Si
risvegliano d’estate e decretano che questa
o quella spiaggia, in genere prospiciente un fiume o un torrente, è
impraticabile: divieto di balneazione. È
il loro unico segnale di vita. Delle
Arpa, le agenzie regionali per la protezione ambientale. Dopodiché tornano in
letargo. Viene l’autunno con le alluvioni, la primavera con le esondazioni, del
Ticino, dell’Arno, eccetera, e le Arpe tacciono. Si risvegliano l’estate come
le cicale, con un divieto di balneazione
qua e là.
Le
Arpe sono un centinaio di carrozzoni – le Arpe regionali si suddividono in
provinciali - ben finanziati, nel quadro dell’ultima mammella del sottogoverno,
l’ecologia e l’ambiente. Luogo di riposo e ritrovo per ingegneri e architetti,
poi liberi per la professione – cui l’Arpa offre utili agganci. Sorgono le Arpe
solitamente in ogni provincia in palazzetti ben restaurati, con ingressi
arborei curati, e un’aria di lindura per gli ampi ingressi e su per le scale,
che niente e nessuno sporca, a tutte le ore del giorno.
Il
divieto di balneazione non si precisa di che natura. Si dice che i livelli di
Esherichia coli sono superiori alla tolleranza. Ma si derubrica l’Escherichia
coli a batterio da poco, che provoca infezioni lievi al tratto urinario e respiratorio
– mentre ce ne sono varietà simili al vibrione del colera. E poi dopo un paio
di giorni i divieti d balneazione scompaiono. Non che i torrenti o i fiumi di
scarico siano stati bonificati, di questo le Arpe non si occupano: i divieti
scadono e basta, l’Escherichia col non è più pericolosa nemmeno per la pipì – è
un atto di vivenza dell’Arpa.
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