Una
regione, si legge della Calabria, distrattamente o pure seriamente, violenta,
complicata e bella, disperata e appassionata, sfruttata e vera. E nessuno di
questi aggettivi è vero – una regione vera? Si capisce che il lavoro per il
ricercatore culturale deve’essere arduo.
Cioè: meglio sarebbe riprenderlo dalle radici. Ma questo è già un problema, un altro aspetto del problema. No, il primo problema: dove sono gli studi? E poi non si può partire daccapo: la tradizione, per quanto inventata e opprimente, insiste e deforma qualsiasi sforzo – anche se soltanto in ipotesi.
Cioè: meglio sarebbe riprenderlo dalle radici. Ma questo è già un problema, un altro aspetto del problema. No, il primo problema: dove sono gli studi? E poi non si può partire daccapo: la tradizione, per quanto inventata e opprimente, insiste e deforma qualsiasi sforzo – anche se soltanto in ipotesi.
Sole,
studioso di tradizioni popolari, ci prova attaccando proprio questo, il muro
dei luoghi comuni. La diffidenza. La malinconia. La collera. L’asocialità.
L’ospitalità o la mancanza di ospitalità. Lo snobismo dei poveri - tutti
signori, meglio se nobili. E traditori, con Pirro e con Annibale. Giuda era
calabrese. Calabresi i boia di Gesù Cristo, quelli che conficcarono i chiodi.
In alternativa, calabresi sono tutti quelli dei ricordi di scuola, Oreste, un paio
di donne di Ulisse, e fino ai discendenti di Noè dopo il diluvio, a partire da
Aschenaz.
Un
campionario interminabile di vanità e pregiudizi, ripetitivi e noiosi, ma di perdurante
efficacia, per l’effetto accumulo: moltiplicati, gonfiati, insistiti, particolareggiati
per maggiore verità, senza nemmeno preoccuparsi della verosimiglianza. I “caratteri
originari” dei popoli sono trattazione impervia: vuole antenne addestrate e sensibili
(affinati) utensili di ricerca. Mentre in Calabria si abbandona all’improvvisazione,
la retorica, la furbizia. A opera dei viaggiatori e allogeni, e più a opera
degli stessi aborigeni - tutto meno che la ricerca, peraltro non faticosa. Di
pregiudizi un po’ più fondati altri se ne potrebbero aggiungere che sono sotto
gli occhi: l’abusivismo di necessità, il disordine, la sporcizia, la
maleducazione, la prepotenza, i debiti (l’incapacità di farsi i conti).
Sottotitolo
del saggio è “Intellettuali e falsa coscienza”. Una sfida invitante, anche
perché rischiosa: Sole ripassa sotto una luce beffarda, insieme con le loro
teorie e “invenzioni”, una lunga serie di autori. I viaggiatori dell’Otto e
Novecento tende a salvarli, più spesso che non prendendo per buone le loro informazioni,
mentre, con non più di un paio di eccezioni, sono essi stessi parte del problema,
essendo intellettuali: avulsi, caratteristicamente presuntuosi, e quelli che si
avventuravano in Calabria sicuramente con uno o due problemi loro, uomini e
donne, giovani e navigati – si andava in Calabria all’avventura, a sfidare gli
elementi e anche il destino. Ma la sostanza è l’ignoranza della storia, compresa
quella delle mentalità, dei caratteri originari e di ogni altra loro deriva,
magari sociologica ma sostenuta, documentata.
La
tradizione in Calabria più che un’invenzione è una mancanza – se non per tracce
popolari, sparse, contaminate. La tradizione è inventata di un mondo senza
storia, e per questo informe, senza personalità – che non può essere, ma
sottintende una personalità debole e contestata. Tipica la storia “lombrosiana”
del brigantaggio postunitario. Contro cui lo Stato sabaudo impiegò forze
straordinarie. Col concorso di laudatores locali di varia incapacità. Già per
quanto concerne i numeri. Si va dal calcolo ufficiale di 5.212 briganti uccisi
in combattimento a 700 mila… E lo si fa un fenomeno di neo borbonismo. Mentre
la spedizione Borjès, promossa nel 1861 dai Borboni, memori della lunga marcia
nel 1799 del cardinale Ruffo di Calabria, non ebbe nessun aiuto dalle
popolazioni. Un fenomeno che si voleva terrificante da cui però erano del tutto
esenti il reggino e il cosentino tirrenico, due terzi della Calabria. Gli elenchi
ufficiali, burocraticamente onesti, contavano poche decine di fuorilegge.
I
briganti, relativamente pochi, erano solo malviventi, antesignani della
‘ndrangheta oggi. Con estorsioni, furti, taglieggiamenti, rapimenti di persona,
con orecchie e teste mozzate. ‘Ndranghetisti, si puo aggiungere con Sole, erano i briganti anche nei “rapporti
con medici, avvocati, giudici e guardie che pagavano profumatamente con i
proventi delle grassazioni”. L’unica differenza tra le due criminalità è che
fino a tutto l’Ottocento i briganti erano protetti, e anzi comandati, da preti
e frati – questa funzione i preti hanno ancora, ma agli ultimi papi e a molti
vescovi non piace più. La realtà è difficile districarla sotto la massa di
false informazioni. E l’invenzione della tradizione in Calabria questo è, un
ammasso di superficialità, anche sciocche.
Giovanni
Sole, L’invenzione del calabrese,
Rubbettino, pp. 232 € 15
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