lunedì 24 agosto 2015

Secondi pensieri - 229

zeulig

Crisi – È inevitabile che ai periodi di entusiasmo-utopismo succedano periodi di malinconia-regressione – le vacche grasse e le magre, etc.: c’è un ciclo psichico, un bilanciamento di umori e aspettative. Ma su una ljnea ascendente: la memoria e la storia non sono maestre, non maestre di vecchio stampo, impositive, tuttavia solidificano le esperienze. Quanto della crisi odierna non è l’esito della caduta delle illusioni (del Muro) – c’è questa tristezza in Cina, in India, in Brasile? Quanto non è indotto dallo steso pensiero liberale, attivista ma ridotto al mercato, all’avidità dei pochi piuttosto che ala felicità dei tutti.

Etnocentrismo - Senza tempo, senza occhi, è curioso che l’europeo, l’occidentale, sia più agitato dagli spiriti che non il disprezzato africano animista. Agitato dal dovere di cambiare, l’automobile, la maglietta, la moglie, ma anche da spiriti invisibili, incomprensibili.

Intraducibilità – Si vuole – è pretesa anche – di molta filosofia tedesca. Ma che cos’è la filosofia intraducibile? Incomprensibile.
Il tedesco filosofico si vuole intraducibile in italiano e in francese – non in inglese (se ne traduce anche poco, è vero).

Natura – Che sarà mai? Darwin non faceva il naturalista, cioè sì ma non integralista – era anzi piuttosto anti-, tanto era produttivo, applicato, e non quello che guarda le stelle, malinconico. La stella dell’epoca è la più vaga che esista, nel pensiero e di fatto. Benigna e maligna senza misura o ragione (metrica). Ne è nato l’uomo, ma apparentemente è l’unico suo esito buono – benché oggi contestato. Il cui primo proposito è arginare la natura, indagarla.

Recensione – Irrecensibile è la filosofia per il filosofo – la filosofia è basicamente socratica, si può argomentare ma non giudicare. La recensione filosofica usa, ma allora come filosofia: molta filosofia si fa  argomentando quella altrui – nella forma del dialogo, reale, con altro filosofo e la sua opera e non finto, come Platone faceva con stesso. Ma non come un giudizio, che dica la filosofia degli altri per esempio vera, utile, comunque buona, oppure no. La logica – l’argomentazione – non è una? Logicamente sì, ma di fatto è sfuggente – e anzi, in linea di principio, agnostica: tante teste, tanti pensieri.

Silenzio – È una  forma di dialogo, con se stessi, l’ambiente, la natura. Umile, sdegnosa, entusiasta, malata, etc. Monologica e non dialogica, ma poi ogni dialogo ha un fondo di riserva mentale e di irricevibilità – si vede in una corrispondenza, che pure è documentari, per quanto intima: sempre molto resta estraneo, “non detto”, “non capito”.
Il silenzio si lega alla riflessione, lo svuotamento buddista compreso. E la riflessione non è possibile senza un linguaggio: l’uomo pensa finché parla.

Se – Marco Rizzi ipotizza su “La lettura” il mondo come sarebbe stato “se Gesù Cristo non fosse mai nato”. Immagina un mondo (Europa in realtà) che avrebbe letto “Beowulf” e non l’“Eneide”. O non il contrario? Non andrebbe ipotizzato un impero romano che, non indebolito dal cristianesimo, sarebbe durato più a lungo, magari trasformandosi ugualmente via via nella forma Stati nazionali del tardo Medio Evo ma avendo respinto l’attacco, non irresistibile, delle orde germaniche? La storia va per continuità o per discontinuità? Va per entrambe. Ma la continuità è un filo resistente, la sorpresa parte con tutti gli handicap, col solo vantaggio della sorpresa.

Umanesimo – L’uomo costruisce incessante la natura: la argina, la regola, la perfeziona, la utilitarizza. La preserva anche, oppure perseguita e la distrugge. La cultura della colpa (crisi), invece, in una col mercato (debito), propaganda un naturismo antiumanista che non tiene conto della natura, la quale distrugge più che creare. I mondi senza l’uomo non sono migliori. Perché l’uomo sarebbe autodistruttivo, se è riuscito al contrario a difendersi dalla natura? Non del tutto ma abbastanza. Compresa la sua propria “natura”. Com’è che si esclude l’uomo dalla natura?

Viaggiare – Si entra in un aeroporto, stazione, o se ne esce? L’autostrada al casello ci si apre o ci rinchiude? Si entra per partire, per uscire. Ma non si può non arrivare in un altro aeroporto, stazione, casello. È un giro di porte girevoli alla portata di tutti; partire, lasciare, ritrovare. Il solo? Senza danni sì: lo sradicamento fisico è propedeutico a quello mentale.

Il beneficio che Goethe conferisce al viaggio, “che si vedono i mondi dall’esterno, in modo puramente obiettivo”, è certamente illusorio – lo era anche allora, quanto il viaggio si faceva con lentezza: lo stesso Goethe ha quella “vita fluttuante che si agita e ci fluttua attorno”, che rese il suo viaggio indimenticabile (c’è un genio dei luoghi, che spesso è un odore - non si fa vedere ma se ne avverte la presenza, l’odore dell’aria). Ma una misura del pregiudizio (ignoranza, approssimazione, disattenzione) il viaggio – lo spostamento fisico – la dà. Impone una costrizione-costruzione, per raffronto, insofferenza, curiosità, stanchezza, una qualche reazione, non si può restare catatonici in viaggio seppure lo si è.
Viaggiare è avvicinarsi, e allontanarsi. Un va e vieni: guardando l’ignoto uno torna con occhio nuovo al noto, in forma di nostalgia o rifiuto, per la prospettiva mutata. Lontano è relativo, si sa - lontano da dove? E succede di spostarsi senza viaggiare, navigando col ricordo, anche sotto forma d’immaginazione. Al viaggio basta la  distanza.

Dice Soldati, lo scrittore: “Chi ha provato la lontananza, difficilmente ne perde il gusto”. Accade da fermi con l’ironia, la lontananza di chi è dannato a straniarsi. Chi ha provato la lontananza, in realtà, torna più volentieri. Se non che l’esilio c’è, la voglia di espellere, l’ostracismo non è trovata dei greci, e uno si ritrova spesso fuori. Senza bussola: Ulisse non sempre è casalingo, come in Joyce e Omero, in Dante si perde.

Più spesso il viaggiatore è viaggiato. Per la storia dell’io frammentato, e la stanchezza – viaggiare è, alla fine, un fatto di resistenza fisica, un esercizio di moto, una (piccola, minima) sfida a se stessi.  

Vita – È un mistero. Tanto più dopo i cento anni o poco meno di applicazione scientifica su di essa concentrata, dal caos alla complessità. La materia lo è, prima dello spirito o coscienza che si voglia.

zeulig@antiit.eu

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