domenica 19 luglio 2015

Secondi pensieri - 224

zeulig

Corpo – Nella “Lettera sull’umanismo” l’animalità resta ancora tabù per Heidegger, che pure tanto l’ha indagata nell’ “Introduzione alla metafisica”, a commento della “Metamorfosi del Maligno” di Trakl, e nello “Schelling”: “Il corpo dell’uomo è essenzialmente altro che un organismo animale. L’errore del biologismo non è sormontato dal fatto che si aggiunga l’anima alla realtà corporale dell’uomo, a quest’anima lo spirito0, e allo spirito il carattere esistenziale, e che si proclami più forte che mai l’alto valore dello spirito”. È il corpo dell’anima?

Filosofia tedesca – È la sola filosofia, diceva Hegel, aprendo le “Lezioni sulla storia della filosofia” col discorso inaugurale dell’anno accademico 1821, e come la Bibbia per la Germania, materia d’elezione. Dopo avere evocato lo “spirito del mondo”, ed aver ridotto a “pallido fantasma” ciò che si oppone alla serietà e al bisogno superiore dell’intelligenza prussiana: “Vedremo che negli altri paesi d’Europa, in cui le scienze e la formazione dell’intelligenza sono state coltivate con zelo e determinazione, la filosofia, malgrado il nome, è scomparsa ed è morta fin nel suo ricordo e nell’idea stessa, mentre si è conservata come specialità nella nazione tedesca. Noi abbiamo ricevuto dalla natura la missione superiore d’essere i guardiani del fuoco sacro”.
Cominciava l’era dei “primati nazionali” - quanti non se ne attribuirà l’Italia? – e dele “missioni”. Ma quello di una facoltà  esclusiva (“specialità”, Eigentümlichkeit) del pensiero è solo di questa filosofia. È vero che Hegel si rifaceva agli Eumolpidi di Atene, che avevano la guardia dei misteri di Eleusi. E al tempo in cui lo “Spirito dell’Universo si era riservato alla nazione ebraica”.

Infanzia – “Le ore dell’infanzia sono più lente”, diceva Maria Zambrano (nel ricordo di Alvar Gonzales-Palacios). Forse per questo la memoria ne è più dilatata?

Intercettazione – Se ne continua, e quasi se ne impone, l’uso come forcipe della verità, e come  principe della verità stessa, processuale, d’opinione e storica. Una forma di accertamento di cui però sono noti i limiti: la fedeltà, la labilità, l’impossibile ermeneutica – l’impossibilità di rendere i torni, i tempi, interni ed esterni, l’incertezza (i contesti, territoriali e temporali, i precedenti, gli usi….). Molto più labile della testimonianza personale, visiva, orale, e tuttavia se ne pretende l’assoluta affidabilità. Ma per un bisogno di indiscrezione più che di verità. Che l’intercettazione effettivamente profonde con larghezza: come guardare dal buco della serratura ma comodamente assisi, e dalla parte del bene: buon diritto, buona educazione. Più che altro, è l’intronazione della verità come maleducazione.

È peggio della testimonianza se si parte dal presupposto – vanificato ma non ancora negato - che
nessuno è chiamato a testimoniare contro se stesso. Più spesso è usata a fini di parte, politici o affaristici, anche se in sede giudiziaria. Ma grande è la tentazione di assumerla a forcipe della verità. Mentre ne è la circonvenzione.  A opera di un qualsiasi trascrittore, un milite, un semplice amanuense, non necessariamente letterato, o di una partito o fazione, come usa nelle Procure della repubblica, faziosissime.  

Internet – È il mondo degli eguali. Ma non persuasivo: l’eguaglianza non è persuasiva?

Opinione pubblica – È largamente rapidamente traslata dai media, cioè dall’intermediazione giornalistica, alla “rete”, al pubblico indistinto di internet – di cui i media sono finiti succubi: mediano la “rete”, la rilanciano, la imitano. Perdendo altrettanto rapidamente ogni ambizione a essere giudizio critico e storico. Ma in favore di un maggiore “contemporaneismo”, valutazione-determinazione (giudizio) del presente. Senza presupposti o fondamenti  conoscitivi o strumentazioni critiche, anzi apodittico perlopiù, e semplificato. Ma per ciò stesso influente, attivo nel tempo presente. La comunicazione è fortemente emotiva. Umorale anche, e quindi variabile. Ma sulla base di certe costanti, che sono quelle che fanno la  fortuna delle varie forme di comunicazione sintetica in rete, facebook, twitter, what’s app: pubblicità (l’era riservata si vuole sempre più ristretta), condivisione, eguaglianza (indifferenza).

Riforma – È il principio della ragionevolezza: l’adattamento (miglioramento) al “reale”.  La Riforma storica è l’opposto, e all’origine della volontà di potenza: centocinquant’anni di guerre devastatrici, come la Grande Guerra di cui fu l’antesignana, nel nome di un principio, incorruttibile, assoluto. Che avrebbe potuto essere affermato in altro modo, razionale anch’esso, ma era violento. La Riforma storica avrebbe potuto prendere il passo d Erasmo, ragionevole e decente – della decency di Orwell. Prese invece quello di Lutero, altrettanto appassionato ma violento, dell’intransigenza della follia, per ciò stesso (per essere intransigente) “seria” – delivering, realizzativa, “realista”.
L’epoca contemporanea, che si vuole riformista, non si muove nell’alveo della riforma ma della violenza. Della riforma impositiva, nel nome di principi quasi ovunque bacati: di parte, di privilegi, di (a costo di) distruzioni.

zeulig@antiit.eu 

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