Accoglienza
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L’accoglienza
sorridente ai profughi s’illustra in Grecia con un inglese, Andrew Davies, “un
personaggio straordinario” informano le cronache, uniformi in inglese e in
italiano, che fa passare il tempo ai bambini sui fogli da disegno. In Germania
è invece il governo federale che ha organizzato a Monaco una festa in
mondovisione per l’arrivo dei treni di profughi siriani un certo giorno a una
certa ora da Budapest e da Bolzano – dopo aver chiuso la frontiere per alcuni
giorni per organizzare l’accoglienza. Soprattutto per i bambini, che “bucano” meglio
gli schermi – ce ne sono di “siriani” che parlano un corretto inglese e perfino
tedesco: bambole e altri giocattoli, fiori,
dolci.
La cosa è da apprezzare perché si impongono
modelli di comportamento a due popolazioni fra le più insofferenti all’immigrazione
forzata. Ma si raffronta amaramente con l’accoglienza spontanea, a Bari e Brindisi,
delle carrettate di emigranti-profughi, dall’Albania venticinque anni, e a Lampedusa
quindici anni fa con i barconi dei disperati dalla Libia. Senza l’organizzazione,
certo. Ma quale organizzazione di accoglienza - vera, non per le telecamere – è
stata approntatata in questi venticinque anni, o anche solo negli ultimi quindici?
Salvo quest’ultimo sviluppo, non
promettente: dell’accoglienza terreno della partita per l’egemonia, che la
Germania alimenta – con la curiosa coda gregaria dell’Austria, che ha fatto le
stesse identiche cose della Baviera (l’organizzazione è la stessa?).
Una vera politica dell’accoglienza avrebbe
bisogno di ben altri strumenti che il sorriso delle bambine bionde all’arrivo –
si spera non retribuite. Queste sono meglio
che le manifestazione di odio dei “neonazisti”, ma una politica dell’immigrazione,
che gli Stati del Nord non vogliono, avrebbe bisogno invece di regole
applicabili. E che stronchino anzitutto il mercato vile della guera civile e
del bisogno.
Egemonia – Wolfgang
Streeck, sociologo non tenero con Angela Merkel e le politiche tedesche
nella - e contro la - crisi del
2008, sostiene sul “Mulino” che l’euro fu imposto alla Germania. E con esso l’egemonia.
Ma questo non è vero, con ogni
evidenza: la Germania di Kohl è sempre stata in primo piano nella creazione
dell’euro (solo lo voleva più omogeneo, tra economie similari, per politiche
fiscali e dell0indebitamento, ma poi ha finito per accettare volentieri anche l’Italia).
Il discorso di Streeck è già entro il paradigma dell’egemonia.
Ideologia – È diventata
di massa, col mercato e con la democrazia della rete, ubiqua e onnivora. Tutto vi è soggetto, senza più sistemi o
coerenze che la reggano. E più rigida nelle ideologie che si penserebbero meno
divisive: l’ambiente, la natura, l’alimentazione, l’abbigliamento, la musica. Serena
Danna registra su “La Lettura” un vera e propria guerra delle “correzioni” a
dispetto su wikipedia in materia di cambiamento climatico, e di scienze in
generale.
Ingerenza – Le reazioni
internazionali sono stare rette a lungo sul principio della “non ingerenza”
negli affari interni di un altro Stato. Di uno Stato o governo che fosse
minimamente “legittimato” – in genere per il consenso di un congruo numero di
altri Stati. La “non ingerenza” è stata il cardine della pace, del poco che c’è
stata nei secoli. Con l’affermarsi dei diritti civili e umanitari, e in
contemporanea col collasso sovietico, una forma nuova di diritto si va
configurando, basato al contrario su una sorta di diritto-dovere d’ingerenza. A
protezione appunto dei diritti stessi delle popolazioni, anche contro i propri
Stati o governi, più o meno legittimi.
Un diritto non codificato, se non
per il patronato dell’Onu, cui spetterebbe la decisione ultima. che però decide
in base ai rapporti di forza fra i tre grandi, Usa, Cina e Russia. Non è stato nemmeno
così per le guerre nella ex Jugoslavia - se non
da ultimo, l’Onu si è fatta viva a cose fatte, per la guerra aerea alla
Serbia. La guerra all’Iraq è stata giustificata in parte per la minaccia
chimica e\o nucleare, poi rivelatasi falsa, fabbricata dai servizi segreti anglo-americani,
del regime iracheno, e in parte per la “liberazione” degli iracheni stessi. Una
decisione anglo-americana che poi l’Onu interinò. Una doppia motivazione
analoga fu tentata in Libia, ma con minore convinzione L’Onu anche qui si limitò a interinare una decisione
già presa, anglo-francese. Su simili basi ma senza successo Francia, Gran
Bretagna e Usa hanno tentato l’intervento in Siria, che è all’origine della
ecatombe in corso da un paio d’anni dei più elementari diritti umanitari.
Sarà stata l’ultima eredità avvelenata del
Novecento. Che mentre ha esteso la guerra senza limiti intollerabilmente, ha
posto anche dei limiti alla guerra stessa. Almeno in diritto. Il patto
Briand-Kellogg ha limitato nel 1928 la legalità della guerra alla difesa. I
diritti umani dovettero aspettare: le proposte – tedesche, di Weimar – di un
diritto internazionale dell’uomo, in aggiunta al divieto della guerra
d’aggressione del patto Briand-Kellogg, caddero nel vuoto.
Dopo la guerra una Dichiarazione
universale dei diritti umani fu adottata a Parigi, il 10 dicembre 1948: “Tutti
gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Da cui
lentamente, nella divisione del mondo tra Est e Ovest, varie organizzazioni,
associazioni, piccole Onu dei diritti umanitari sono germinate, compreso il
Tribunale internazionale per i crimini di guerra. Ma i principi della
Dichiarazione hanno ampliato e non ristretto il ricorso alla guerra. Dal
diritto di non intervento, cardine delle relazioni internazionali per millenni,
il diritto di ogni paese a non essere aggredito, si è anzi passati a un diritto
d’intervento, distinto anche se confuso.
Il diritto di (non) intervento è stato rimodulato nell’“unificazione” del mondo conseguente alla caduta del comunismo sovietico, sulla base dei diritti umani, che sono ora il fondamento etico di ogni politica. Nella prevalenza dell’opinione: tutto è emozione, presto e senza condizioni. L’indignazione e la colpevolezza sostituiscono ogni diplomazia, la cautela cioè e il diritto. Lo stesso iperrealista papa Giovanni Paolo II, che ha abbattuto il comunismo, ha teorizzato l’“ingerenza umanitaria” come “diritto d’intervento” ai diplomatici il 16 gennaio 1993. Ma non c’è criterio per far passare i diritti umani come criterio di giustizia. Oggi Roma direbbe che Cartagine è da distruggere perché immola i bambini, e questa sarebbe la sola novità.
Il diritto di (non) intervento è stato rimodulato nell’“unificazione” del mondo conseguente alla caduta del comunismo sovietico, sulla base dei diritti umani, che sono ora il fondamento etico di ogni politica. Nella prevalenza dell’opinione: tutto è emozione, presto e senza condizioni. L’indignazione e la colpevolezza sostituiscono ogni diplomazia, la cautela cioè e il diritto. Lo stesso iperrealista papa Giovanni Paolo II, che ha abbattuto il comunismo, ha teorizzato l’“ingerenza umanitaria” come “diritto d’intervento” ai diplomatici il 16 gennaio 1993. Ma non c’è criterio per far passare i diritti umani come criterio di giustizia. Oggi Roma direbbe che Cartagine è da distruggere perché immola i bambini, e questa sarebbe la sola novità.
Neo
guerra – A
fine Novecento, riferendosi alla tante guerre che avevano impegnato gli Usa nell’ultimo
decennio, a partire da quella del Golfo, Umberto Eco ha ipotizzato una Neo
Guerra: una senza vittime e senza fronte. In cui cioè il nemico può circolare,
seppure non in armi, sul fronte interno, mentre le operazioni belliche devono
essere mirate a non fare vittime - le armi “intelligenti”. Non ironicamente?
Selezione – Quella
naturale ha avuto delle “spintarelle”? A opera di ambienti o soggetti in qualche
modo dominanti. L’essere umano soprattutto.
Si prenda il caso che agita i
tribunali americani. Una donna voleva un figlio bianco, con gli occhi azzurri e i capelli biondi, che
somigliasse al figlio della sua convivente, e la banca del seme cui si è
rivolta le ha garantito un donatore bianco, biondo e con gli occhi azzurri. Poi
il figlio – una figlia – è venuto nero, e la donna ha fatto causa e ha chiesto
i danni per frode. La giustizia Usa sarebbe orientata a dare torto alla donna,
ma solo per salvare i diritti della bambina, che è sana e questo basta. La
pretesa della madre è però ritenuta corretta, e forse lo è, nella fecondazione
eterologa.
La selezione naturale non è da intendersi
spontanea, ma selettiva – come il nome stesso dice ma non del tutto.
astolfo@antiit.eu
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