La stazione di servizio appare all’alba
affollata di africani. Almeno cento, forse duecento. Alcuni procacciatori di
manodopera li selezionano per la giornata. Fanno la raccolta dell’uva, a 40
euro per dieci ore. Di cui una quota, assicura il barista, va al caporale – lui
dice dieci: il giovane barista non è sorpreso dell’accolta. Come a Rosarno, ma non
è Rosarno, è sull’Aurelia a Grosseto.
A giornata senza orario è invece come a Casal
di Principe per i pomodori. E il caporale c’è come usa in Puglia. Ma senza
scandalo in Toscana, che è civilissima per definizione.
È vero che la vendemmia dura molto meno che la
raccolta degli agrumi.La linea della palma autostradale sale a Nord
Si fa in Toscana la Livorno-Pisa-Firenze
fra curve e controcurve, in carreggiata stretta senza corsia di emergenza, e
moltissime buche. Si fa la Firenze-Lucca-Massa in direzione Genova tra curve e
controcurve, in corsia stretta, molti tratti senza corsia di emergenza, tra
camion liberamente in sorpasso malgrado i divieti, per di più pagando, una
delle tariffe autostradali più alte. Si fa la Genova-Milano, la cosiddetta
Milano-Serravalle, con l’incubo cosante della fine imminente, incolonnati tra i
tir, per curvoni stretti tagliati male, pagando anche di più che sulla Firenze-Lucca-Massa.
Per non dire della Bologna-Firenze, o Firenze.Bologna, il calvario dell’automobilista
– tempo medio di percorrenza due ore per cento km. Ma non c’è spazio nel piagnonismo
nazionale che per la Salerno-Reggio Calabria, un’arteria invece moderna e
comoda. I meridionali non sanno che si perdono.
Però, parodiando un insigne meridionale
meridionalista, Sciascia, si può dire che
la “linea della palma” autostradale ha risalito la penisola. Sciascia lo diceva
dell’inefficienza, della corruzione e della malavita – i meridionali
meridionalisti sono molto antimeridionali. Ma non può che essere così anche con
le autostrade: la Salerno-Reggio ha infettato il sistema autostradale italiano
– anche se le preesisteva.
Si fa invece la Torino-Brescia, o la
Brescia-Bergamo-Milano, o la famosa tangenziale Est di Milano come in gita: non
fosse per l’asfalto sembrerebbe di trovarsi in campagna. Pochi veicoli, anche
loro sorpresi. Sono costate a km. più della Salerno-Reggio, benché questa abbia
il record europeo e forse mondiale di viadotti e gallerie, e di altezza dei
viadotti, mentre le autostrade padane marciano in piano. Ma qui che dobbiamo
dire, che la “linea della palma” è salita oppure no?
E poi che vuol dire? L’investimento
pubblico al Nord è produttivo, è al Sud che è improduttivo. Il Nord non si fa
mancare le infrastrutture, il traffico verrà, Anche se la Torino-Brescia
resiste vuota da quasi cinquant’anni – dal fatidico 1968.
La
mafia del’antimafia
Il giovane Montalbano 2 punta la pistola
contro un mafioso di sopalle, e quando
quello fa per voltarsi lo uccide. Uno che gli era stato indicato da Guttadauro,
l’avvocato dei mafiosi. È un errore di sceneggiatura?
Almeno cinque giudici del Tribunale di
Palermo coinvolti nel traffico dei beni confiscati ai mafiosi. Ma secondo lo
stesso presidente del Tribunale potrebbero essere di più. Il patrimonio
confiscato alle mafie ormai ammonta ad alcuni miliardi.
Il
ritorno ingrato.
“Abbiamo deciso che il ritorno è una
festa”: così Carmine Abate racconta (“Vivere per addizione”) “la prima festa
del ritorno”. Il ritorno dell’emigrato-espatriato è complicato da molti nodi.
Per primi quelli di chi torna.
Abate i suoi li risolverà a metà strada tra Carfizzi,
dove è nato e cresciuto in provincia di Crotone, e Amburgo: in un paese del
trentino – non uno preciso, uno qualsiasi a quella latitudine. Scelta si
direbbe salomonica. Ma non senza ragione. Ha scelto il Trentino perché a mezza
strada chilometrica tra i suoi due mondi, e perché terra di confine, “di contatto
e non di divisione” – forse prima del leghismo. Non volendo dividersi tra
italiano e tedesco, tra Nord e Sud, tra italiano e calabrese, e tra calabrese
arbërëshë. Per vincere lo spaesamento: fra
Nord e Sud, fra lingue diverse, straniero in Germania, meridionale o terrone in
Italia, per i calabresi un albanese o “ghiegghiu”, come li indicano
spregiativamente, per i suoi arbëreshë un “germanese”, uno che se n’è andato in
Germania, o un trentino.
Che
non è una soluzione, ma Abate l’ha trovata, in quello che chiama il “vivere per
addizione”: italiano e tedesco, calabrese e trentino, e un poco albanese:
“Perché vivere in più culture, parlare più lingue, acquisire un nuovo sguardo,
guardare la vita con altri occhi non può essere che una ricchezza”.
Perché no, si è sempre fatto. Ma ora chi lo impediva? Per innesti si è sempre fatto con le piante, per incroci si fa normalmente con gli animali. Il leghismo, che evidentemente non abita nel Trentino, non si può e non si deve fare, ma quello è un innesto e un incrocio mal riuscito. O richiede un innesto interminabile. Il meridionale post-Lega ha una serie forse interminabile di handicap da superare, essendo essi legati al pregiudizio.
Perché no, si è sempre fatto. Ma ora chi lo impediva? Per innesti si è sempre fatto con le piante, per incroci si fa normalmente con gli animali. Il leghismo, che evidentemente non abita nel Trentino, non si può e non si deve fare, ma quello è un innesto e un incrocio mal riuscito. O richiede un innesto interminabile. Il meridionale post-Lega ha una serie forse interminabile di handicap da superare, essendo essi legati al pregiudizio.
Anche perché molto leghismo è
meridionale. Meridionale proprio, dei paesi di emigrazione, non quello
d’acquisto nelle periferie del Nord. Inutile chiedere a Abate perché non si è
nemmeno posto l’ipotesi di tornare a Carfizzi, volendo tornare in Italia – c’è
la libertà di stabilimento. Ma uno che voglia tornare al paese dopo una vita
fuori è difficile che trovi posto, tra diffidenza e presunzione di sé.
Si suole opporre la vita metropolitana,
sradicata, dei luoghi di destinazione, con la cultura delle radici nei luoghi
di origine, ma non funziona così – e forse non è così. Le origini possono
essere persistenti ma in quanto sono l’“aria”: colori, odori, memorie visive,
la nostalgia stessa – Pavese lo dice al cap. IX di “Feria d’agosto”: “Dovunque ha vissuto un ragazzo, dovunque lui ha
posato gli occhi, si è creato qualcosa che resiste nel tempo e tocca il cuore a
chiunque abbia negli occhi un passato”. Ma
non sono luoghi di accoglienza. Non c’è nessuna forma di integrazione tra i
paesi di origine e le personalità o comunità di emigrati. Forse affettive, sul
piano individuale, ma non di cultura né di interessi. Nemmeno commerciali, come
sarebbe anche logico aspettarsi: il turismo, anche culturale (lingua, studi), i
prodotti agroalimentari d’origine, il recupero e restauro dei luoghi di
origine, specie se abbandonati.
Difficilmente il singolo che ritorna
viene reintegrato, O allora deve tornare ben munito: di saperi, capitali,
onori, poteri. È questo che fa la debolezza persistente delle aree di
emigrazione: l’élite demografica o funzionale che è espatriata non viene
reintegrata, nemmeno per corrispondenza, è una perdita secca.
Calabria
“Alfano risuscita il ponte sullo
Stretto”. In che veste? Da siciliano. Con una leggina che distribuirà qualche
altro centinaio di milioni a ingegneri e architetti amici. La Calabria è sempre
stata vittima, oltre che di se stessa e dell’Italia, dei siciliani e dei
napoletani, che la stringono d’assedio.
Ci sono tantissimi Cosentino in giro per
l’Italia. Anche Calabresi e Calabrese, o Calabrò, qualche Catanzariti, molti Monteleone, perfino qualche Palmisano, qualche Stillitano. Ma non ci sono Reggini. I reggini non
si muovono?
“Non esporsi all’occhio della polizia, a
meno che non sia proprio necessario, per un calabrese autentico potrebbe essere
diventato una seconda natura”: il viaggiatore svizzero Josepf Viktor Widmann,
“Calabria 1903”, lo dice dalla parte dei calabresi.
Questo non è più necessario. Insomma,
entri certi limiti. Ma è ancora vero.
Widmann trova bellissime donne ovunque
nei suoi vagabondaggi in terza classe e a piedi su e giù per la regione:
Afroditi, Antigoni, Ifigenie. E sempre bellezze che lo turbano, alla mescita,
alla fonte, in carrozza, per la strada, anche quelle onuste dei carichi della
campagna.
Widmann viaggiava e scriveva nel 1903, e
dunque la “dona del Sud” è recente. Opera di meridionali?
Per essere presi sul serio bisogna
prendersi sul serio. In Calabria è difficile, perché la zannella è d’obbligo, tra scherzo e
derisione. Ma ridursi a onorare ogni sciocchezza che venga da fuori, per
disattenzione o malanimo? La zannella
non comporta conformismo. Anzi, è spirito critico, perfino eccessivo.
Autodistrtuttivo?
La Calabria non ha vulcani, ma ha avuto
i terremoti peggiori. Si è messa all’incrocio della faglia vulcanica, tra il Vesuvio, lo Stromboli e l’Etna.
Sempre Widmann: “Il motivo
dell’indifferenza e della crudeltà dei calabresi nei confronti delle sofferenze
degli animali va cercato nella loro superficialità e nella loro mancanza di
educazione ed istruzione”. Questo non è
più vero, le cliniche veterinarie pullulano in ogni anfratto della regione. Ma
la superficialità, e la mancanza di educazione e istruzione? Queste si sono
forse moltiplicate – saranno inesauribili?
L’Autorità anti Corruzione inibisce dalle
nomine il persidente della Regione Calabria Oliverio per tre mesi, per nomine
avventate. Silenzio, la notizia non è una notizia. La notizia arriva il giorno
dopo con reazione di Oliverio: “«Resto al mio posto e ricorro al Tar»,
Oliveriosi ribelka a Cantone”, è la prima pagine di “Cronache del
garantista-Calabria”. Lascianda che il lettore trovi da sé a che cosa il
presidente si ribella.
Oppure si può dire la Calabria
perseguitata dai giudici - rigorosamente napoletani, com’è ovvio. Oliverio è
presidente della Calabria perché il suo predecessore è stato costretto alle
dimissioni da un rinvio a giudizio – senza seguito dopo tre anni o quattro.
Giudici, bisogna dire, equanimi: Scopelliti era di destra, Oliverio è di
sinistra.
Otto cuochi ventenni calabresi si
meritano il “Corriere della sera”. Dopo che uno di loro è decretato giovane
cuoco dell’anno dalla Guida L’Espresso. Merito anche dei loro mentori e
organizzatori, Giovani Gagliardi e Manuela Laiacona, esperti in comunicazione –
è così che si fa: bisogna sapersi vendere. Ma come li inquadriamo in “Anime
nere”? Gli sceneggiatori della Rai avranno un problema.
Esperti floraculturali di tutto il mondo
sono riuniti a Cosenza dall’università Federico II di Napoli per un
International Fig Symposium. Perché a Cosenza? Perché è la capitale del famoso
fico pajuni (pallone), il “fico
dottato”. Grosso e pieno, buonissimo tanto fresco quanto secco. Poi uno va a
indagare che vuole dire dottato, e scopre che il fico omonimo è attribuito da
Wikipedia e Treccani concordi alla Toscana, e più in particolare alla provincia
di Arezzo. Non avremo rubato anche i fichi?
leuzzi@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento