Le ultime sono toccanti. Sono di Campana, senza risposta. Altre ce ne sono, vere
lettere d’amore, gioiose e disperate, nei mesi precedenti – poche, Sibilla
curava solo se stessa – sempre di Campana. Il resto è di una passione
incredibilmente artificiosa. Incredibile, cioè, che quella voluta da Sibilla Aleramo
col poeta dei “Canti orfici” sia passata per una grande e tragica storia d’amore.
Tragica sì, ma per Campana.
Una scrittrice famosa, con mezzi, introdotta
a Firenze, Milano e Roma, amante delle avventure d’amore, e un poeta outsider molto
isolato e un po’ disadattato, che amici e estimatori, tiepidi, si limitano a
sopportare. E mai un segno di generosità, altruismo, sollecitudine. Salvo
sfruttarne la memoria quando il poeta sarà apprezzato postumo, molto dopo la morte,
e dopo quindici anni di abbandono in manicomio. Da ultimo con questa raccolta
di lettere. Che si rilegge con tristezza, come un’ulteriore violenza al poeta.
La curatela è di Bruna Conti, con qualche
svarione e senza contesto, senza nemmeno riferimenti alle precedenti edizioni
di Niccolò Gallo e Franco Matacotta, se non per varianti insulse, coma una “vera
e pura” storia d’amore, e la violenza si raddoppia. Bruna Conti, artefice della
persistente considerazione della Aleramo, in prosa, in versi e in epistolari, fu
partigiana valente nel 1944-45, e poi compagna del migliore forse dei capi partigiani,
Luigi Longo, e non si capisce come si sia potuta dedicare una vita a un persona
e scrittrice artificiosa da tutti i punti di vista. Se non per il motivo che
Aleramo volle essere anche comunista, e lasciò erede delle sue cose il Partito.
Non si spiega altrimenti il mito di un personaggio e una scrittrice mediocre –
anche “Una vita”, il selfie del
fulminante esordio, è a rileggerlo falso, come aveva fiutato Croce. Tenuto in
vita dagli Editori Riuniti prima, la casa editrice del Pci, con Gallo, Claudio
Rendina e la Fondazione Gramsci, poi da Feltrinelli - Campana verrà scoperto da
Enrico Falqui, che però è trascurato in questa e altre pubblicazioni: perché
non era del Pci?
Una storiaccia. Un assedio più che una
corrispondenza, posto e levato all’improvviso. Alla prima crisi, a Marina di
Pisa, dove l’aria di mare acuisce i sensi di Dino, che non sopporta più le
infedeltà e le menzogne di Sibilla, lei lo abbandona, “spossata”. Dopo due mesi
di “eterno amore”. Campana la cercherà ancora, pur definendola giustamente “troia”
- per i rapporti che intrattiene con gli amici-nemici fiorentini di Campana (Papini
e Soffici si perdettero senza sensi di colpa il primo manoscritto dei “Canti
orfici”, senza anzi nemmeno cercalo – verrà ritrovato in casa di Soffici sessant’anni
dopo, allo sgombero), oltre che con passati amanti, tra essi un diciassettenne.
Da lei nemmeno una cartolina postale, solo un immediato sfruttamento della
storia coi comuni corrispondenti, in cerca di compassione, ospitalità, e
appoggi editoriali. Un romanzetto, nemmeno romantico, né solforico. Solo artefatto
– Campana l’ha intuito, che le scrive timoroso: “Voi non mi farete forse più
soffrire, non mi romanzerete, sarete meglio di una romanziera, è vero?”. Sibilla
si dice subito “il primo e ultimo amore” del poeta, lo stile è questo. Senza
echi nell’opera di Campana. Ma sulla sua salute sì, se volessimo fare la storia
vera.
Sibilla
Aleramo-Dino Campana, Un viaggio
chiamato amore. Lettere 1916-1918
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