martedì 7 luglio 2015

La marca Europa

Un’Europa più piccola ma tedesca? Perché no, una marca Europa. Perché altrimenti il governo tedesco, Angela Merkel e socialdemocratici insieme, alimenterebbero la crisi della Ue, se non nel quadro di una piccola Ue germanica?
La progettualità non è attribuita dai biografi e analisti alla cancelliera, che si dice anzi troppo fattuale, una che vive alla giornata, del “poco e tardi”. Ma questo non sempre è vero. Come si impadronì della Cdu, il partito democristiano tedesco, pur non essendo nessuno, senza base elettorale e senza seguito nei ranghi del partito, fa impallidire il più aggressivo Renzi. Lo stesso l’alternanza disinvolta tra coalizion di governo, con la sinistra e  alternativamente con la destra, sempre con lei alla guida. O l’appropriazione disinvolta dei temi politici e elettorali della sinistra.
La Ue nella crisi è già diventata tedesca – si tratterebbe a questo punto solo di decidere chi si fa fare e chi no. La nuova istituzione, il Fondo Salvastati, per oltre il 25 per cento di proprietà tedesca, presidiato da un fedelissimo di Angela Merkel, Regling, non può funzionare se non previa indicazione del Bundestag, la camera dei Deputati tedesca. E gli statuti della Banca centrale europea di Draghi sono stati piegati alle indicazioni della Bundesbank – mentre prima ai consiglieri d’amministrazione designati da Bundesbank si indicava la porta quando s’impennavano. La prima e finora unica indicazione della Bce sull’Ela, la liquidità di emergenza in favore delle banche greche, è presa tal quale dalla Bundesbank: nessuna liquidità aggiuntiva. L’Ela è “un aiuto di Stato se non è pienamente garantita dal collaterale, al quale si siano applicati appropriati riduzioni in base alla sua qualità e al valore di mercato” – in chiaro: la Bce si paga ottimi interessi sul debito greco in suo possesso, 27 miliardi, ma per estenderne gli acquisti vuole “garanzie estese”. Si riserva cioè di rivalutarlo al ribasso (questo naturalmente non si fece nel 2007-2009, quando la Bce salvò letteralmente le banche tedesche).
D’altra parte, la Germania viene da prima di Angela Merkel e va oltre. Viene dalla riunificazione, un evento assurdamente sottovalutato fuori della Germania, che ne ha mutato la natura rispetto alla Repubblica Federale di Bonn, niente di meno. Meglio: ha riportato la Germania a un momento prima delle guerre disastrose avviate un secolo fa, alla “borghesia soddisfatta” di Nobert Elias.
È d’altronde un’Europa totalmente germanica quella che viviamo in questi anni. La cancelliera decide per tutti, in più momenti topici. Il governo greco del 2010, quello italiano l’anno dopo, con precise indicazioni a Napolitano, vari governi in realtà marginali per la nostra opinione, ma non negli equilibri della Ue, Austria, Finlandia, Olanda, perfino la Polonia. È tedesca o assimilata la enorme influente burocrazia di Bruxelles. Sono tedeschi o assimilati i vertici delle istituzioni europee, tutti. Quando Merkel va a Parigi, da Hollande come da Sarkozy, è solo per farsi cauzionare, non per discutere: su nessuna questione la Francia da molti anni ormai, già dagli ultimi tempi di Mitterrand, ha deciso invece della Germania. 

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