giovedì 2 luglio 2015

L'amore gentile di Joyce parnassiano

Ilaria Natali ritraduce, con l’originale a fronte, le due raccolte poetiche di Joyce, “Musica da camera” (1907) e “Po(e)mi pennyluno” (1927). Con un curioso effetto alla lettura consecutiva: Joyce era, quando cercava attivissimo una strada nella letteratura e la poesia, un parnassiano. Antiromantico ma pieno di sfumature, evocazioni, pensieri delicati, sui toni dell’elegia nella ricercatezza. Anche contro la realtà: l’amore che la curatrice erige a titolo, ricorrente in tante delicatissime composizione della prima raccolta, è Nora, la futura moglie, oggetto di lettere scurrili poi famose e delle fantasie di Mr Bloom, che qui è “mia colomba, mia bella” e “mia sorella, mia amata\ petto di donna immacolata”. Tanto più sorprendenti (irrealistiche) all’epoca della prima conoscenza, in cui la mésalliance era più clamorosa. Tra la cameriera d’albergo dalla fama sulfurea, di amanti sfiniti, e l’ex allievo dei gesuiti e dell’University College, probabilmente vergine – ma non ignaro: “Non essere triste perché tutti\ a gran voce non fan che mentire.\ Mia cara, ritrova la tua pace -\ ti possono forse disonorare?”
Il verbalismo (giochi di parole, mistilinguismo) emerge con la seconda raccolta, di componimenti degli anni di Trieste e, dopo la guerra del 1915, di Zurigo. In quelli “italiani” soprattutto, quando Joyce pensava di farsi scrittore italiano. Con titoli come “Tutto è sciolto”,  “O bella bionda, sei come l’onda”. Ma su un fondo sempre delicato, evocativo. E più nei versi che si ricordano, per la figlia Lucia: “In occhi dolci ti veli\ mia bambina dalle vene azzurre”, o “Datemi, prego, un orecchio di cera\ a scudo dalla sua nenia infantile\ e datemi un cuore corazzato\ da lei che coglie i semplici della luna”.
James Joyce, Ascolta amore, Barbès, remainders, pp. 111 € 3

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