sabato 12 settembre 2015

La storia bella e inutile

Dedicato a Aby Warburg, per l’abusato concetto delle Pathosformeln, le formule del pathos, le incrostazioni - che si ritrovano qui e là nella trattazione, dentro e fuori contesto, “immagini viaggianti”. Di cui la ricostruzione-definizione è sempre interminata. Delle Ur-formeln si dovrebbe dire, in qualche modo modelli originari, e allora apparirebbero più belle concettualmente , ma di poco aiuto. Magari prive del loro primo (“originario”) significato iconografico, viaggiano come “formule” da riempire di pathos. Campo di esercitazione ermeneutica.
Ginzburg vi si diverte e diverte. Cinque storie raccontando in immagini di terrore o paura. Alcune note (“Guernica” di Picasso, il manifesto di Lord Kitchener che nel 1914 intimava agli inglesi con l’indice di arruolarsi, il “Marat” di David), altri meno (il frontespizio del “Leviatano” di Hobbes, una coppa d’argento del 1534 con scene del Nuovo Mondo). L’editore lo presenta come un libro di immagini. Una guida per capire, imparare a decrittare le immagini da cui siamo assediati (computer, tv, muri, giornali). E anche per difendersi, poiché le immagini sono anch’esse strumento di potere, e aggressivo.Tante cose insomma ma, come sempre, Ginzburg è vero e non vero. Per l’uso libero delle fonti, che in “Rapporti di forza” teorizzava spregiudicato: le fonti non sono finestre, né muri ovviamente, sono vetri, deformanti. A uso dello storico. Quasi pretesti. La coppa di Anversa di orefice fiammingo gli si è rivelata a Monaco, intravista casualmente al museo. La pietra d’inciampo – l’indizio – della raccolta è Hobbes e il verbo to awe, incutere paura, che nel testimone della spietata guerra civile ricorre frequente.
Sono microstorie come è il trademark di Ginzburg. Cioè storie ben raccontate. Dopo una lettura subliminale e naturalmente inventiva – persuasiva sempre ma arbitraria. È il limite dello storico? Non necessariamente, ci sono storie che giudichiamo vere e sostantive, da Tucidide in poi, anzi da Erodoto, che probabilmente le inventava. Mentre le microstorie sono ipotesi, un genere letterario. Di cui il senso o substrato è il racconto, non la conoscenza del dossier, la memoria, la storia quale fu.
Ginzbug è sempre persuasivo. Non contestabile anche, dice la verità. Il paradigma indiziario? E l’indizio sia. Ipotesi su Piero: perché, Piero non è ipotetico?  Ma il paradigma resta sempre suo, d’autore. Di tutt’e cinque i saggi di questa nuova collana di iconologia, il suo paradigma potrebbe essere, e anzi è, avventato. Ma come opporgliene un altro? Cioè sì, bisognerebbe opporgliene un altro.
Storiograficamente questo conduce a poco. Conduce anche a molto. A un rafforzamento della ricostruzione. I paradigmi di Ginzburg non sono la leva di Archimede, risolutiva, però sono nel loro piccolo più che risolutivi, convincenti, amorevoli quasi, oggetto di ammirazione e quasi di deliquio. Nessun dubbio che Sofri sia innocente, almeno al cospetto dei suoi giudici, in “Il giudice e lo storico” La storia della coppa è l’attribuzione, partendo dalle immagini che raffigura, a Stefano Capello, argentiere italiano attivo all’epoca in Germania, anche perché noto a Dürer – l’anno è  anche quello giusto, la coppa raffigurando scene di vita primitiva, quindi delle Americhe appena scoperte, mescolate con le mitologie che da Mantegna avevano preso a popolare l’immaginario europeo. Il dito puntato di Lord Kitchener nel manifesto di guerra britannico del 1914 riportato al Cristo Salvator Mundi del tardo Medio Evo e al “Cristo benedicente” di Antonello da Messina. Jean-Louis David e il suo “Marat all’ultimo repsiro” si seguono meno ma non c’è dubbio che Ginzburg abbia ragione. “Soggezione” e “paura” emergono dal frontespizio del “Leviatano” dai due medici a fronte con la maschera a becco anti-peste, e da un lieve scarto nella traduzione che Hobbes fa di Tucidide. Picasso, l’“anti-Goethe” nella definizione pangermanica di Carl Einstein, viene … con “Guernica” – e qui bisogna sapere tutto il contesto, altrimenti non “si vede” nulla. Dopodiché resta l’esercizio di bravura. La lettura è gradevole.
Carlo Ginzburg, Paura, reverenza, terrore, Adelphi, pp. 311 ill. € 40

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