mercoledì 19 agosto 2015

Secondi pensieri - 227

zeulig
 
Amore – Ne è piena la poesia, così come è piena di morte, ma nessun poeta è mai morto d’amore – si è consumato per un amore morto, o alla morte dell’amante: ha sempre trovato il tempo e l’applicazione per dirlo. Di dispetto forse qualcuno è morto (gelosia, vendetta), ma non d’amore. Di gioia, di dedizione.

Capitalismo – Indebitamente collegato al fatto religioso, da una andazzo sociologico tedesco tra Otto e Novecento, nato come sociologia del fatto religioso – il nome più cospicuo è Max Weber, forse sotto il pressing del “sistema” hegelo-marxiano, totalitario. Anche erroneamente: la fenomenologia e la simbologia sono diverse. E naturalmente la natura del fatto, oltre alla finalità: il bisogno di arricchirsi, o il bisogno di identificarsi (annientarsi) in una potenza superiore, buona e cattiva che sia. Al fondo, o all’origine, per un sottile antisemitismo: la voglia di collegare il giudaismo al (vile) denaro.
Una sociologia religiosa del capitalismo (con poche eccezioni, una o due: notevole quella di Lujo Brentano, che lo riporta al polemos, la competitività e la guerra). che non vale la pena ripercorrere, ma che si può riassumere in due filoni: una del capitalismo come spesa, anche suntuaria o del lusso (superfluo), da Mandeville a Sombart (ma già realizzate nell’evergetismo); e una del thrift, dell’accumulo, tra sobrietà e rinuncia. Una bipartizione di cui è eccellente compendio, letterario e cinematografico, “Il pranzo di Babette”, il racconto di Karen Blixen trasposto nell’omonimo film di culto. O, in Lombardia, le storie convergenti dei due Borromeo: san Carlo, arcigno e occhiuto controllore, pur nell’opulenza della Controriforma, dei mores  del più remoto villaggio di montagna valtellinese, e il cardinale manzoniano Federico, gran signore, collezionista, committente, munifico, dei cui lasciti Milano ancora si adorna.
È peraltro il lato meno solido, anche argomentativamente, della sociologia delle religioni, di Sombart con l’ebraismo, o di Max Weber con i protestanti. Una volta – Weber - coi calvinisti: il denaro è la grazia. E un’altra coi pietisti, i luterani che Weber trova più affini al cattolicesimo. E che dire della diocesi milanese di san Carlo Borromeo, controriformistica, del “lavorerio” inevitabile, quotidiano, estremo.

Egoismo – È il segno più concreto del genio creativo, da Tolstòj a Parise. Ma dello scrittore, i poeti d’amore compresi, più che del pittore o architetto: la parola più che il segno richiede più attenzione, esclusiva? E dello scienziato puro, matematico. I più non hanno mai avuto legami, né d’affetto né d’amore, e nemmeno di matrimonio.

Heidegger – I “Quaderni neri” delimitano il nazismo di Heidegger, o non lo insinuano più ampio – più radicale? Per quanto brogliacci, e non rivisti per la pubblicazione, sono stai redatti e conservati in vista della pubblicazione postuma, ordinati. Opera dunque di un Heidegger sempre in maschera, maestro di se stesso. Di cui confermano la passione politica, per quanto, appunto, mascherata.
I “Quaderni” confermano la passione politica come la corrispondenza con la moglie confermò l’insaziabile attività sessuale. Può la riflessione farsi indenne attraverso “pensieri ”così pressanti?

Identità – Si vuole da qualche tempo negare, ma più spesso si camuffa e si moltiplica - Kierkegaard, Pessoa. O è negata. È il caso di Ettore Schmidt, in arte Svevo, accreditato di un romanzo quasi postumo, e invece scrittore tra i più fertili, di una diecina di romanzi e drammi, e centinaia di racconti, in sintonia col mondo vivente, che non si pubblicavano. Uno per il quale, diceva, “scrivere è sentirsi vivi”. L’“impersonalità del mondo” di Heidegger è già nel “Grand Hotel” di Vicki Baum, per non dire del più tragico Pirandello, nell’antropologia di Plessner (“eccentricità”) e Gellner(“destituzione”), e nella fine della prima grande guerra civile europea.

Santità – Dostoevskij ha i santi-peccatori. Le agiografie invece vedono i segni della santità subito, alla nascita o poco dopo. Alcune prevedono anche il peccato, ma prima della santità, che allora è conversione.
Indubbiamente ha ragione Dostoevskij, la santità non può isolarsi dal male. Molti santi moderni, ancora “attivi”, Ignazio di Loyola, don Bosco, hanno avuto storie contestate, fino a prima della morte – e anche dopo.

Stupidità – È celebrata in filosofia. Kant spesso diceva sciocchezze, si sa, perché l’esperienza fondava sull’apriori, le cose sapute. Avere un buon giudizio è utile quando ci si muove al buio: gli spazi, gli oggetti, si trovano in base all’idea che se ne ha. Ma intanto il sole non tramonta mai, questo l’aveva già scoperto Copernico. E poi, per dirne una, che male gli avevano fatto i neri per averne cattivi apriori? Aveva pregiudizi.
Ma il pregiudizio c’è, anche lui. Nonché i noti artifici dell’esposizione, per quanto semplificata: barzellette, doppi sensi, giochi di parole, la mossa del varietà, e gli hapax, lo slang e gli altri usi succulenti, locali e di gruppo, della parola, rebus, agiografie, centoni, innari, immagini e ricordi accidentali, la stessa mimica della conversazione. E i refusi, che entrano nel testo confidando nell’inavvertenza di redattori e correttori - i “corruttori di bizze” – creando coi loro misteri inesauribile filologia. La moglie del sardo che in realtà è la moglie del sordo, invenzione di Larbaud, che trascorrerà afasico gli ultimi vent’anni, il “Corriere” la attribuisce a Grazia Deledda – il “Corriere della serra”, che non è refuso ma citazione di autorevole giornale a Parigi.

Verità - Dopo un secolo e alcune altre guerre micidiali, con la Bomba, il menu è uguale al dettaglio: shopping, urbanismo, nevrosi del quotidiano, teatro politico, tv realtà, e la cultura è giornalismo. Il deserto è perfino peggiorato, in Europa e non solo. Con tutto il flusso di coscienza, che è una sega, seppure senza sfogo. E i trucchi: l’invenzione della mamma, l’invenzione del bambino, l’amore di coppia - “il bambino è il padre dell’uomo” è di Woodsworth, 1850, piena epoca borghese. La letteratura è trucco, ma quello della verità è trucco da baro, non da poeta. Tutto si àncora al “si”, impersonale e inautentico. Ma la democrazia è banale, e inautentica: volendo comporre gli interessi si tiene in superficie.

zeulig@antiit.eu

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