Un’Europa
più piccola ma tedesca? Perché no, una marca Europa. Perché altrimenti il governo tedesco, Angela
Merkel e socialdemocratici insieme, alimenterebbero la crisi della Ue, se non
nel quadro di una piccola Ue germanica?
La
progettualità non è attribuita dai biografi e analisti alla cancelliera, che si
dice anzi troppo fattuale, una che vive alla giornata, del “poco e tardi”. Ma questo
non sempre è vero. Come si impadronì della Cdu, il partito democristiano
tedesco, pur non essendo nessuno, senza base elettorale e senza seguito nei
ranghi del partito, fa impallidire il più aggressivo Renzi. Lo stesso l’alternanza
disinvolta tra coalizion di governo, con la sinistra e
alternativamente con la destra, sempre con lei alla guida. O l’appropriazione
disinvolta dei temi politici e elettorali della sinistra.
La
Ue nella crisi è già diventata tedesca – si tratterebbe a questo punto solo di
decidere chi si fa fare e chi no. La nuova istituzione, il Fondo Salvastati, per
oltre il 25 per cento di proprietà tedesca, presidiato da un fedelissimo di
Angela Merkel, Regling, non può funzionare se non previa indicazione del
Bundestag, la camera dei Deputati tedesca. E gli statuti della Banca centrale
europea di Draghi sono stati piegati alle indicazioni della Bundesbank – mentre
prima ai consiglieri d’amministrazione designati da Bundesbank si indicava la
porta quando s’impennavano. La prima e finora unica indicazione della Bce
sull’Ela, la liquidità di emergenza in favore delle banche greche, è presa tal
quale dalla Bundesbank: nessuna liquidità aggiuntiva. L’Ela è “un aiuto di
Stato se non è pienamente garantita dal collaterale, al quale si siano applicati
appropriati riduzioni in base alla sua qualità e al valore di mercato” – in
chiaro: la Bce si paga ottimi interessi sul debito greco in suo possesso, 27 miliardi,
ma per estenderne gli acquisti vuole “garanzie estese”. Si riserva cioè di
rivalutarlo al ribasso (questo naturalmente non si fece nel 2007-2009, quando
la Bce salvò letteralmente le banche tedesche).
D’altra
parte, la Germania viene da prima di Angela Merkel e va oltre. Viene dalla
riunificazione, un evento assurdamente sottovalutato fuori della Germania, che
ne ha mutato la natura rispetto alla Repubblica Federale di Bonn, niente di
meno. Meglio: ha riportato la Germania a un momento prima delle guerre
disastrose avviate un secolo fa, alla “borghesia soddisfatta” di Nobert Elias.
È
d’altronde un’Europa totalmente germanica quella che viviamo in questi anni. La
cancelliera decide per tutti, in più momenti topici. Il governo greco del 2010,
quello italiano l’anno dopo, con precise indicazioni a Napolitano, vari governi
in realtà marginali per la nostra opinione, ma non negli equilibri della Ue, Austria,
Finlandia, Olanda, perfino la Polonia. È tedesca o assimilata la enorme influente
burocrazia di Bruxelles. Sono tedeschi o assimilati i vertici delle istituzioni
europee, tutti. Quando Merkel va a Parigi, da Hollande come da Sarkozy, è solo
per farsi cauzionare, non per discutere: su nessuna questione la Francia da
molti anni ormai, già dagli ultimi tempi di Mitterrand, ha deciso invece della
Germania.
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