Questi “viaggi”
sono in realtà “visioni”, frequenti in tutti i conventi, almeno fino al tredicesimo
secolo. E sono consolazioni: il monaco, solitario, si rappresenta gli esiti
delle sue rinunce. Alessandro D’Ancona ne “I precursori di Dante” ne rintraccia
un’infinità. Questa di san Brendano si è imposta e si ripropone, riedita
costantemente in Italia nell’ultimo mezzo secolo, nel quadro del revival celtico.
E come un’opera insieme di poesia, di scoperta, e di salvezza.
Umberto.Eco,
che ne stato tra i primi lettori contemporanei, lo fa un viaggio vero, per
mare, e non una visione o viaggio dell’anima, “con gli altri monaci del suo monastero
alla ricerca della dimora dei beati”, nel genere celtico degli imrama, i viaggi per mare. D’Ancona lo
inquadra più realisticamente nelle visioni” riconfortanti dell’aldilà, preferendogli
peraltro altri viaggi irlandesi analoghi, il “Viaggio di Tundalo” e il “Purgatorio
di san Patrizio”, o il Pozzo.
Giovanni Orlandi,
Rossana E. Guglielmetti, Navigatio
sancti Brendani, Edizioni del Galluzzo (Fondazione Ezio Franceschini) pp.
CCC + 216, s.i.p.
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