“Le inefficienze
nelle ordinarie procedure di gestione dei dissesti bancari… negli anni scorsi
hanno costretto numerosi paesi, sia in Europa sia a livello globale, a
destinare risorse pubbliche ingenti in favore di banche in difficoltà. Voglio
sottolineare che l’Italia non è tra quei paesi, nonostante l’evoluzione assai
sfavorevole della nostra economia negli anni scorsi. In base ai dati pubblicati
sia dall’istituto di statistica europeo (Eurostat) sia dalla Bce , da noi gli
interventi pubblici sul mercato del credito non hanno generato costi per lo
Stato, ma un flusso, pur contenuto, di ricavi netti positivi sotto forma di
interessi e commissioni. Al contrario, in molti paesi esteri gli interventi
dello Stato a sostegno del sistema bancario hanno determinato per la finanza
pubblica e per i cittadini oneri assai cospicui, pari al 5,0 per cento del pil in
Spagna, al 5,5 nei Paesi Bassi, all’8,2 in Germania, a oltre il 22 in Grecia e
in Irlanda. Il volume dei trasferimenti in favore delle banche è stato assai
elevato anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito. A titolo di esempio, è
possibile calcolare che se in Italia fossero stati effettuati interventi in
rapporto al Pil pari a quelli della Germania, l’onere a carico delle nostre finanze
pubbliche sarebbe ammontato a 130 miliardi di euro”. Senza contare l’uso dei
fondi europei, molto maggiore.
Ai deputati
della Commissione Finanze, ai pochi che hanno ascoltato il vice-direttore
generale della Banca d’Italia Fabio Panetta, al seminario sull’applicazione
delle nuove normative in caso di crisi bancarie (per primi pagano azionisti e correntisti),
le cifre non hanno fatto senso. Ma danno un’idea precisa di come si regola l’Europa.
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