Tre anni dopo, nel 1900, alla fine del secondo viaggio insieme in Russia, patria di lei, dove conversano con Tolstòj e Pasternak, Lou lo lascia: René, che per lei si è trasformato in Rainer, una rinascita anche anagrafica, deve “progredire” verso l’arte, di cui lei lo sa dotato, da solo. E la cosa funziona. Ancora tre anni e la corrispondenza riprende, sempre densa, fino alla morte di lui, il 29 dicembre 1926 – l’intervallo di tre anni doveva servire a Rilke, che sposò la coetanea Clara Westhoff, ne ebbe una figlia, Ruth, e se ne separò, della madre e della figlia, per trovare stimoli e percorsi creativi.
Almeno
un paio di lettere fanno testo a sé. La scoperta di Parigi, quando ci
risiedette per il suo progetto su Rodin: di un mondo estraneo, che si rivela
specchio della sua “estraneità” al mondo, alla vita di ogni giorno – salvo ricredersi
successivamente, un paio di volte, trovando la città ispiratrice e produttiva.
O la riscoperta, solo, a Roma, di Lou - “luogo sicuro al quale il mio sguardo è
rimasto fisso” - dopo la rottura pratica del matrimonio: a Roma si convince
che non è la famiglia, neppure la figlioletta,
a legarlo alla realtà ma solo il suo proprio lavoro, di ricerca e creazione. O Avignone, la rocca dei papi. E Les Baux. L’insieme
è di un lungo, costante, memorabile rapporto amoroso. Complicato dall’incesto,
per quanto figurativo: lui un mostro di autoindulgenza, lamentosissimo sempre, di
mali fisici di ogni genere, nonché spirituali, benché eternamente in viaggio,
ospite di patroni facoltosi (una cinquantina di residenze diverse sono state
censite in vent’anni o poco più, solitamente nei castelli, spesso in
uso personale, periodicamente anche a casa di Lou), lei
comprensiva e generosa, la inaffettiva Lou.
Si
sono incontrati a mezzo del Cristo, René con le “Visioni del Cristo”, Lou con
l’ipotesi di un Salvatore abbandonato da Dio, allora nuova. Ma il rapporto è totale,
carnale e psichico. Una “fusione”, come lei lo chiamava. Un altro triangolo
attorno a Lou, intellettuale come quelli con Nietzsche e Freud, ma anche sentimentale
e anzi fisico. Un coito ininterrotto, seppure
a distanza, per le reciproche presenze
interiorizzate. Insieme appropriative e rispettose, di rispetto reciproco. A differenza
che con Nietzsche e Freud, Lou è anche la levatrice dell’opera di Rilke,
dedicataria del “Libro delle ore”. Con l’aggiunta di “una dimensione
terapeutica non trascurabile”, annotano i curatori di questa silloge, una
ventina di lettere, Jacques e Dominique Laure Miermont, uno psichiatra e una
germanista, studiosa di Annemarie Schwarzenbach. Nel “Diario” Lou classifica Rilke nel 1913, poeta ormai famoso, “isterico tipico, che si perde nei suoi stati fisici, e non meno perduto, consegnato dai suoi abbandoni, costantemente possessione senza possessore, che non sa a chi appartiene quando non si abbandona, in qualche modo liberato, alla creazione, il suo grande rifugio”. Ma questa osservazione analitica, costante da parte di Lou, a valle delle dettagliatissime lettere di Rilke, non dissecca il rapporto. Che prosegue orgasmico, e liberatorio. Per entrambi, ma per Rilke di più – Lou rinchiudendosi nell’esercizio psicoanalitico, e tuttavia vigile e amorevole, la “cura” esercitando al meglio, terapeuta attenta e creativa.
Rainer Maria Rilke, Lettres à Lou Andreas-Salomé, Mille-et-une-nuit, pp. 127 € 3
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