Un progetto stupefacente, tra Proust e l’autofiction libera, e una resa accattivante, di una scrittrice e commediografa di successo di cui niente è
più possibile leggere, a trent’anni dalla morte. Questo è il quarto e ultimo volet, “Maybe” in originale, 1982, della
quadrilogia avviata nel 1969 con “An
unfinished woman”, seguito nel 1973 da “Pentimento” e nel 1976 da “Il tempo dei
furfanti”.
Fino ad allora Lillian Hellman era stata
autrice di commedie di successo, “The Children’s Hour”, “Watch on the Rhine”, “The
little Foxes”, del “Candide” musicato da Bernstein, sceneggiatrice di film, con
Wyler, Zinneman e altri registi, compagna per quasi trent’anni di Dashiell Hammett.
Soprattutto questo: gli è stata devota fino a cancellarsi. Ma era un carattere
forte, “una donna del Sud” dice lei, di New Orleans, e in questo racconto senz’altro
lo è. In “Pentimento” si era inventata “Julia”, una che mimava i suoi viaggi nel
nazifascismo e nel comunismo. Qui s’inventa una “Sarah”, non molto prossima (il
titolo “Maybe” è più appropriato) ma abbastanza, bella e fantasiosa anch’essa, con
la quale condivide alcuni amori e alcune paturnie, specie la fissa del cattivo
odore, della pelle, delle parti intime, etc., contro il quale non bastano tre
bagni al giorno, con un misurato libertinismo e uno smisurato alcol.
Perché “Sarah”? Perché no? “Sarah” è quella che la scrittrice è stata o avrebbe potuto essere. La memoria non
aiuta, e anzi confonde. A metà narrazione Hellman si interrompe con un
esilarante - proustiano, ma molto accorciato - anti-Proust. Dapprima con la
sindrome del cattivo odore, un piccolo capolavoro. Poi con la filosofia: “In
aggiunta agli inganni soliti in cui ciascuno di noi cade nella propria vita, è
il tempo stesso che rende il tempo indistinto e mescola verità e mezze verità”.
Né “è una novità che si finge a volte inconsciamente”, non senza ragione – e senza
escludere che “a volte abbiamo dimenticato veramente”. Si parlerà infine di “Sarah”
per ricordarne il “marito”, l’uomo affascinante (il diplomatico John Melby?),
bello e alto come Boris Karloff, che non era come si vede in Frankestein, col quale
si incontrano “venti o trenta volte in sette o otto anni”, senza hangover: “Le volte che andammo a letto
insieme furono tranquille e senza passione, eppure fu, e resta, una delle
combinazioni più riuscite della mia vita”. Una storia d’amore che non fu – c’è
sempre una mancanza in amore.
Come contorno s’incontra Hammett in
alcune pagine, che non scrive più e dopo
le sbronze passa alcuni giorni senza connettere – con una o più donne estranee
accanto, che nelle bevute nei bar si è associate, e ha condotto padrone in casa
di Lillian Hellman. C’è Roma, dove con Wyler nel 1960 lavora, allo Hassler Villa
Medici, a un rifacimento di “Children’s Hour”, del film. C’è Frank Costello, il gangster,
col quale, “alla fine degli anni Trenta”, esce “almeno una volta al mese”, per
pranzi poco parlati, e nient’altro – o sì: una notte Costello “tirò fuori un grosso
rotolo di banconote e mi diede cinquemila dollari”, da rimettere agli esuli spagnoli
bloccati tra Spagna e Francia sul Ponte Internazionale. E ci sono, come già in “Pentimento”,
le zie adorate che l’hanno cresciuta a New Orleans, orgogliose ma intelligenti
e indipendenti. “Noi meridionali bianchi”, ha scritto in “Il tempo dei furfanti”,
“cafoni, reazionari e no, siamo tutti tirati su con la convinzione che sia
nostro diritto pensare come ci pare e andare per la nostra strada, per
stravagante che sia”.
Un “flusso occasionale” ferreo. Breve, bello
e importante. La storia vera è inverosimile
(Costello, Goldwin, Hammett) , quella inverosimile avrebbe potuto, potrebbe,
essere vera.
Lo stesso la scrittrice dirà del mccarthysmo,
per il quale è più famosa. Dapprima, 1952-53, quale compagna di Hammett, che si rifiutava di fare i nomi dei suoi compagni del partito Comunista, per avere
spiegato intrepida alla Commissione che la vera America, della libertà e anzi
del diritto di parola, era quella di chi si opponeva ai suoi metodi inquisitoriali
– e la Commissione dovette mandarla assolta. Verso la fine, prima di questo “Maybe”,
per aver denunciato in “Il tempo dei furfanti”, suscitando un putiferio, il
silenzio all’epoca di McCarthy dei liberali e progressisti: “Non ero sconvolta
tanto da McCarthy quanto da tutte quelle persone che non presero affatto
posizione… Non ricordo un solo personaggio importante che sia venuto in aiuto a
nessuno. È ridicolo. Amaramente ridicolo”.
Lillian Hellman, Una donna segreta, Bookever, remainders, pp. 90 € 5
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