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lunedì 21 settembre 2015

Letture - 228

letterautore

Aperitivo – Usa quello culturale: musicale, letterario, archeologico, filosofico. La cultura è passata dalla curiosità minoritaria all’aperitivo di massa, come i festival ma ovviamente più numerosi e affollati. Preludio a un concerto, una dizione, una conferenza, una mostra, ma non necessariamente, più spesso sono aperitivi come aperitivi e basta, uno spettacolino in sé. Riti alternativi all’accademia. I curatori-inventori del genere sono – quelli di Roma noti, per esempio – cultori della materia rimasti fuori dalle università, che invece ce la mettono tutta a restringersi e quasi a cancellarsi - senza soldi, senza posti, senza idee.

Corano – Più della Bibbia, la lettura del “Corano” è a rischio professione ateismo, tanto Dio vi straparla. La Bibbia attenua l’insistenza con storie, profezie, idilli, inni, rievocazioni, anche retromarce, il “Corano” marcia costante e iterativo.

Discrezione – È titolo di Mary de Rachewiltaz, dove narra la sua prima vita, fino ai vent’anni con l’arrivo delle truppe alleate, abbandonata dai genitori, Ezra Pound  e Olga Rudge, il poeta e la concertista, in una famiglia tirolese, e suona più come indiscrezione. È ora titolo di Pierre Zaoui, “La Discrétion”, tradotto come “L’arte di scomparire”. Ma confina, nelle lettere come in ogni professione, con l’inesistenza, l’autocancellazione: bisogna farsi strada, sgomitare, gridare, e esserne contenti, non c’è altra via.

Gadda – Un disadattato. C’è un rifiuto del presente nella circonlocuzione gaddiana, cinque-secentesca. Disadattato si voleva lui stesso, benché ingegnere di professione, quindi in team, e scrittore socievole.

Latino – Si può dire il rifiuto del presente, nell’arte di poetare in latino in uso fino un paio di generazioni fa – e più in Calabria, e specialmente a Reggio, Vitrioli, Sofia Alessio, Morabito, Viscido. Insieme nobilitandosi, come di un’esistenza compiuta. Quelli di Reggio erano tutti poco socievoli e quasi misantropi, interlocutori solo dei certamina, i premi internazionali che ne costituivano la ragione di vita, lo Hoefftianum a Amsterdam, il Capitolinum, il Vaticanum, quello catulliano a Srimione e sul lago di Garda.  Di componimenti che altrimenti non illustravano – non pubblicavano e non curavano di pubblicarli.
Di Pascoli, che vi indulse di preferenza, non si può dire: era un democratico, partecipe degli eventi del tempo, e persona socievole. Ma non tollerava minusvalutazioni: le tredici medaglie d’oro al premio Amsterdam non ne colmarono l’ambizione, la dozzina di volte che non fu coronato non consentì che si facesse il suo nome (gli invii erano anonimi). Questo si suppone (si suppone che abbia partecipato sempre per una trentina d’anni), lui non ne ha lasciato traccia.

Levare – “Le opere più belle sono quella in cui c’è meno materia”, concludeva Flaubert giovane scrivendo nel 1852 a Louise Colet. È l’arte dello scultore, sia pure nel non finito di alcuni Michelangelo: si rappresenta meglio sgrossando.

Messina – Ora dimenticata, la città è stata luogo privilegiato delle lettere. Eco forse delle prime Crociate, alcune partirono dal suo porto, e dei poemi che le accompagnarono. A parire da Boccaccio, con la novella “Lisabetta da Messina”. Con ripetuti riferimenti di Bandello e Shakespeare. Anche di Molière. In un apologo Diderot elogia “un calzolaio di Messina”, che del laboratorio fa corte di giustizia. Schiller ha una “Sposa di Messina”. Vittorini “Le donne di Messina”. Fino all’ “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo, 1975 – qui finisce la storia.
“Eufemio da Messina” è opera – una tragedia – di Silvio Pellico prima della prigione: Eufemio, turmarca della flotta bizantina, accusato per gelosia di avere sposato una monaca, si ribella e finisce dal sultano di Tunisi. Nietzsche ha “Gli idilli di Messina”. Nietzsche a un certo punto s’imbarcò a Genova, come Colombo proclamandosi Liberator Generis Humanorum, su un cargo per Messina, dove sbarcò in barella, mezzo morto, per decretarla, come già Sorrento e poi Roma, sua città ideale: “Questa Messina è proprio fatta per me”.
È “patria dei barbieri” per Soldati, della rasatura a mano libera. Più spesso torna nella letteratura tedesca, Schiller appunto, Goethe, Jünger, Lenz, etc.: per essere stata forse patria di Evemero, per il quale gli uomini sono dei, o luogo di raccolta di crociate e flotte, che sempre portò buono ai cristiani, o perché si pronuncia facile. Per molti è toponimo succedaneo, per chi va a Taormina, per i quadri viventi di von Gloeden, e non ha il coraggio.

Già committente di Antonello, Caravaggio, Ribera, Guercino, Mattia Preti, Rembrandt. Il nobile e ricco Bembo - che inventerà l’italiano, sarà l’amante di Lucrezia Borgia e morirà cardinale - venne a impararvi il greco da Costantino Lascaris, che la città non sa chi sia – come del resto Evemero e lo stesso Bembo. La città mantiene postura strepitosa e quartieri di nome Paradiso, Pace, Contemplazione. Ma trascura Antonello e Caravaggio, che tuttora ospita. Trascura anche Alessandro Scarlatti, che vi è nato. Antonello vi ebbe una mostra nel 1953, ma era un’idea del buonissimo architetto Scarpa, veneziano..

Fu l’ultima ad arrendersi ai Savoia, dopo Gaeta, il 13 marzo 1861. Ma di Messina Emerson ricorda che “in un giorno di pioggia tutte le vie si accesero di ombrelli rossi”. Era stata la città che per prima aveva chiesto la Costituzione nel ’48, finendo per dare il nome al Re Bomba, Ferdinando II delle Due Sicilie, che la distrusse per due terzi, raccapricciando l’Europa.

Pascoli, che ci abitò con la sorella Mariù, ne mantenne ricordo ottimo: “Io ci ho passato i cinque anni migliori, più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti d’armonie della mia vita”, scriverà qualche anno dopo, il 10 luglio 1910 a Ludovico Fulci – deputato radicale di Messina per vent’anni, mazziniano, docente di Diritto Penale..

Saba – Il mite poeta viene additato dalla pubblicistica triestina, da Roberto Curci (“Via San Nicolò 30. Traditori e traditi nella Trieste nazista”), dopo Giorgio Voghera (“Anni di Trieste”), come un antisemita. Per aver scritto – nel 1953 – alla figlia Linuccia: “Penso che - tranne dal punto di vista pratico: persecuzioni ecc. - do quasi sempre ragione a… Hitler”. O allo psicanalista nel 1949: “(Gli ebrei) che si battezzino, se vogliono battezzarsi, e se no rimangano (come ho fatto io) senza nessuna religione”. Al tempo delle intercettazioni non si può più parlare al vento, ogni parola va in tribunale.
La questione è stata portata sul “Corriere della sera” da Paolo Mieli. Suscitando il risentimento di Antonio Debenedetti, che con Saba un po’ è cresciuto. Antonio ne fa un caso di “mezzi ebrei”, quale è lui – “come lo era Saba e lo sei anche tu, caro Paolo”. Di cui Saba diceva: “I mezzi ebrei sono due volte ebrei perché si vedono essere ebrei”, - e intendeva col senso di colpa doppio. E conclude: “L’ebraicità è un privilegio che si sconta vivendo”. Un altro “mezzo ebreo”. Karl Popper, riusciva invece a essere sereno, che su questo punto diceva: “Ci vuole misura”.

Sartre – Non è più filosofo? “Vengono etichettati come «filosofi» persone che in effetti non lo sono affatto, tipo Jean-Paul Sartre ieri o Bernard-Henri Lévy oggi”. È apodittico Pierre Zaoui, giovane filosofo francese, autore di “La discrezione” – con Alberto Mattioli sulla “Stampa”..

letterautore@antiit.eu

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