È il primo che si aggira zampettando ma altri sono da qualche tempo stanziali. Uno davanti al macellaio, a una certa ora del pomeriggio, sempre alo stesso posto, immobile. Uno davanti al pescivendolo all’ora di pranzo – se non è lo stesso, il pescivendolo non riapre il pomeriggio. Uno davanti al “Cortile”, il ristorante di quartiere, fisso allo stesso posto, sul tettuccio della macchina che occasionalmente vi sia parcheggiata, alle tre del pomeriggio – si po’ mettere l’orologio, come il dottor Unrath dell’“Angelo Azzurro”.
Molti anni sono passati dalla risalita del Tevere, e ora il gabbiano è terragno, una delle tante specie di palmipedi. Col becco piatto e non ad artiglio come si immagina. Una piccola oca, ben proporzionata – ma, pare, non commestibile. Silenziosa e non starnazzante. L’occhio immobile puntato sulla porta dalla quale verrà il cibo. Usava librarsi, il verso sgraziato ma il volo leggero, sulla città sopra le luci di notte, nella trasparenza del cielo, ora starà rintanato sotto i ponti, come ogni altro vivente sfortunato, di giorno occupando, alle ore canoniche, ognuno un posto suo riservato per la questua, Non fosse per la pulizia, si direbbe un mendicante barbone.
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