Brecht – A rileggerlo, con le rime semplici, baciate o alternate, di
cui non si fa conto, rinvia a Heine: identica la cantabilità, la semplicità, il
cosmopolitismo, la critica, anche acerba, della società tedesca. Per questo entrambi
sospetti antinazionali – Heine colpevole
anche di essere ebreo, benché rinnegato, Brecht perché comunista.
Duse – Non si celebra, troppo pirandelliana, troppo dannunziana, con
sospetto di fascismo, malgrado tutto. Non solo non si celebra, ma non se ne parla,
da tre quarti di secolo, della Repubblica ancora “sovietizzata”. Ora ritorna dall’America,
riproposta dagli eredi di Lee Strasberg, che ne aveva il culto, come molto attori
di Hollywood, compresa Marylin Monroe. Come innovatrice della recitazione in teatro,
e della dizione.
Dialetto – Alvaro lo dice “la parola familiare”. In “L’uomo nel
labirinto” fa osservare al suo protagonista Babel dell’amante My: “ La bocca di
lei gli pareva di quelle bocche straniere che hanno la piega d’una lingua
ignota”, sebbene May parli correntemente l’italiano, “su cui non è rimasta
impressa mai quella parola familiare che è in fondo al pensiero, per quanto sia
diversa la lingua che si parla”. In cui si oppone la vita radicata a quella
metropolitana sradicata, e si opina che le lingue senza radici siano incapaci
di pensiero.
Intellettuale - È stato molto pregiato dalla Repubblica, almeno
fino al 1989, o al 1992: il Muro e la Procura di Milano hanno spazzato via, con
la politica, anche gli intellettuali. Per la fine dell’intellettuale notabile,
con la mani pulite, e la mancata o impossibile saldatura intellettuali-masse –
che in mancanza di un regime politico comunista non ha senso.
Italiano – È un aneddoto, “L’esame per la cittadinanza”, del 1942,
quando Brecht stava ancora in America. L’oste che fa l’esame per la
cittadinanza ha una sola riposta: “1492”. Gli chiedono l’Ottavo Emendamento:
“1492”. Respinto, L’anno dopo gli chiedono chi vinse la guerra civile: “1492”.
Respinto. Finché, “al quarto tentativo il giudice gli pose la domanda” giusta:\
Quando\ fu scoperta l’America? E in base alla risposta esatta, \1492, l’uomo
ottenne la cittadinanza”. L’italiano ha le risposte, non risponde alle
sollecitazioni? Si spiegherebbe il “difficile cammino delle riforme”.
Memoria – “La fragilità della memoria\ dà forza agli uomini”,
B.Brecht, “Elogio della dimenticanza”
Neorealismo – La critica più severa (autorevole, acuta) fu di
Vittorini, si può dire subito, nel mezzo della cosa, 1954, presentando il secondo
Fenoglio, “La malora”. Il primo, “I ventitré giorni della città di Alba”, l’aveva
presentato appena due anni prima con parole molto convinte: come “racconti
pieni di fatti e “di penetrazione psicologica tutta oggettiva”, di un esordiente
che diceva “asciutto, esatto”, con “un gusto barbarico che persiste come gusto
di vita”, ma con “un temperamento di narratore crudo ma senza ostentazione,
senza compiacenze di stile”. “La malora”, romanzo borghese, Vitorini disse da
editore un libro “forse più bello” del primo. Ma lo acculò, il libro e
Fenoglio, alla poesia delle piccole cose: ai “provinciali del naturalismo, i Faldella, i Remiglio Zena: con gli
«spaccati», e le «fette»” di vita, con lo stesso “modo artificiosamente
spigliato in cui si esprimevano a furia di afrodisiaci dialettali”.
Fra il primo e il secondo libro era
successo che “L’Unità” aveva
stroncato “I ventitré giorni di Alba”. “L’Unità” di Milano, che Davide Lajolo
dirigeva, di un Pci puro e duro, nonché langarolo lui stesso, che si
voleva anche lui narratore, in concorrenza coi conterranei Pavese e Fenoglio.
Lajolo aveva stroncato la scrittura e anche l’onestà di Fenoglio. Con un monito
agli editori, come il Pci usava: “Pubblicare e diffondere questo tipo di
letteratura significa non soltanto falsare la realtà, significa sovvertire i
valori umani, distruggere quel senso di dirittura e onestà morale di cui la
tradizione letteraria può farsi vanto”.
Vittorini, criticando poco dopo il “romanzo borghese”, criticava
Fenoglio o si prendeva una piccola rivincita su Lajolo – non si poteva allora
attaccare il Partito? La questione è insolubile, ma è roba paludosa.
Pasolini – Si preannuncia
per il quarantennale della morte un Pasolini musicale. Con la riscoperta ne,
nelle opere curate da Walter Siti, dell’appunto “Studi sullo stile di Bach”, 1944-45,
che legano gli esercizi per violino di Pina Kalc e le passioni giovanili “tra
la carne e il cielo”. Di quelle nore che, “per un’ingenua sovrapposizione di immagini,
immaginavo cantate da un giovanetto”. “Tra la carne e il Cielo” sarà anche
un’opera celebrativa del compositore Azio Corghi. Ma contro sopravviene l’amusicalità
delle sue narrazioni. Anche di quelle filmiche, che pure sono sottolineate –
poco - da Bach.
Ci sono evidentemente due Pasolini. Uno è quello delle stitiche conferenze
sulla lingua e i dialetti, in falsetto con Moravia nei primi anni 1960 nelle
Case della cultura e ai Lunedì delle signore. Molto svogliato, è vero. Che si
limitava alle nasalità – ma erano le stesse di cui è farcito “Ragazzi di
vita” - evocando Bach come musica da film.
- Utilizzerà la musica nei suoi film? – era una delle domande del
popolo delle associazioni di cultura in giro per l’Italia. Non si aggiungeva
“maestro”, ma era sottinteso.
- Solo Bach. Solo quella è musica.
Quale Bach?
Politicamente
scorretto – Impera in tv, nella satira e anche nei
programmi ante e pomeridiani per casalinghe.
E in politica col turpiloquio. Come una “naturale” reazione all’ipocrisia degli
animi deboli, che le aprole vogliono devitalizzate? Mai il linguaggio corrente
è stato tanto sboccato. Soprattutto quello femminile.
Proust – O dell’ambiguità, verrebbe da dire. Dell’indeterminatezza. Dello
psicologismo che non ha fondo. Mentre è il letterato più esposto. E anche il
più semplice. Schietto, mediocremente onesto – uno che non si camuffa. Perfino
troppo, in un mondo e in un’epoca in cui tutti recitavano. Si potrebbe dirlo
“il buon’uomo” Proust, ,snob ma non pretenzioso, piuttosto il tipo gregario.
Uno che narra molto perché ha vissuto poco, per questo ricorda una
luce o un odore, che al viaggiatore e all’attivista instancabile sfuggono. Così
come i tempi. Un entomologo della mediocrità.
Religione – Non sta bene dire la religione degli scrittori e artisti
tedeschi, a meno che non siano teologi o di sacrestia. La religione familiare,
alla nascita, che invece conta molto, nei riferimenti, i linguaggi, la
sensibilità. Anche in caso di rifiuto, che è sempre posteriore ai calchi
dell’infanzia e l’adolescenza. Thomas
Mann non potrebbe essere cattolico – e dove ne tratteggia qualcuno, per esempio
nella “Montagna magica”, lo fa di maniera. Günter Grass non sta bene ai
protestanti. Goethe, nato luterano, crebbe tra i cattolici e stette bene a
Roma.
Simenon – Ha il 3 prevalente nei titoli e nelle situazioni. Anche il 13.
Socialismo – Mazzini morì ammonendo: “Meglio
il ritorno degli austriaci che l’impianto in Italia di quella falsa e perversa
dottrina che dividerebbe gli italiani in sfruttati e sfruttatori”.
letterautore@antiit.eu
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