A questo episodio l’autrice premette una biopsicologia complicata (freudiana) del suo Lord detective. Che resta un nobiluomo inglese, sfaticato e impegnato. E sempre à la page. Qui perfino in anticipo di un secolo, poco meno – il “Bellona Club” è del 1928. Sulla donna che lavora. Sulla fine della seduzione. E sull’eclisse dell’uomo, del padre: “Sono deciso a non diventare mai padre. I costumi moderni e l’abbandono delle belle tradizioni antiche hanno semplicemente rovinato la professione”. Senza per questo farsi oscurantista: “Dedicherò la mia vita e le mie fortune al sostegno della ricerca sul metodo migliore per produrre gli essere umani dalle uova”.
Lord Wimsey è più che mai Sherlock Holmes. Non isolato e anzi socievole, ma ugualmente sottile, a imbrogliare e sbrogliare la matassa. Dorothy Sayers è giallista con la mano sinistra. Aveva altre ambizioni, di commediografa, filosofa – seguace di C.S.Lewis quando faceva il filosofo - e teologa. Ma lavorando nell’industria editoriale, prima donna o quasi laureata a Oxford, sapeva come si costruiscono i libri, e ha creato uno Sherlock Holmes più simpatico. Lasciando qui e là i segni dei suoi veri interessi - qui di Aristotele (di cui successivamente leggerà la “Poetica” come un manuale per scrivere un giallo, “Aristotele e la detective story”): “Lui afferma che si dovrebbe preferire il probabile impossibile all’impossibile probabile”. Ottimo tema logico, anche etico – e ermeneutico: cosa ha voluto dire Aristotele?
Dorothy L. Sayers, Lord Wimsey e il mistero del Bellona Club, Donzelli, remainders, pp. 224 ril.€ 10,50
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