Amore – Ne è piena la poesia, così come è piena di
morte, ma nessun poeta è mai morto d’amore – si è consumato per un amore morto,
o alla morte dell’amante: ha sempre trovato il tempo e l’applicazione per
dirlo. Di dispetto forse qualcuno è morto (gelosia, vendetta), ma non d’amore.
Di gioia, di dedizione.
Capitalismo – Indebitamente collegato al fatto religioso, da una
andazzo sociologico tedesco tra Otto e Novecento, nato come sociologia del
fatto religioso – il nome più cospicuo è Max Weber, forse sotto il pressing del “sistema” hegelo-marxiano,
totalitario. Anche erroneamente: la fenomenologia e la simbologia sono diverse.
E naturalmente la natura del fatto, oltre alla finalità: il bisogno di
arricchirsi, o il bisogno di identificarsi (annientarsi) in una potenza
superiore, buona e cattiva che sia. Al fondo, o all’origine, per un sottile
antisemitismo: la voglia di collegare il giudaismo al (vile) denaro.
Una
sociologia religiosa del capitalismo (con poche eccezioni, una o due: notevole
quella di Lujo Brentano, che lo riporta al polemos,
la competitività e la guerra). che non vale la pena ripercorrere, ma che si può
riassumere in due filoni: una del capitalismo come spesa, anche suntuaria o del
lusso (superfluo), da Mandeville a Sombart (ma già realizzate
nell’evergetismo); e una del thrift,
dell’accumulo, tra sobrietà e rinuncia. Una bipartizione di cui è eccellente
compendio, letterario e cinematografico, “Il pranzo di Babette”, il racconto di
Karen Blixen trasposto nell’omonimo film di culto. O, in Lombardia, le storie
convergenti dei due Borromeo: san Carlo, arcigno e occhiuto controllore, pur
nell’opulenza della Controriforma, dei mores
del più remoto villaggio di montagna
valtellinese, e il cardinale manzoniano Federico, gran signore, collezionista,
committente, munifico, dei cui lasciti Milano ancora si adorna. È peraltro il lato meno solido, anche argomentativamente, della sociologia delle religioni, di Sombart con l’ebraismo, o di Max Weber con i protestanti. Una volta – Weber - coi calvinisti: il denaro è la grazia. E un’altra coi pietisti, i luterani che Weber trova più affini al cattolicesimo. E che dire della diocesi milanese di san Carlo Borromeo, controriformistica, del “lavorerio” inevitabile, quotidiano, estremo.
Egoismo – È il segno più concreto del genio creativo, da Tolstòj a
Parise. Ma dello scrittore, i poeti d’amore compresi, più che del pittore o
architetto: la parola più che il segno richiede più attenzione, esclusiva? E
dello scienziato puro, matematico. I più non hanno mai avuto legami, né
d’affetto né d’amore, e nemmeno di matrimonio.
Heidegger
– I
“Quaderni neri” delimitano il nazismo di Heidegger, o non lo insinuano più
ampio – più radicale? Per quanto brogliacci, e non rivisti per la
pubblicazione, sono stai redatti e conservati in vista della pubblicazione
postuma, ordinati. Opera dunque di un Heidegger sempre in maschera, maestro di
se stesso. Di cui confermano la passione politica, per quanto, appunto,
mascherata.
I “Quaderni” confermano la passione politica
come la corrispondenza con la moglie confermò l’insaziabile attività sessuale.
Può la riflessione farsi indenne attraverso “pensieri ”così pressanti?
Identità – Si vuole da qualche tempo
negare, ma più spesso si camuffa e si moltiplica - Kierkegaard, Pessoa. O è
negata. È il caso di Ettore Schmidt, in arte Svevo, accreditato di un romanzo
quasi postumo, e invece scrittore tra i più fertili, di una diecina di romanzi
e drammi, e centinaia di racconti, in sintonia col mondo vivente, che non si
pubblicavano. Uno per il quale, diceva, “scrivere è sentirsi vivi”.
L’“impersonalità del mondo” di Heidegger è già nel “Grand Hotel” di
Vicki Baum, per non dire del più tragico Pirandello, nell’antropologia di
Plessner (“eccentricità”) e Gellner(“destituzione”), e nella fine della prima
grande guerra civile europea.
Santità – Dostoevskij ha i
santi-peccatori. Le agiografie invece vedono i segni della santità subito, alla
nascita o poco dopo. Alcune prevedono anche il peccato, ma prima della santità,
che allora è conversione.
Indubbiamente ha ragione Dostoevskij, la
santità non può isolarsi dal male. Molti santi moderni, ancora “attivi”,
Ignazio di Loyola, don Bosco, hanno avuto storie contestate, fino a prima della
morte – e anche dopo.
Stupidità – È celebrata in filosofia. Kant
spesso diceva sciocchezze, si sa, perché l’esperienza fondava sull’apriori, le
cose sapute. Avere un buon giudizio è utile quando ci si muove al buio: gli
spazi, gli oggetti, si trovano in base all’idea che se ne ha. Ma intanto il
sole non tramonta mai, questo l’aveva già scoperto Copernico. E poi, per dirne
una, che male gli avevano fatto i neri per averne cattivi apriori? Aveva
pregiudizi.
Ma il pregiudizio c’è, anche lui. Nonché i noti
artifici dell’esposizione, per quanto semplificata: barzellette, doppi sensi,
giochi di parole, la mossa del varietà, e gli hapax, lo slang e
gli altri usi succulenti, locali e di gruppo, della parola, rebus, agiografie,
centoni, innari, immagini e ricordi accidentali, la stessa mimica della
conversazione. E i refusi, che entrano nel testo confidando nell’inavvertenza
di redattori e correttori - i “corruttori di bizze” – creando coi loro misteri
inesauribile filologia. La moglie del sardo che in realtà è la moglie del
sordo, invenzione di Larbaud, che trascorrerà afasico gli ultimi vent’anni, il “Corriere” la attribuisce a Grazia
Deledda – il “Corriere della serra”,
che non è refuso ma citazione di autorevole giornale a Parigi.
Verità - Dopo un secolo e alcune
altre guerre micidiali, con la Bomba, il menu è uguale al dettaglio: shopping,
urbanismo, nevrosi del quotidiano, teatro politico, tv realtà, e la cultura è
giornalismo. Il deserto è perfino peggiorato, in Europa e non solo. Con tutto
il flusso di coscienza, che è una sega, seppure senza sfogo. E i trucchi:
l’invenzione della mamma, l’invenzione del bambino, l’amore di coppia - “il
bambino è il padre dell’uomo” è di Woodsworth, 1850, piena epoca borghese. La
letteratura è trucco, ma quello della verità è trucco da baro, non da poeta.
Tutto si àncora al “si”, impersonale e inautentico. Ma la democrazia è banale,
e inautentica: volendo comporre gli interessi si tiene in superficie.
zeulig@antiit.eu
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