. E negli “elogi” politici, del partito, di Lenin (quello di Stalin è omesso), lo è, temi e ritmi sloganistici, di propaganda. Brecht è propriamente il contrario, uno poco affidabile, troppo pieno di umori, e soprattutto ragionativo. Anche in questa silloge di “poesie politiche” che Enrico Ganni ha enucleato con voluminose censure. Iconografico, essenziale sempre, apodittico, è pur Brecht - qui Asor Rosa ci azzecca: “La forza della persuasione non fonda sullo sviluppo illimitato del ragionamento”. È però vero che la raccolta sembra di voci dall’aldilà, morte. Ingombranti, poiché se ne fa lantologia. Di più l’introduzione di Asor Rosa, per quanto simpaticamente alla mano.
I revenant esistono, se possono così assediarci, ingombranti, padronali. Asor Rosa che annette il brechtiano Fortini al suo personale, corrotto, progressismo non sembra vero, e invece non esita. Ma anche Brecht non fa mancare il suo contributo, a questo convegno di fantasmi. Con cadute ripetute, rimarchevoli, di sensibilità, affini all’invidia, e di tono. Nel lungo poema contro New York dopo il crac del 1929, tanto più incomprensibile per uno già “americano” di fatto, seppure obbligato dall’esilio, che tentava la scalata a Hollywood. O contro Thomas Mann, sempre verbosamente, colpevole di avere accettato l’allungamento della prescrizione dei crimini di guerra tedeschi: una questione di cui bisogna avere presenti complesse pieghe giuridiche per capirne il senso (è propaganda), ma tanto basta per dire Mann “quest’uomo corrotto dalla sua corruzione”.
C’è un prima e c’è un dopo nel Brecht politico. Dopo è dopo la guerra, la poesia della guerra fredda, dell’ingombrante stalinismo che l’antologia omette ma che per questo di più incombe, opportunista e spietato, riverberando una luce non simpatica. Mentre Brecht non ha bisogno di omissioni.. Bolso è semrpe . nell“impegno” politico. Da sempre, e più qui dal compitino, già nel 1932, delle “Ninne-nanne”. O quando prende la “posizione”, come argomenta Asor Rosa, il “punto di vista” dell’operaio, del disoccupato, della donna, dell’emarginato, che erano invece “la linea” del partito.
Non un monumento? Oppure sì? Questo Brecht politico è la sua macchietta – un altro Brecht lo smonterebbe facile. Ganni, curando l’antologia, evita il peggio – c’è Lenin, sono svaniti Stalin e il Partito, e anzi la scelta ne fa quasi un libertario. Ma, si fiuta, si sa, manca la politica del dopoguerra - un sottotitolo sarebbe stato necessario “(1922-1943)”. Se non per due brevi testi di propaganda. Uno è il famoso “La soluzione”: poiché il popolo non può sciogliere il governo, perché non sciogliere il popolo, ed eleggerne un altro? – molto Brecht, appuntito, ma la soluzione, che s’intendeva di Bonn, della Germania Ovest, ora si rilegge applicandola a quella dell’Est, che Brecht celebrava. L’altro è la “Preghiera dei bambini”, che quin non è spiegato, se non con un secco rinvio a un “Rapporto Hernnburger”, e vale la pena scoprire: lo “Hernnburger Bericht” è un oratorio instant di Brecht, con musiche di Paul Delvau, composto subito dopo il Primo Maggio 1950, quando diecimila giovani tedeschi dell’Ovest, della federazione giovanile del partito Comunista, poi disciolto, che s’erano recati a Berlino Est a una manifestazione, furono trattenuti al ritorno per due giorni al posto di frontiera di Lubecca-Hernnburg, in cerca di “materiale di propaganda” - un caso che il governo di Pankow agitò molto, come della “barbarie di Bonn”.
Un’antologia sghemba dunque, senza il Brecht araldo di regime, “funzionario” anzi mediocre. Che nel “Povero B.B.”, pezzo forte anche di questa antologia, si presenta così: “Nelle mie sedie vuote, a dondolo, il mattino\ Ogni tanto ci metto qualche donna.\ E le contemplo indifferente e dico:\ Ecco voi su di me non potere contare”. “Qualche donna”, “indifferente”. Per subito dopo lamentare, dopo gli abeti che “pisciano nella prima foschia”, e “i loro parassiti, gli uccelli, che strillano”: “Quali tempi sono questi, quando discorrere d’alberi è quasi un delitto”. Anche neghittoso, asociale.
Ma con Brecht la museruola è difficile. Di suo sempre agitatore possente, in quanto genio del paradosso, che scuote le più robuste fondamenta. Molte ballate sono dei gioielli, anche se le rime, irriproducibili, ne sono l’elemento essenziale, la cantabilità – delle ballate come di tutta la sua poesia, rigorosamente a rima alternata, implacabile come un’ottava siciliana, da cantastorie. Sempre vivi, sferzanti, gli epigrammi – anche un dantesco: “Gli Oberen\ si sono riuniti in una stanza\ Uomo della strada,\ Lascia ogni speranza”. 
“E che venne alla donna dal soldato?” agghiaccia ancora: nel 1941, 1942, la Germania era a Praga, “l’antica capitale”, a Oslo “sul Sund”, nella “ricca Amsterdam”, a Bruxelles dai “fini merletti”, a Parigi “la ville lumière”, nella “meridionale Bucarest”, e per fortuna, la guerra altrimenti era vinta, nel “freddo paese dei russi” – “Di Russia le venne il velo di vedova”.
Bertolt Brecht, Poesia politiche, Einaudi pp.303 € 12

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