venerdì 21 agosto 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (255)

Giuseppe Leuzzi

A metà Seicento, calcola Galli della loggia (“L’identità nazionale”), “su 2.700 centri rurali che si contavano nell’Italia meridionale, non meno di 1.200 risultavano infeudati a genovesi”. Banchieri del re, che il re non pagava, cedendo in cambio province e villaggi. Ma non era feudalesimo, purtroppo, era fedecommesso e altri titoli di proprietà assenteista – a parte i titoli di proprietà, non si ricordano i Grimaldi, gli Spinelli, i Perrone, Grillo, etc., per qualche attività in Calabria, che pure possedettero quasi per intero.

L’antipatizzante Galli della Loggia collega – collegava nel 1998 – l’identità italiana al Mediterraneo.  All’Italia trovando non solo un’origine ma anche una vocazione mediterranea, da ultimo con Venezia e Genova. E quindi, almeno in parte, con le Venezie di oggi, così leghiste, e la Liguria.

L’unità disfece l’unica istituzione italiana, il Regno delle due Sicilie, che, nota Galli della Loggia, era stato una realtà per sette secoli, dal 1130.

Emma Marrone, salentina in tutto, per bellezza e carattere, ha come punto di riferimento Milano. È naturale, tra “Amici”, la discografia e la pubblicità o culto dell’immagine. Ma quando parla di casa, dice “giù” e “laggiù”. Eppure, il Salento non è da buttare – Emma è stata curata anche bene, a sentire lei, “giù”. La bellezza – della natura, della stirpe – non esime dall’odio-di-sé. 

Questo invece è ineccepibile: “Non mai, come in molti paesi dell’Italia meridionale”  - scriveva Francesco Saverio Nitti in “L’emigrazione italiana e i suoi avversari”, ora in “Scritti sulla questione meridionale”, vol.1 - “ho visto maggior numero di vagabondi, e di persone che vivono di rendita”. Questo è vero tuttora. In una paese della Basilicata “assai povero”, di malaria e emigrazione, “sopra cinquemila abitanti” Nitti contava “settantadue preti ed un numero triplo di persone che vivevano di rendita”. Rendita miserabile per lo più, un tempo dagli affitti ora dallo Stato..

La tarantella esce dalla caserma
È festa come ogni anno a Melpignano per la Notte della Taranta. Con folle sempre più sterminate di giovani che convergono per questo sul Salento. Questa’anno il festival si fa forte del “Taranta Project” di Ludovico Einaudi, che se ne dice “affascinato” – come già Lucilla Galeazzi, Vincenzo Sparagna, e in questo scorcio Ligabue: un concerto registrato nel Salento e mixato a Londra alla Real World Records. Mettendo assieme musicisti di tre continenti:  i griot  Ballaké Sissoko (Mali, con l’arpa liuto kora) e Juledeh Camarra (Gambia, col violino a una sola corda nyanero), Mercan Dede (Turchia, flauto sufi ney), il chitarrista blues britannico Justin Adams, e le voci salentine di Antonio Castrignano, Enzo Pagliara, Alessia Tondo.
Il perché del fascino si può capire: è musica semplice in tutte le sue quattro espressioni, la pizzica salentina, la tarantella del Gargano e quella aspromontana, e la tammurriata dei paesi vesuviani: il ritmo dei tamburi, tamburelli, chitarre battenti, organetti, perfino la zampogna e la lira, il motivo melodico breve e ritornante. La musica più pura, da danza, benché spesso cantata, ossessiva e quasi compulsiva.
È finita rubricata in caserma come ballo dei mafiosi, e questo dice tutta la miseria del Sud. Che parte dalle istituzioni.

Calabria
La battaglia dell’estate è dichiarare i Comuni  calabresi anti-‘ndrangheta. Promossa dall’Anci Lombardia, sull’esempio di Trezzano sul Naviglio, o di Monza?, su proposta di Klaus Davi, che ne fa il tormentone della sua tv KlausCondicio. Il sindaco di Locri l’ha trovata inutile e superficiale e non ha commissionato i cartelli. Il sindaco di Reggio Calabria, invece, democrat anche lui come quello di Locri, l’ ha subito adottato, meritandosi il plauso di Klaus Davi. Però il sindaco di Buccinasco, che è in Lombardia, lo stesso giorno ha fatto richiesta a Klaus Davi di sostituire ‘ndrangheta con mafia.

La campagna dell’Anci Lombardia non ha lasciato insensibile la magistratura. Il pm antimafia Gratteri si è dichiarato per la ‘ndrangheta. Il cartello “Comune vietato alla ‘ndrangheta”, dice, “fa paura ma va esorcizzato”. Paura della ‘ndrangheta, o del cartello?. 

Bomba d’acqua su Firenze, molti danni, qualche morto, pace. Bomba d’acqua su Rossano in Calabria, con molti danni ma non alle persone, e i geologi fiorentini accusano la mano dell’uomo, il mancato rispetto della natura, etc. Non ci si salva. Non c’è salvezza.

Anche il governo sollecito si precipita a Rossano, dove non ci sono fiumi, per stigmatizzare le costruzioni abusive sui greti dei fiumi, e i condoni (governativi). Ognuno è così libero di pensare che Rossano sia costruita ostruendo il fiume, come Genova. È una forma di giustizia redistributiva.

Subito si sveglia la Calabria che legge i giornali e impreca alla speculazione edilizia. Non all’abusivismo di necessità, il solo che – in Calabria – costruisce dove non paga il terreno, per esempio sugli argini demaniali delle larghe fiumare, che magari per decenni sono stati secchi.

È però vero che a quasi un anno dall’elezione, il presidente della Regione Calabria OIiverio non ha un assessore alla Protezione Civile. Anzi, non ha in realtà una giunta – Vuole pochi assessori, che fa e disfa, quelli che non rifiutano o se ne scappano. Non c’è solo Crocetta, c’è anche Oliverio: ma dove li prende il Pd?

È la regione che, con la Campania, ha il record degli occupati in nero, uno su cinque – la media nazionale è uno su dieci. In Campania in certo senso si giustifica: è l’occupazione necessariamente in nero dell’industria, teoricamente illegale, della copia: il segno del forsennato industriosissimo imprenditorialismo napoletano. In Calabria è il segno della rassegnazione: si va avanti tra colture intrinsecamente ricche, olivi, agrumi, primizie ortofrutticole, con rassegnazione, pareggiando ogni anno i conti a fatica – là dove territori che ne sono sforniti ci creano sopra fortune (al ristiranti è servito olio di Crescenzago)..

Dunque, Sgarbi voleva i Bronzi di Riace all’Expo, manufatti delicatissimi che passano più tempo al restauro che al museo. Ma li voleva per abbellire il padiglione di Eataly. Lo spiega un manifesto firmato da duecento e oltre storici dell’arte di tutto il mondo.

Casole Bruzio ha il record  della raccolta differenziata, molto prossima al “Rifiuti Zero”. Benché ospiti alberghi e ristoranti, mobilifici, supermercati. Ma il record viene stabilmente riconosciuto a Capannori. Forse perché Capannori in Toscana.

Niente Casole Bruzio, il “Corriere della sera-Sette” ha una tiritera, a opera della sua firma top Stella, contro Falerna, che per la differenziata spende il doppio di un comune veneto, o friulano. Senza dire che Falerna triplica la popolazione d’estate – è un paese di condomini di vacanza costruiti da immobiliaristi veneti e romani.

Resistono nel Nord della Calabria cospicui toponimi tedescofoni: Galdo, Laino Borgo, Mormanno, Longobardi  e altri. Residui del vecchio regno longobardo del Sud. Ma Longobardi si vuole opera di Liutprando, quando i Longobardi ancora non aveva idea del Sud – il papato ci stava in mezzo, amico e avverso. Ma Liutprando s’illustrò per battere i bizantini, cioè la grecità.

Fanno record di visitatori i Bronzi di Riace al Museo archeologico di Reggio, dopo Pompei, gli Uffizi e il polo Reale di Torino. Ma la città non se ne accorge. Non è nemmeno interessata: i visitatori li portano in massa gli operatori dalla Sicilia e dalle Eolie.

“Le dieci cose che devi sapere prima di uscire con una calabrese”, è un servizio di “Cosmopolitan”. La calabrese è tutta cucina, pelosa, e nana. L’autrice del servizio è calabrese, Marica Bruno. Non per ridere: il servizio è uno di una serie di “donne regionali” del periodico, sul tema “Sesso e amore”. La pugliese, la siciliana sono agrodolci, come vogliono questi servizi melensi. Marica Bruno invece è spietata: “L’hai conosciuta in biblioteca, sul volo Berlino-Roma, in vacanza a Tropea? Non importa”, la calabrese è quella lì. Ma: Marica Bruno, “operaia di penna al momento inoccupata”, non sarà calabrese pure lei? L'odio-di-sé è violenza pura.
Terra generosa. “Quando i francesi imposero in tutta Europa, per volontà di Antoine Parmentier, il noto agronomo e nutrizionista, la coltivazione della patata, la Calabria, in quanto possedimento d’oltralpe, divenne uno dei luoghi ideali in cui fra crescere il tubero. Fatto che comportò disboscamenti e la fine di un mondo”. Questo pezzo sulla Calabria, della serie “Sentieri del gusto”, “Trekking” del settembre 2012 titolava “Terra generosa”.

La fine del mondo, secondo la rivista, è questa: “Storicamente, i calabresi si dividevano in «popoli da albero» e «popoli da grano»”. Simpatica scoperta, ma... Sarà vecchia antropologia – del genere “famolo strano”? Sicuramente ai redattori della bella rivista l’avrà raccontata qualche calabrese. Tutto, ma la storia no.

Giudici vs. preti: la verità delle processioni
Non sarebbe stato il vescovo di Oppido-Palmi, mons. Milito, a proibire le processioni in Calabria, sarebbe stata la Procura di Palmi. Cioè, il vescovo ha proibito le processioni, e il divieto mantiene in vigore, ma perché assediato dai Carabinieri, cioè dalla Procura. A un anno dal fatto, un’altra lettura se ne dà: tutte le funzioni religiose vennero messe sotto assedio, per trovare dove e come le parrocchie erano dominate dalla ‘ndrangheta.
Il vescovo Milito per la verità non voleva le processioni: “Sono riti pagani”. Ma è vero che fu messo in berlina dall’apparato repressivo. Andarono anche a cercare e pubblicarono le graduatorie d’insegnamento delle sorelle, come se fossero privilegiate, mentre non avevano commesso alcun abuso. Ci fu una ricerca frenetica di testimonianze, pentimenti, documenti sull’infeudamento dei riti alla ‘ndrangheta. Che non ha prodotto nessun esito. Un fotografo dilettante di Scido, Pino F., che si dilettava di fotografare le processioni, fu messo sotto pressione, e alla fine gli sequestrarono tutti i reperti – che ancora non ha riavuto. La processione su cui fu imbastito lo scandalo, peraltro, quella di Oppido-Tresilico, era da tempo governata da un regolamento che distingue nettamente la funzione religiosa dalla festa civile.
Passata la buriana, le processioni potrebbero riprendere. Con uno statuto analogo a quelle di Oppido, sede originaria della diocesi del vescovo Milito. Distinguendo cioè nettamente le funzioni religiose, regolate dal consiglio di parrocchia, dalle feste concomitanti. Ma la ferita resta, una sorta di timore. Anche Milito e le sorelle ne escono indenni, ma il colpo è andato a effetto: il vescovo sembra scomparso dalla Piana di Gioia Tauro che pastoralmente amministra

Conversazione jonica
C’era l’uso, allora raro nei paesi, della macchina o biroccio che si fermava per un’impellente conversazione con qualcuno, la cui fine dovevate attendere pazientemente in coda. Raro perché allora le macchine erano rare, e anche i birocci. Un uso che, avendolo riscontrato in Grecia, nel Peloponneso jonico, in forma acuta una volta che due motociclisti occupavano la carreggiata procedendo lentamente affiancati in discreta conversazione, abbiamo deciso di definire jonico, stanti anche i collegamenti linguistici e quindi culturali di molta Magna Grecia con le Grecia jonica.
Ora, il fatto è che questa pratica è diventata normale nei paesi al Sud, anche se probabilmente non jonici. C’è una sorta di dirazzamento, insomma. Ma di che tipo?  Intanto, le macchine si sono moltiplicate, ognuno ne ha una. Ma di più si è moltiplicata la voglia di usare la strada a proprio piacimento, da parte di uomini in genere grassi e grossi e dall’occhio spento, ma anche da parte di ragazzi disinvolti, nonché di signore e di signorine. Tanto più che nessuno nei paesi del Sud fa più un passo a piedi, e quindi l’incontro automobilistico comporta il necessario scambio di informazioni, personali, familiari, professionali. C’è una certa disinvoltura, che uno imputa alla lunga stagione di isolamento e di scarsa circolazione in questi paesi di furiosa emigrazione, fuori  cioè dalle poche settimane in cui ci siamo tutti. Ma con un che di minaccioso.
Magari nessuna minaccia è sottintesa, ma viene naturale aspettare pazienti, trenta secondi o qualche minuto, e non strombettare o comunque chiedere strada. Non si sa mai. La conferma si ha quando il guidatore o la guidatrice in conversation piece decide di ripartire, che non accenna un gesto di scusa, come usava una volta, ma vi guarda come per dire, “questo chi è, che vuole?”, questo importuno cioè. Un gesto semmai s’intuisce dietro lo sguardo di sprezzo e sfida.
Si dovrebbe uno complimentare che il popolo, affluito all’affluenza, non ha complessi e anzi sfida il mondo? Mah, la democrazia è bella, ma prima di tutto è maleducazione.

leuzzi@antiit.eu

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