“Più debole delle nubi! Più leggero del
vento.\ Non visibile! Leggero, abbrutito e maestoso come\ una poesia delle mie,
volavo per il cielo”: Brecht sa presto cosa è e vuole, di levità, si direbbe
con una parola di moda, francescana. Esordisce con questa raccolta di culto,
ventinovenne nel 1927 - ma già autorevole editore di se stesso (aveva avuto il premio
Klaist col suo se condo dramma, “Tamburi nella notte”, cinque anni prima). Con
in più le tracce evidenti della collaborazione con Karl Valentin, clown e
cabarettista politico.
Gli umori sono qui, più che nelle
successive raccolte, liberi dagli impegni di partito. Ma con una presenza
prevalente, tra i sarcasmi e le fantasie, della morte. Soprattutto nella
seconda sezione, gli “Esercizi spirituali”. Infanticidi, parricidi, assassini,
suicidi, risuscitati, sono di morte due componimenti su tre. La morte è un
ritornello già dai tempi felici dell’irrisione. Quanto all’albero Griehn,
sopravvive al “clamore della tempesta” vorticosa “solo grazie alla sua
inesorabile\ docilità”- si salva il servo?
È difficile catalogare Brecht, anche
politicamente malgrado tutto: fu un libertario, e un liberticida. Gli “Esercizi
spirituali” (Brecht fu a battesimo e catechismo con la madre luterana, ma il
padre era cattolico, e anche la città, Augusta, e le tracce di chiesa sono
molto presenti, una delle sue note caratteristiche) sono una sezione che “si
rivolge più che altro all’intelligenza”, da leggere quindi lentamente e più
volte, “non mai senza candore”. Piena di ballate, satiriche, malinconiche,
storiche, è la sezione successiva delle
“Cronache”, sempre cantabili. Tutte per qualche ragione giustamente famose:
l’amicizia, la povera donna, la virtù, e ancora l’eroismo (“Mazeppa”), ma
solitamente rovesciato rispetto ai componimenti scolastici bellicisti.
L’ultima ballata, che è la prima
scritta, nel 1918, a quella ancora in corso, quella del “Soldato morto”, è una
satira cattiva del milite ignoto che le autorità disseppelliscono e
risuscitano, per rafforzare i ranghi nella marcia gloriosa delle truppe, benché
sconfitte. E ovunque aforistico, non tralascia la battuta – “L’impudicizia ha
spesso addolcito la nostra innocenza”. Nella “Lista dei desideri”, uno degli
“Esercizi spirituali”, “delle storie” chiede “quelle incomprensibili”.
Si ristampa l’edizione di cinquant’anni
fa. Qualche nota, magari un’altra introduzione, non avrebbe fatto male, Brecht
non è poeta lirico-idilico, non si esaurisce nella parola. E d’altra parte è
sempre difficile, anche qui, apprezzare Brecht in traduzione, dato che la sua
poesia si basa sulla rima – solo il povero, der
Arm, non vuole rima. Roberto Fertonani, cui si deve questa traduzione, nel
1964, supplisce alla rima con assonanze e consonanze, tenendo fermo l’impianto
metrico. Un grosso lavoro, ma non è la poesia di Brecht.
Bertolt Brecht, Libro di devozioni domestiche, Einaudi, orig. a fronte, pp. 238 €
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