Sembra
una scorrettezza e una truffa e lo è. Una truffa piccola, di 30-60 euro, che
però moltiplicata per migliaia di utenti fa una somma. Oltre al danno del
mancato collegamento. Ma all’Autorità di vigilanza sulle Comunicazione non la
considerano tale: gli operatori del settore sono liberi di aprire o cedere aree
di operatività, il mercato le giudicherà. Un’Autorità salomonica.
L’Autorità
per le Comunicazioni non è la sola che invece di vigilare il mercato a favore
degli utenti, si assume il ruolo di giudice imparziale, “a favore del mercato”.
Cioè degli operatori del mercato. Un controsenso e un’illegalità. Ma le denunce
contro le costose Autorità di controllo del mercato non interesano le Procure.
Non
si è potuto creare in Italia una rete internet estesa a tutto il territorio
nazionale, che era il progetto Stet vent’anni fa, per dare campo libero alle
società che si venivano costituendo con le privatizzazioni. Per rompere il
monopolio pubblico. Gli operatori privati hanno sfruttato lo sfruttabile, con
utili che per molti anni hanno superato il 50 per cento del fatturato, e
l’Italia è rimasta senza rete, per buona metà del territorio nazionale, dove al
più si naviga con estrema lentezza col Gps. Non si rompe il monopolio pubblico
per migliorare il servizio, si rompe per distribuire i profitti.
Il
capo del governo chiede con urgenza un piano per una rete internet nazionale, e
poi se lo dimentica. Gli interessi delle società di telefonia mobile, che in
mancanza di una rete nazionale vendono caro internet, sono evidentemente
strapotenti.
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