Lieve
e implacabile, la giovane Austen (il romanzo, pubblicato nel 1818, un anno dopo
la morte, era stato scritto vent’anni prima) traccia l’anti-romanzo. Peggio,
meglio: fa romanzo con l’antiromanzo. Mentre difende il romanzo, come scrittura
e come lettura – chi non li legge, bisogna pensarne male. Ma non così
complicata come la stiamo facendo, la narratrice non superimpone nessuna
teoria, le basta l’ironia, postata (lieve), quasi scontata, con cui accompagna
la sua storia. Dove una giovane diciassettenne sì innamora, e ci ricama sopra
il romanzo gotico che sta leggendo – per la storia l’“Udolpho”
dell’invidiatissima Ann Radcliffe, invidiatissima dalle scrittrici dell’epoca,
e anche dagli scrittori. Divertente nei diversi livelli di lettura, e il
persistente bonario slittamento – il successivo sbugiarda il precedente.
Scontata
invece oggi la novità, probabilmente, dell’epoca: la critica alla borghesia. Che
la ventenne scrittrice fissa a Bath, la stazione termale, tra le due o tre sale
di riunione, e le due passeggiate d’obbligo, per pungerla meglio. Ma si
rilegge, la critica sottile della borghesia compresa, con invidia: che due
secoli fa si potesse fare il romanzo-satira e la satira del romanzo, c’erano
lettori per questo – l’ottima nota editoriale all’edizioncina dei classici
Colins attesta che si pubblicò in quattr volumi, congiuntamente a
“Persuasione”, con una tiratura iniziale di 2.500 copie.
Tradotto
anche come “Catherine” e “Katherine Morland”, necessiterebbe di una traduzione
aggiornata.
Jane
Austen, L’Abbazia di Northanger, Newton
compton, pp. 192, ril., € 4,90
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