Racconti di vita rustica, un genere deserto.
Che i luoghi già dei Sanmniatelli, il comune di Lari e il Castello di Perignano,
hanno voluto recuperare – il castello è protagonista del racconto centrale, La
terra perduta”. Con questa raccolta dedicata al padre, “il severo conte Donato”
– dopo peripezie che il curatore della ristampa, Floriano Romboli, illustra:
dal conte, anche “senatore del regno d’Italia”, il giovane Bino era fuggito via
ai vent’anni, salvo finire a Parigi cantante in locali di terz’ordine, per
essere rimpatriato su segnalazione allarmatissima di Guglielmo Marconi.
Il genere alletta. Ma queste novelle Sanminiatelli
stesso definisce, riprendendole in una delle tante riscritture che amava, “molto cattive”. Lo sono, non tanto per
le figurine che (non) le animano, di pazzi, stolti, malaticci, moribondi,
quanto per la riscrittura, che non salva ciò che è nato male e spesso deforma.
Qui nel senso del bozzetto letargico. Un provincialismo che ha una forte
tradizione in Toscana, al centro dell’Italia e dell’italiano, e tuttavia irredimibile.
Si
fa fatica a pensare che Sanminiatelli è morto solo trent’anni fa,
attivo novantenne: è un’altra epoca. E tuttavia la nostalgia della
riproposta qualcosa comunica: qualche tarlo rivive, della umanità
vera della campagna e del “popolo”, malgrado l’abuso del
manierismo. Pezzi di bravura: “Oh, la poesia estiva dei luoghi
comodi campagnoli!”, cose così - che inevitabilmente si dppiano e
si triplicano, incontinenti: “Poesia semplice e asemplice
emeixnana, momonotoma e melanconic” per l’ebberzza
dell’allitterazione. Nei vezzi dialettali e nella pscologia
semplice, è questa scrittura peraltro all’origine, inconfessata,
forse ignota, di Cassola e Cancogni nel dopoguerra: l’attenzione
per il microcosmo paesano, per i destini minori, le passioni
decerebrate. Bino Sanminiatelli, Bocca
Mariana, Cld, pp. 207 € 10
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