Le
“attidudes” erano i quadri viventi cui lady Hamilton, née Amy Hart, indulgeva. Per la delizia dei maggiori pittori
dell’poca, che gareggiavano a ritrarla: Tischbein, Angelika Kaufmann, Vigée-Le
Brun, Reynolds, George Romney, Gavin Hamilton. “Emma Liona” regina di Napoli
con Ferdinando IV, e più con la regina Maria Carolina, un’altra delle figlie
sciocche di Maria Teresa d’Austria. Con la quale organizzò la controrivoluzione
del 1799 e la condanna a morte di tanti begli spiriti, Luisa Sanfelice ed
Eleonora Fonseca Pimentel tra gli l’altri. Celebrerà a letto l’ammiraglio
Nelson eroe di Abukir, avviando poi un menage
à trois. Fino al ritorno in Inghilterra, dove battezzerà l’utilma neonata
Horatia, e finirà in miseria.
Un’avventuriera
e una donna di gran conto nella storia di Napoli e dell’Italia, di cui Napoli
continua a disinteressarsi. Ha coinvolto persino Susan Sontag, che una trentina
d’anni fa le dedicò una biografia romanzata, “L’amante del vulcano”. Ma né di
lei né di suo marito, per trent’anni ambasciatore inglese a Napoli, si sa
nulla. La Casa di Goethe a Roma provvede con un ricco catalogo, poiché le
immagini di Lady Hamilton sono numerosissime. Coinvolgendo anche rinomati
pittori tedeschi, tra essi Kauffmann e Tischbein – il vero titolare della “casa
di Goethe”. Nonché Goethe, che restò affascinato dalle “attitudes” ancora prima
di sapere che si trattava di lady Hamilton.
Una
storia italiana anche per la mobilità sociale, a Londra impossibile. Figlia di
un maniscalco, Amy, poi Emma, era stata a quindici anni l’amante morganatica,
tra ballerina e serva, di un lord Fetherstonhaugh.
Cui fece una figlia, Emma, che resterà affidata a una coppia senza figli ma le
costò il licenziamento. Si legò allora con Charles Greville, che aveva solo il
doppio dei suoi anni, figlio cadetto del conte di Warwick, e in tale veste
rappresentante della contea ai Comuni. Diventerà l’ossessione di un amico di
Greville, il pittore George Romney, che la ritrarrà poi per anni variamente -
in almeno trecento pose - e contribuì con la sua popolarità a darle una nomea.
Finché Greville, indebitato, provò a sistemarla tra i conoscenti. Ci provò
anche con sir William Hamilton, suo zio, ambasciatore a Napoli: “Una compagna
di letto più pulita e dolce non esiste”. L‘ambasciatore, vedovo, senza figli,
invece se la sposò, nel 1791, lei di 26 anni lui di 55. Provvedendola anche di
un’istruzione, con maestri di francese, canto, danza, musica e filosofia – quest’ultimo
incarico fu assunto dall’arcivescovo di Taranto, Capecelatro.
La storia andò bene a Napoli. Anche col terzo
incomodo Nelson. I tre fecero insieme il viaggio di ritorno a Londra, quando
l’ambasciatore fu richiamato nel 1800. Ma a Londra Hamilton dopo pochi mesi, e Nelson,
tornato in guerra, anche lui dopo poco tempo, nel 1805. La società londinese dapprima
fu incuriosita, pettegola, poi trascurò Emma. Che consumò la piccola rendita di
Hamilton al gioco e nell’alcol, e fini in miseria, a Calais, una mattina di
gennaio del 1815.
Dieter
Richter (curatore), Lady Hamilton: eros
e attidude, Roma, mostra alla Casa di Goethe
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