All’improvviso, è festa in Baviera, e in copia
conforme in Austria, per gli immigrati in fuga dalla Siria. Un’organizzazione
perfetta, compresi i tempi (i siriani in arrivo sono stati fermati a Budapest e
Bolzano fino a che Monaco e Vienna non si sono dette preparate). Ha voglia il
governo italiano di sgolarsi, come da anni fa, di fronte alle ecatombi nel
canale di Sicilia, che le cose non vanno: le cose esistono e si decidono quando
e come esistono a Nord..
Lucia Annunziata, Klaus Davì e altri
giornalisti per bene si interrogano sulla libertà per meriti di studio a un
Paolo Rosario De Stefano, “considerato un presunto reggente della omonima cosca
di ‘ndrangheta”, come scrivono i giornali di Reggio Calabria. I professori
dell’università di Reggio, facoltà di Legge, che gli hanno dato 30, devono
difendersi. L’antimafia sospende tutto, anche le leggi – l’antimafia di cui
Davì s’illustra.
Questo De Stefano capo del’omonima cosca,
ancorché presunto, s’è fatto il 41 bis – è lì che ha studiato meglio – ma per
una condanna lieve, a otto anni e mezzo. Un anno e mezzo è stato il condono di
legge per la laurea. Si può anche dire che il criminale ha istinti vitali più
forti. Ma la legge? O De Stefano è il capo, sia pure reggente, o non lo è.
Ma è scommessa
facile che i professori che hanno dato 30 a De Stefano saranno prossimamente
indagati, e magari rinviati a giudizio. Cos’altro è il concorso esterno in
associazione mafiosa?
Feudalità
della storia
Si legga una qualsiasi storia, la Calabria sarà
detta aver patito storicamente “sotto la pressione di un governo, quello
borbonico, che dissanguava il paese con le tasse e non aveva alcun interesse a
migliorare le condizioni di vita della popolazione, ma era anche alla mercé di
una massa di duchi, principi e baroni, di un’aristocrazia feudale, cioè, che
teneva assoggettato il popolo dai suoi castelli con un rigore medievale. A
tutto ciò si aggiungevano le decime dovute alla chiesa e ai conventi”.
Sintetizziamo la questione con un viaggiatore peraltro onesto e accorto, Josef
Viktor Widmann, “Calabria 1903”, p. 31. Senza che ci fossero castelli, né
signori medievali, né decime – semmai le questue: i conventi erano per lo più
basiliani, che non infeudavano, e neppure gestivano grandi patrimoni.
“Ciononostante”, l’onesto viaggiatore registra, “i francesi
(liberatori) furono combattuti fanaticamente dalla popolazione”. Questa
opposizione fanatica viene imputata alla religione, e questo è un secondo stereotipo,
gratuitamente punitivo.
Ci sono feudalità nella storia, cliché. È fra le scienze umane la più incrostata.
Africo
nera
Sarà il nome, che innesca automatismi razzisti.
Sarà un destino. Sarà Zanotti Bianco, che gli africoti fotografò dopo terremoti
e alluvioni erranti per la Padania masticando fieno per rifocillarsi. Ora è
“Anime nere”, la pietra tombale di Criaco, Munzi e Giancarlo Leone, due autori e
un direttore Rai molto buoni, in odore di sacrestia. Ma prima Africo è stata, e
ora si annuncia di nuovo, Corrado Stajano. Che la vicenda politica di un prete affarista,
o forse soltanto scomodo, tramutò in un’ordalia, per cui gli africoti un tempo
poveri sono divenuti mafiosissimi, e anzi spietati.
Fa così senso avvicinarsi ora a Africo, paese “babbo”.
Gli stessi africoti ne sono spaventati. Si dicono lusingati delle attenzioni
Rai, che promette nuovi film e nuove comparsate.che non fanno male, a cento
euro al giorno per stare all’aria. Ma si sono quasi convinti di essere criminali,
e non si capacitano come sia successo. Hanno scoperto pure di essere brutti, anche
questo contribuirà allo sconcerto.
Le
processioni e le offerte
Si discute sempre molto, nei duecento circa
paesi – comuni e frazioni – cui il vescovo di Oppido-Palmi ha inibito le
processioni, dei possibili motivi. Mai contro il vescovo, bisogna dire – che le
ha proibite semplicemente perché le ritiene “riti pagani”, così ha detto: qui
sono tutti buoni cattolici, cristiani cioè ligi alla gerarchia. Molti sforzi si
fanno per individuare chi potrebbero essere i mafiosi che se le sono
assoggettate, le feste e le processioni. Se c’è qualcuno tra i portatori delle
Madonne e dei santi. Se qualcuno del comitato dei festeggiamenti s’è fatto
lusingare da offerte mirabolanti di denaro. Ma di più si discute dell’avidità
dei sacerdoti: della buona pratica cattolica fa parte anche questo, il sospetto,
la critica, il pettegolezzo. Contro il potere, di cui il prete è il simbolo primo
e più alla mano.
L’avidità avrebbe creato una sorta di faida tra
la chiesa e i comitati dei festeggiamenti: chi dà i soldi per la festa non li dà
alla Madonna, cioè al “prete”, e viceversa. Prova ne sia, si concludeva questa estate nelle
piazze con aria definitiva, che le Madonne trattenute in chiesa si fanno sempre
adornare da biglietti da cento e più euro, da appendere su appositi nastri con
apposite spille, nonché di ex voto in qualche modo preziosi.
L’uso però si può dire non meridionale né
calabrese. Carmine Abate, lo scrittore, ha una Schmukmadonna a Colonia. Proprio al centro della città, nel Duomo. ”Così
chiamata per gli ornamenti e i gioielli da cui è abbellita”. Vestita di moiré,
“come una montagna innevata”, ma di cui si vede solo la testa, perché alla
veste “sono appesi diademi, collanìne di perle, orologi e croci d’oro di tutte
le forme, ex voto per le grazie ricevute”. E anche non per ex voto, si può
aggiungere per esperienza remota, quando la Schmuckmadonna brillava sontuosa nella
città ancora ingrigita dai bombardamenti.
Abate ha anche la processione, sempre in uno
dei racconti di “Vivere per addizione”: “un rito pagano, non c’è dubbio”. Di
cui ha la nostalgia: “Da giovane, fino agli anni Settanta, mi facevo tutte le
processioni”. Il ricordo è di un rito lento, e di una forma di conversazione:
“La processione ogni tanto si frantuma, a gruppetti ci si ferma nelle rare
lingue d’ombra e si parla fitto fitto nella giuha e zëmëres, la nostra lingua del
cuore”, dei calabresi albanesi, gli arbërëshë. Mentre “il programma “civile” prevedeva
già “il solito show serale con complessi musicali e ragazze in minigonna” che
mimano quello che vedono in tv. Sarà stata le conversazione a disturbare pagana
il vescovo Milito.
Il primo
teorico dei parchi a Cittanova
Dieci giorni a Cittanova. Tremila ettari dalla
Piana fino all’altopiano, di querce sempreverdi, elci, castagni, e opunzie
(fichidindia). A perdita d’occhio. Frammisti a innumerevoli specie arboree che l’ispettore
forestale della Svizzera Johann Wilhelm Fortunat Coaz cataloga coscienzioso per
due pagine. E “i cosiddetti frutti del Sud”, ulivi e agrumi. – anche se, tiene
a precisare , “il miglior olio da tavola in Italia si fa a Lucca e nelle colline
pisane di Calci e Buti”.
Sulle opunzie si estende molto: a Cittanova ne
ha viste di cinque metri di altezza, con circa 110 foglie, e un’apertura irregolare.
Con 5-6 e fino a 13 frutti per “foglia”, la pala spinosa. A forma di uovo,
lunghi ca 8-10 centimetri. Ma la coltura principale è quella dell’ulivo, con
piante che Coaz ha ha misurato fino a 19 metri di altezza. Secondo le ultime
statistiche, aggiunge Coaz, la provincia di Reggio Calabria ha 40.321 ettari a
uliveto, dove produce 201.655 ettolitri
(quintali?) di olio. L’Italia ha 900.311 ettari a uliveto, e produce
3.385.591 ettolitri (quintali). La Spagna ne produce 1.135.750, la Francia
250.000.
“Ein Besuch in Calabria Ulteriore Prima,
Provinz Reggio” è una conferenza che Johann Wilhelm Fortunat Coaz, Forstmeister (ispettore forestale)
svizzero, diede a Berna nell’ottobre del1876 – poi pubblicata nel 1877, 23
pagine a stampa (si trova in biblioteca a Milano - ma anche online, in tedesco).
Calabria ulteriore prima era l‘attuale provincia di Reggio, divisa nei distretti
(sottoprefetture) di Reggio, Gerace (Locri) e Palmi. Il titolo di ispettore forestale
non è diminutivo: Coaz fu il primo a rivestire l’incarico, e sarà il primo
teorico, o uno dei primi, dei parchi nazionali, di interesse collettivo, da
proteggere. Era stato in primavera dieci giorni a Cittanova in Calabria, su invito
del “duca di Cardinale” – probabilmente Serra di Cardinale, per una consulenza sul
miglioramento delle colture, e un possibile utilizzo economico dei suoi sterminati
possedimenti montagnosi.
Dell’esito della consulenza non sappiamo, se
non indirettamente. Le raccomandazioni di Coaz non ebbero seguito. I pastori
distrussero le nuove coltivazioni a mano a mano che il duca le impiantava,
volendo conservare il possesso di fatto dei suoi boschi e prati. Né il duca si
poté rivalere in giustizia: non trovò nessun giudice per condannare gli imputati.
Nella sua conferenza Coaz fa sopratutto un resoconto di viaggio.
Da Reggio, dove è arrivato per nave, a Cittanova,
nella carrozza inviata dal duca, Coaz nota, con gli agrumeti, molti granati e
molte palme da dattero. Viaggia accompagnato dal professor Kopp, naturalista dell’università
di Zurigo. Da Cittanova Coaz e Kopp vengono portati a dorso di mulo fino a un altopiano,
probabilmente lo Zomaro. Col solito colore delle doppiette e delle pistole anti
briganti (ma in nota l’ispettore avverte: “Il banditismo non si è impiantato nella
provincia di Reggio Calabria. Si viaggia in generale sicuri”).
Coaz fu
scalatore, conoscitore delle Alpi, delle quali vantava 21 prime scalate. Fra
esse il Bernina, il Kesch, il Lischana. Fu un pioniere dei parchi o riserve
naturali – insieme con lo zoologo di Basilea Paul Sarasin. Iniziò come topografo di montagna. Fece carriera nella guerra del Sonderbund, a metà
Ottocento, che terminò da segretario del generale Dufour. Dopodiché fu per vent’anni
ispettore generale alle foreste dei cantoni di San Gallo e Graubünden. Finendo primo
Ispettore confederale, carica che tenne fino al 1914, ai novanta’ani passati.
Autore della Dufourcarte, con la quale si creavano gli Ispettorati alle Foreste,
alla Caccia e alla Pesca.
leuzzi@antiit.eu
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