Autobio – “La confessione di sé”, spiega Hannah Arendt
che ha studiato sant’Agostino, “ha un senso generale: è così che la grazia di
Dio regna su una vita”. Diceva sant’Agostino che Dio è sopra di noi ma va
cercato dentro. Confessio è del resto l’elogio di Dio. È la “forma
creata che si sviluppa vivendo” di Goethe. Attraverso la memoria. Anche se la
prima persona - la confessione come genere letterario - può essere artificiosa
al quadrato. Dice Rousseau di Montaigne: “Si dipinge somigliante ma di
profilo”, è un “falso sincero”. Questo nel primo abbozzo delle sue
atteggiatissime “Confessioni”.
La prima
persona è doppiamente doppia quando non racconta in tempo storico ma al
presente storico, per esempio. Questo flusso è nato dalla confessione in
analisi, la masturbazione in due, ma il lettore non è un analista. O lo è?
Si può configurare il lettore come analista,
ignoto, impersonale, al quale lo scrittore confida fantasmi e fantasie.
Taciturno, ma con segni di attenzione inequivoci, indicazioni nette.
Si dice di Goethe che le sue opere sono
frammenti di un’inesausta confessione. Di che? La confessione è la sua opera –
lasciando impregiudicata la questione se l’opera confessa la vita, o la vita
confessa l’opera, l’accresce, l’affina. È per questo che gli scrittori senza
lettori ammattiscono: alcune nevrosi si aggrovigliano nella
scrittura-confessione, invece di spiegarsi. Si prenda Proust, che per venire,
confidò a Gide, aveva bisogno di rudi sensazioni, tra esse un assalto di topi
che lo penetrassero su per le viscere. E non sapeva che puttana è un modo
d’essere più che di fare, e fu sempre amico ingenuo di Laure Hayman. Neppure
Swann lo sapeva. Ma Proust in generale delle donne pensa che passino il tempo a
divisare battutine acri, e degli uomini, a parte i culattoni, non immagina
nulla. Questo è il sorprendente della sua opera.
Bisogna anche avere qualcosa da confessare,
volendolo fare. Ma più interessante è evidentemente il non detto. Ci fu
partenogenesi di memorie nel Gran Secolo in Francia. Che sono delle creazioni
narrative, a base di esprit. L’ordine genera queste introspezioni
critiche, dell’ordine e di sé.
Il genere è per questo inconsistente in Italia,
dove non c’e mai stato regime né ordine, se non nell’antica Roma. E non si sa
che cosa è più inventivo, se l’ordine o la memoria.
Ma con il “panorama indiziario” – tanti indizi
fanno una prova - la scuola del sospetto arriva alla portata di tutti, il
dottor Freud ha contagiato la storia e le vere scienze. Gran lavoro di costruzione,
mediante la confessione, a uso degli sfaticati e gli egoisti: una cura non per
ridurre ma per nutrire il narcisismo. Non dal confessore che, piglio paterno,
condanna, assolve, soffia, scaracchia, in quei posti bui, pieni di saliva
rappresa e di polvere. No, da un signore che si paghi bene e arredi a studio
una seconda casa, con un salotto dove mettere il paziente a suo agio e a frutto
la colpa, possibilmente a due porte, e si sorbetti fantasie e sogni, uno che
peggio ne sente raccontare più si delizia.
La confessione, diceva il cardinale Passionei
nella causa di beatificazione del cardinale Bellarmino, che a 71 anni s’era
scritta l’autobiografia, è egoismo e alterigia. Diversa è la confessione di chi
lo fa per una mercede.
Sant’Agostino riprende la tradizione, nel suo
romanzo di formazione e vocazione, che vede sempre santi nelle confessioni.
Comprese quelle del blasfemo Sade, che non cessa d’interrogarsi su Dio. Le
carmelitane si racconta che si puniscono tuttora con le canne, a luci spente,
le tende nere tirate, le vesti alla vita, o con fruste di corde intrecciate,
dopo avere confessato in pubblico le cattive azioni e i pensieri impuri.
Delirio da confessione, gli strizzacervelli ci convivono agiati. Solo Casanova fa eccezione, che
scriveva per sé, non per farsi l’esame di coscienza ma per esibirsi. Pascal,
che riprova Montaigne, “lo sciocco progetto che Montaigne ha di dipingersi”, e
Casanova, che si confessa per “godere una seconda volta”, lasciano intravedere
la verità: confessarsi è compiaciuto onanismo, si vedano le dilettazioni dei
peccatori pentiti. I preti l’hanno sempre saputo, che tengono lontane le
zitelle beghine e le puttane in età. Piuttosto che essere veritieri ci si
calunnia, talmente la realtà è odiosa, a volte.
Comunismo – Di straordinaria sterilità, in prosa e in poesia – meno a teatro, ma, poi, Brecht difficilmente è etichettabile. Ha avuto molti Nobel ma senza capolavori “comunisti”. È anzi, malgrado i Nobel, singolarmente inefficace: niente se ne ricorda. Di Cuba si ricorderà “Buena Vista Social Club”, che però è opera di Wenders, e rappresenta la Cuba di prima, sopravvissuta. Sterile la Germania Est: Brecht non se ne può dire autore, e per il resto che, Christa Wolf? Dell’Urss si ricordano le vittime, e Pasternak, che non si può dire in linea. E in Italia? Le riletture del secondo Novecento sono ben più vive fuori del Pci, il partito dei compagni di strada, che dentro, Negli stessi autori che si volevano Pci: Pasolini è più leggibile quando non si vuole “comunista”.
Feltrinelli – È
l’unico caso di morte drammatica, degli anni del terrorismo, passato nella
trascuratezza. Se ne è scritto
troppo poco, passati i funerali. Non si è indagato per nulla, neppure sulla sua
fine: dove si nascondeva, con chi operava, come operava. Né in sede giudiziaria
né fuori.
La sua
morte sembra una sua trama, di complotti annunciati. Poco prima che morisse sul
traliccio di Segrate, che avrebbe tentato di sabotare, un console boliviano era
stato ucciso ad Amburgo con la sua pistola. Senza ragione apparente, se non che
la Bolivia era stata ferale al “Che” Guevara. Molti anni prima. Molti altri
anni prima una “Organizzazione Consul”
era stata il segretissimo gruppo armato tedesco contro l’occupazione francese
della Ruhr e i collaboratori tedeschi, e contro la repubblica di Weimar. Sembra una caso “inventato”, di manovre
spionistiche (la “strategia della tensione”, gli “infiltrati”, etc.) che sempre
si rifanno a modelli, riferimenti, titoli “classici”, e forse lo era.
Italia – È set preferito, fino a molto Ottocento, per le
agiografie, anche in America. E per le storie d’amore, di sesso, anche gay, e
di mistero “gotico”.
“In materia di gloria, vale per la
SA lo stesso che per la letteratura italiana: solo gli inizi sono smaglianti”.
La SA è l’organizzazione armata delle camicie brune, le truppe d’assalto di
Hitler. Ma il giudizio non si vuole negativo, a parte l’accostamento. Non per
la letteratura italiana. Perlomeno, così dovrebbe essere. L’autore, Victor
Klemperer, lo pone all’inizio del suo “LTI, Lingua Tertii Imperii”, il diario
segreto di come il nazismo (Terzo Reich, il terzo impero di Germania)
trasformava la lingua tedesca. Ma essendo di suo, prima della persecuzione
razziale, docente a Dresda di filologia romanza, di francese e italiano.
Poesia – È più arte che non
ispirazione? Joyce Carol Oates si interroga sulla “New York Review of Books” il
13 agosto. Ma l’ispirazione porta, attraverso una scelta di casi umani legati
alla poesia, all’ossessione: la metafora come un rigurgito, e una terapia di
autoanalisi.
Scrivere – Viene per imprinting, come una forma di linguaggio? Pope ne prospetta l’ereditarietà nell’“Epistola al Dr. Arbuthnot”: “Why did I write? What sin to me unknown\ Dipt me in Ink, my Parents’ or my own?” “Perché ho scritto, che peccato a me foresto,\ dei genitori o mio, mi buttò nell’inchiostro?”. Lui stesso ne sarebbe un caso esemplare, per la facilità di versificazione. Nell’eroica “Iliade” resa in “distici eroici”, e non solo.
letterautore@antiit.eu
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