I più felici al mondo sono gli svizzeri,
là tra le montagne. Dopo gli svizzeri i più felici sono in Islanda: si vede che
il letargo fa bene. Gli italiani e tutti gli altri dei paesi del sole vengono
nella parte bassa della graduatoria della felicità, che l’Onu stila. L’avranno redatta
gli esquimesi.
Ma non bisognerò rifare tanta letteratura,
e tanta poesia, sul Sud? I mari, le stelle, il sole, i tramonti, le albe? È
proprio un mondo capovolto.
“Libri di storia sbadatamente
eurocentrici”, lamenta Paolo Mieli presentando il suo “L’arma della memoria”,
contro il complottiamo e le altre semplificazioni, “che non raccontano di un
Sud Italia annesso come fosse l’Africa”
La
scomparsa del Mediterraneo
È la cancellazione del Mediterraneo all’origine
della “scomparsa” dell’Europa? È arduo professarlo, ma è così – è più probabile che sia così. La
sua funzione di cerniera, tra l’Europa e il resto del mondo – a meno di non
voler passare per l’inospitale Russia siberiana - è stata inalterata nei
secoli. Anche dopo la scoperta dell’America. Ancora la seconda guerra mondiale
è stata vinta nel Mediterraneo: gli Alleati hanno cominciato a vincerla in Nord
Africa e in Sicilia. Nel Mediterraneo, a Suez, si è affermata l’egemonia
americana su tutto l’Occidente, nel 1956, emarginando Francia e Gran Bretagna.
Senza che tuttavia l’Europa perdesse la sua funzione: l’anno dopo si riscattava
con la creazione del Mec, avviata a Messina nel 1957.
L’eclisse
dell’Europa si profila col cancellierato Kohl, che volle la disgregazione della
Jugoslavia per “annettersi” la Slovenia e la Croazia. Un’allegra cancellazione
del Sud Europa che sfocia nella “guerra” alla Grecia e poi all’Italia.
Parallela al disinteresse totale per le questioni mediorientali, per la Libia,
per la Tunisia, per l’Egitto, per il radicalismo arabo-islamico, per le masse
di immigrati disperati, già tremila morti affogati solo quest’anno (delle
ultime centinaia non si dà più nemmeno notizia). Della stabilità politica del
Mediterraneo, Turchia compresa. Degli approvvigionamenti energetici.
Annessione
e guerra sono termini simbolici: non ci sono annessioni ma feudi politici sì.
Né ci sono guerre, ma match truccati sì. Anche da un punto di vista etico,
della responsabilità, non si può dire che l’abbandono del Mediterraneo sia
stato proficuo, abbia portato più serietà nelle trattazioni, più certezze del
diritto.
Si
ragioni un momento per ipotesi in astratto. Come è possibile che l’Europa si
concepisca tutta al Nord, quando è condizionata per la sicurezza, per
l’approvvigionamento energetico, per l’ordine pubblico, per gli assetti
demografici e sociali, dal Mediterraneo? Dalla frontiera euro-afro-asiatica?
L’economia
della mafia
Si fa grande caso delle mafie, anzi si
fa caso solo delle mafie, nell’economia e nella società, oltre che nel crimine.
Che è anche giusto, ma a questo punto, dopo mezzo secolo di tutto è mafia al
Sud, è anche perverso. Nel filone mafie del “terzo livello”, o terza
generazione, o 2.0, dei mercati, della internazionalizzazione, della
finanziarizzazione. Dopo la ricerca seminale del giudice Cordova e del
sociologo Arlacchi, “La mafia imprenditrice”. Ma infine a vanvera, come gran
parte della letteratura sulla mafia: nel quadro del facile respingimento del
Sud alle corde, ma contro ogni logica – non è possibile, a quest’ora il Sud non
esisterebbe.
Questo o sapeva già don Sturzo: “Se
l’economia è speciale di propria natura, è di propria natura etica, cioè
razionale; non si darà mai un’economia irrazionale: essa non sarebbe vera
economia. Non esiste la pretesa economia dei cercatori d’oro, dei nuclei ex-lege, delle associazioni a
delinquere… Si tratta di sfruttamento di
malfattori a danno della società, e anche a danno dei fuorilegge, non essendo
ammesso l’abbandono dell’associazione delittuosa pena la vita”. Non è ammessa
nemmeno la concorrenza, la proliferazione cioè delle mafie: le mafie si
sovrappongono e si cancellano.
Fu
il Sud a volere il Nord
La patria piemontese fu una scelta
meridionale. Sottostante ai moti liberali, sarebbe stato il Regno del Sud a creare
l’Italia unita, grande, popoloso, repubblicano. Non il Piemonte, piccolo e
bigotto, stato cuscinetto tra la Francia e l’Austria, di una dinastia remota e
di nessun merito. Se lo dice persuasivamente coi suoi compagni di prigionia
Domenico Lopresti, il protagonista di “Noi credevamo”, il romanzo delle illusioni
unitarie scritto da Anna Banti cinquant’anni fa. Deluso per di più dal “tradimento”
di Carlo Alberto nel 1848.
Una verità che oggi universalmente si
dimentica è che tutti i liberali negli anni 1840-1850 condividevano: “Una
verità che oggi (fine Ottocento, n.d.r.) universalmente si dimentica è che
tutti i liberali, moderati e democratici, monarchici e repubblicani, tenevano
per certo che da Napoli partirebbero le iniziative per fondare, in Italia, uno
Stato moderno. Che ai Savoia, altrettanto e più bigotti dei Borbone, fossero
affidate le nostre sorti, non contentata nessuno. Che cos’era il piccolo Piemonte,
di fronte al grande Regno del mezzogiorno?” Lopresti non dice però il seguito:
che furono i napoletani e i siciliani a volere il Piemonte.
Cioè lo dice. I compagni ergastolani del
nonno calabrese di Anna Banti, Carlo Poerio, Sigismondo Castromediano,
Benedetto Musolino, si sintonizzano tutti sugli echi di rinascita che
arrivavano dal Piemonte: le diplomazie di Cavour, la guerra di Crimea. Né ci
furono poi resistenze contro Garibaldi, che con tutte le colpe di cui i Mille si
macchiarono, fece una guerra di liberazione, nell’entusiasmo generale, e non di
conquista – anche se la concluse a Teano. Ci saranno subito dopo resispiscenze,
ma organizzative, e finiranno in Aspromonte, dove le residue illusioni legate a
Garibaldi si spensero. Resterà il problema marginale dell’Italia con Roma e
senza Roma, e a Roma col papa e senza il papa.
Il “Sud” era stato già settato,
immediatamente con l’unità. Lazzari e camorristi a Napoli, briganti tra
Basilicata, Puglia e Calabria, mafie a Palermo. Nient’altro: una gigantesca riserva
di polizia. A opera per lo più di ministri e capi di governo meridionali.
Napoli
Renzi nomina un commissario per il
recupero di Bagnoli, l’area industriale dismessa trent’anni fa, enorme,
ingombrante, inquinante. Il sindaco De Magistris avvia tutte le procedure per
bloccarlo, avendo dichiarato la città
“derenzizzata”.
Si può governare una città proclamandosi
alternativi e anzi nemici del governo nazionale? A Napoli si può, l’alterigia non
è mai troppa, e anzi paga.
L’area industriale di Bagnoli, enorme,
tra Posillipo e i Campi Flegrei, è un tesoro. Potenzialmente. A Napoli non
interessa arricchirsi.
Quando si trattò di costruire
Eurodisney, Bagnoli partì preferita a Parigi perché l’area si sarebbe prestata
meglio al progetto. Ma la politica napoletana la fece talmente difficile che il
progetto fu sposato su Parigi. In un posto orrendo, 22 kmq. di barbabietole.
Che ogni anno accolgono quindici milioni di visitatori, più che tutta Roma.
A Napoli la disoccupazione giovanile
supera il 50 per cento. E i giovani occupati sono per due terzi sottoccupati.
Come non detto.
Horace Rilliet, chirurgo svizzero che
visita la Calabria nel 1852 al seguito di un Battaglione svizzero del re di
Napoli, si sorprende a Pizzo che i cittadini ascoltino senza meraviglia il re
Ferdinando II indirizzare la guarnigione in tedesco.
I Borboni di Napoli sono sommersi dalla
gelatina del colore – parlano napoletano, ammiccano, fanno i furbi, dicono le
battute. Mentre erano una dinastia antica, figli e mariti anche di principesse
austriache – Ferdinando II ebbe dodici figli da Maria Teresa d’Asburgo, figlia
dell’arciduca Carlo. E poi non avevano reggimenti svizzeri, bavaresi,
austriaci?
Per non criticare il sindaco De
Magistris, che non ha fatto nulla a Napoli, nel rione Sanità e negli altri
quartieri popolari, la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi
attacca Napoli: “La camorra è un dato costitutivo della città”. Non attacca De
Magistris per lealtà antirenziana, o connivenza. Mafiosa?
È città cannibale. Aveva fagocitato il
Sud, in una capitale di vacuità. Oscura e quasi annulla una Campania invece
attiva e ferace, la Terra di Lavoro, la Costiera, il Cilento, l’entroterra
salernitano, l’Irpinia, il beneventano, le isole. Ma in attesa di fagocitare il
tutto: lo ha già fatto con Caserta e Ischia, sta arrembando la costiera, fino a
Positano, luogo non molto tempo fa tranquillissimo e operoso. E città che non
demorde.
De Laurentiis, che non ne può più di De
Magistris, lo attacca sullo stadio del Napoli. È sicuro di non farlo per questo
rieleggere. Sul calcio la città fa sempre sul serio.
Non c’è
dubbio che la legge Severino ha dato poteri eccezionali ai giudici contro la
politica. Il peggior giudice può far dimettere un sindaco o un ministro o inibire un parlamentare per
niente. È la legge di un avvocato napoletano: pesa più in questa assurda legge il
pagliettismo o la napoletanità?
Napoletani
erano anche il presidente della Repubblica che la legge Severino volle e firmò,
e la Corte Costituzionale che non l’ha abrogata. Si può anche arguire che tra
napoletanità e pagliettismo non c’è differenza. Ah, la Napoli nobilissima! Di
quattro quarti legulei?
leuzzi@antiit.eu
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