La tesi di un’egemonia
imposta a un soggetto riluttante è bizzarra – di un’egemonia attiva, da esercitare
e non da subire. E tuttavia.
“L’egemonia tedesca in Europa è un prodotto dell’Unione
monetaria europea e della crisi del 2008. Non fu tuttavia la Germania a volere
l’euro: fin dagli anni Settanta, le sue industrie di esportazione avevano
convissuto molto bene con le ricorrenti svalutazioni dei partner commerciali
europei, in risposta alle quali la produzione manifatturiera tedesca si spostò
da mercati price-sensitive a mercati quality-competitive. A volere una valuta comune europea
fu soprattutto la Francia, per superare l’umiliazione della svalutazione del franco rispetto al marco
e, dopo il 1989, per vincolare la Germania unificata a un’Europa unita,
auspicabilmente a guida francese”. Questo non è vero, né il disegno francese di
egemonia, Mitterrand era un realista, né la riluttanza tedesca: il cancelliere Kohl
e la stessa Bundesbank furono attivi fautori dell’euro, solo lo volevano tra
economie il più possibile simili. Ma questo avrebbe escluso l’Italia, e quindi
Kohl scartò le “due velocità” o “due livelli”. Il franco francese non valutò
rispetto al marco, semmai navigava al di sotto delle parità. E non poteva
altrimenti: la lira, che Ciampi volle irrobustita sul marco, fu duramente punita
con l’attacco speculativo del 1992 – è a quel crollo che risale la debolezza cronica
dell’economia italiana, fino ad allora una delle più robuste in Europa.
“Fin dalla sua
concezione, l’euro fu una costruzione contraddittoria. La Francia e altri Paesi
europei, come l’Italia, erano stanchi di dover seguire la politica di tassi
d’interesse da moneta forte della Bundesbank, che era diventata defacto la banca centrale d’Europa. Sostituendo la Bundesbank con la
Banca centrale europea, essi si aspettavano di recuperare almeno una parte
della sovranità monetaria perduta a favore della Germania”. Questo è vero: meglio un euromarco, si pensava, che
un doppio marco.
“Oggi è la Germania,
insieme a Paesi come l’Olanda, l’Austria o la Finlandia, che sta godendo dei
vantaggi dell’Unione monetaria europea. Ma è importante ricordare che è così
soltanto dal crollo finanziario del 2008. Durante i primi anni dell’unione
monetaria, la Germania era «il malato d’Europa», e l’unione monetaria contribuì
parecchio a questo stato. Il tasso d’interesse comune imposto dalla Bce, che
doveva tenere conto delle economie di tutti i Paesi membri, era troppo alto
per un’economia a bassa inflazione come quella tedesca”.
Che la Germania fosse per i primi anni Duemila il “malato
d’Europa” è vero – è vero in parte, la Germania sempre esagera nel piangersi
addosso. Mentre è del tutto errato che il denaro costasse (relativamente) caro
in Europa contro la volontà della Germania: è la Germania che ha alimentato la
paranoia dell’inflazione fino a pochi mesi fa, quando Draghi ha finalmente
avuto il coraggio di svelare la deflazione, nei fatti da alcuni anni.
Streeck fa altri errori di non o sotto valutazione. Valuta poco e male la crisi da cui l’Europa, solo l’Europa, non è ancora uscita, per le politiche restrittive imposte dalla Germania. Più in generale trascura. le politiche fortissimamente tedesche nella prima fase (banche) e nella seconda (debito pubblico) della crisi ormai ottonnale. Trascura la fortissima delocalizzazione tedesca nei paesi dell’Est Europa negli anni 1990. E la contemporanea spinta tedesca , recepita poi da Prodi, all’allargamento immediato dell’Unione Europea a questi Stati, senza regimi transitori. Trascura anche il regime dei doppi salari all’interno della Repubblica Federale – molti milioni sono solo o quai figurativi. E così via. Ma porta finalmente in superficie, con autorevolezza cioè, il dibattito sull’egemonia, cui la Germania finora riluttava, se non per frange sparute.
Wolfgang Streeck, L’egemonia tedesca che la Germania non vuole, Il Mulino, n. 4\2015, free online
Streeck fa altri errori di non o sotto valutazione. Valuta poco e male la crisi da cui l’Europa, solo l’Europa, non è ancora uscita, per le politiche restrittive imposte dalla Germania. Più in generale trascura. le politiche fortissimamente tedesche nella prima fase (banche) e nella seconda (debito pubblico) della crisi ormai ottonnale. Trascura la fortissima delocalizzazione tedesca nei paesi dell’Est Europa negli anni 1990. E la contemporanea spinta tedesca , recepita poi da Prodi, all’allargamento immediato dell’Unione Europea a questi Stati, senza regimi transitori. Trascura anche il regime dei doppi salari all’interno della Repubblica Federale – molti milioni sono solo o quai figurativi. E così via. Ma porta finalmente in superficie, con autorevolezza cioè, il dibattito sull’egemonia, cui la Germania finora riluttava, se non per frange sparute.
Wolfgang Streeck, L’egemonia tedesca che la Germania non vuole, Il Mulino, n. 4\2015, free online
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