Corpo
– Nella
“Lettera sull’umanismo” l’animalità resta ancora tabù per Heidegger, che pure
tanto l’ha indagata nell’ “Introduzione alla metafisica”, a commento della
“Metamorfosi del Maligno” di Trakl, e nello “Schelling”: “Il corpo dell’uomo è
essenzialmente altro che un organismo animale. L’errore del biologismo non è
sormontato dal fatto che si aggiunga l’anima alla realtà corporale dell’uomo, a
quest’anima lo spirito0, e allo spirito il carattere esistenziale, e che si
proclami più forte che mai l’alto valore dello spirito”. È il corpo dell’anima?
Filosofia
tedesca –
È la sola filosofia, diceva Hegel, aprendo le “Lezioni sulla storia della
filosofia” col discorso inaugurale dell’anno accademico 1821, e come la Bibbia
per la Germania, materia d’elezione. Dopo avere evocato lo “spirito del mondo”,
ed aver ridotto a “pallido fantasma” ciò che si oppone alla serietà e al
bisogno superiore dell’intelligenza prussiana: “Vedremo che negli altri paesi
d’Europa, in cui le scienze e la formazione dell’intelligenza sono state
coltivate con zelo e determinazione, la filosofia, malgrado il nome, è
scomparsa ed è morta fin nel suo ricordo e nell’idea stessa, mentre si è
conservata come specialità nella nazione tedesca. Noi abbiamo ricevuto dalla
natura la missione superiore d’essere i guardiani del fuoco sacro”.
Cominciava l’era dei “primati nazionali”
- quanti non se ne attribuirà l’Italia? – e dele “missioni”. Ma quello di una
facoltà esclusiva (“specialità”, Eigentümlichkeit) del pensiero è solo di
questa filosofia. È vero che Hegel si rifaceva agli Eumolpidi di Atene, che avevano
la guardia dei misteri di Eleusi. E al tempo in cui lo “Spirito dell’Universo
si era riservato alla nazione ebraica”.
Infanzia
–
“Le ore dell’infanzia sono più lente”, diceva Maria Zambrano (nel ricordo di
Alvar Gonzales-Palacios). Forse per questo la memoria ne è più dilatata?
Intercettazione – Se ne
continua, e quasi se ne impone, l’uso come forcipe della verità, e come principe della verità stessa, processuale,
d’opinione e storica. Una forma di accertamento di cui però sono noti i limiti:
la fedeltà, la labilità, l’impossibile ermeneutica – l’impossibilità di rendere
i torni, i tempi, interni ed esterni, l’incertezza (i contesti, territoriali e
temporali, i precedenti, gli usi….). Molto più labile della testimonianza
personale, visiva, orale, e tuttavia se ne pretende l’assoluta affidabilità. Ma
per un bisogno di indiscrezione più che di verità. Che l’intercettazione
effettivamente profonde con larghezza: come guardare dal buco della serratura
ma comodamente assisi, e dalla parte del bene: buon diritto, buona educazione.
Più che altro, è l’intronazione della verità come maleducazione.
È peggio della testimonianza se si parte
dal presupposto – vanificato ma non ancora negato - che
nessuno è chiamato a testimoniare contro
se stesso. Più spesso è usata a fini di parte, politici o affaristici, anche se
in sede giudiziaria. Ma grande è la tentazione di assumerla a forcipe della verità.
Mentre ne è la circonvenzione. A opera
di un qualsiasi trascrittore, un milite, un semplice amanuense, non
necessariamente letterato, o di una partito o fazione, come usa nelle Procure
della repubblica, faziosissime.
Internet
–
È il mondo degli eguali. Ma non persuasivo: l’eguaglianza non è persuasiva?
Opinione
pubblica –
È largamente rapidamente traslata dai media, cioè dall’intermediazione
giornalistica, alla “rete”, al pubblico indistinto di internet – di cui i media
sono finiti succubi: mediano la “rete”, la rilanciano, la imitano. Perdendo
altrettanto rapidamente ogni ambizione a essere giudizio critico e storico. Ma
in favore di un maggiore “contemporaneismo”, valutazione-determinazione
(giudizio) del presente. Senza presupposti o fondamenti conoscitivi o strumentazioni critiche, anzi
apodittico perlopiù, e semplificato. Ma per
ciò stesso influente, attivo nel tempo presente. La comunicazione è
fortemente emotiva. Umorale anche, e quindi variabile. Ma sulla base di certe
costanti, che sono quelle che fanno la
fortuna delle varie forme di comunicazione sintetica in rete, facebook,
twitter, what’s app: pubblicità (l’era riservata si vuole sempre più ristretta),
condivisione, eguaglianza (indifferenza).
Riforma
– È il principio della ragionevolezza: l’adattamento (miglioramento) al
“reale”. La Riforma storica è l’opposto,
e all’origine della volontà di potenza: centocinquant’anni di guerre
devastatrici, come la Grande Guerra di cui fu l’antesignana, nel nome di un
principio, incorruttibile, assoluto. Che avrebbe potuto essere affermato in
altro modo, razionale anch’esso, ma era violento. La Riforma storica avrebbe
potuto prendere il passo d Erasmo, ragionevole e decente – della decency di Orwell. Prese invece quello
di Lutero, altrettanto appassionato ma violento, dell’intransigenza della follia,
per ciò stesso (per essere intransigente) “seria” – delivering, realizzativa, “realista”.
L’epoca
contemporanea, che si vuole riformista, non si muove nell’alveo della riforma
ma della violenza. Della riforma impositiva, nel nome di principi quasi ovunque
bacati: di parte, di privilegi, di (a costo di) distruzioni.
zeulig@antiit.eu
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