Abitudine – Rallenta il
tempo. La ripetizione periodica, costante, degli atti è una scansione del tempo
che lo desensibilizza. Il rituale è scontato, l’effetto inavvedutamente pacificatore – pacificatore
perché scontato, di routine, sembra
un controsenso. La ripetizione annoia, ma corrobora.
Lontananza – È spesso la
forma più viva di vicinanza, nell’affetto e nel rifiuto: Nel pensiero e
l’immaginazione, esenti dall’ordinario e l’obbligato. Dal reale anche: il
distacco fisico fluidifica i contorni e anche gli esseri, le cose. Li addolcisce
o li irrigidisce, ma in definitiva LI alterizza – NW approssima meglio la
realtà, la reale consistenza.
Memoria – Il piatto
rotto non si ricompone. Ma ciò che si è vissuto non si cancella, buono o
cattivo. Come pure ciò che dobbiamo e vogliamo vivere – la trascurata speranza: il futuro, le attese che a ogni istante si
rinnovano. Jankélévitch, “L’irreversibile e la nostalgia” (in “Nostalgia.
Storia di un sentimento”, a cura di A. Prete) ne fa un viatico d’immortalità:
“Colui che è stato non può ormai non esserci stato; questo fatto misterioso e
profondamente oscuro d’aver vissuto è il suo viatico per l’eternità”.
Nostalgia – È di qualcosa
che manca, ma anche di irraggiungibile, come di una memoria immemoriale. Uno
stato d’animo, un evento, un essere.
È
una forma del desiderio, in aspetto di già noto – di Sisifo e Tantalo.
Perdono – Presuppone una
superiorità morale, in atto o potenziale, sia darlo che chiederlo. Perdonano
Dio, il Re, lo Stato, non si perdonano i non notabili. È – era – esercizio
sacerdotale per il sacramento della confessione, che fa del confessore il
ministrante del perdono divino. Ma si trasforma agevolmente nella quotidianeità.
Dove può assumere un connotato negativo: equalizzatore, eliminando la colpa,
delle diverse posizioni (valori) morali.
È
di fatto un dato storico recente, europeo. Chiedere perdono per la propria
storia, l’impero romano, le persecuzioni, l’inquisizione, le crociate, la colonizzazione,
la tratta dei negri, gli imperi, le guerre, questo si fa solo in Europa. Perché
l’Europa si vuole coscienza critica, per prima di se stessa. Ma senza altre
coscienze critiche: l’assunto è sempre che siamo i migliori, superiori
moralmente.
Sovranità – È in crisi in
Europa per l’emergere della sovranità europea interstatuale, peraltro non definita e quindi risentita più spesso come ingerenza
(questioni del debito e dell’indebitamento, dell’accoglienza umanitaria, dell’immigrazione,
della libera circolazione). È in crisi nel mondo globale per l’emergere di un “diritto
di intervento”, a fini civili e\o umanitari, peraltro anch’esso non definito. È
di fatto subordinata alle egemonie, non dichiarata me effettuali, della
Germania nell’Unione Europea, degli Usa nelle relazioni internazionali.
Tempo – Jünger lo
moltiplicava centellinandolo davanti alla clessidra, anche nell’inerzia, nel
fluire costante degli istanti. Istanti passati, davanti alla clessidra, ma non
perduti. Nel senso di uno sgranocchiamento, come sgranare il rosario, non di
una corsa, anzi dell’immobilità contro il movimento, lo stesso trapasso del
tempo. Il tempo in sé non dà il senso di essere perduto – di potersi perdere.
Se non in un arco temporale, e in rapporto a un‘esperienza.
La
fuga nel tempo, la dilatazione del tempo, che non possono essere reali, fisici,
sono sensazioni diffuse e operanti.
Viaggio – È la
trasposizione del tempo nelo spazio. Anche in senso proprio, per le variazioni
di fuso e di stagione. Dà anche un (senso di) anticipazione, di accelerazione
del tempo, o di rallentamento, per il semplice spostamento spaziale, specie
ora, con le elevate velocità degli aerei.
Sarà in questa sensazione (illusione) l’origine della moderna dromomania,
che non è più quella del nomadismo (non solo quella, dell’irrequietezza):
l’illusione di accelerare il tempo, e di moltiplicarlo – suddividerlo,
sfaccettarlo, organizzarlo.
zeulig@antiit.eu
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