“Il
mondo è un posto sorprendente, e l’idea che noi siamo in possesso degli
strumenti di base necessari per comprenderlo non è più credibile oggi di quanto
lo fosse ai tempi di Aristotele”. La premessa è una sfida. Ma il sottotitolo
era già un bollettino di vittoria: “Perché la concezione neodarwiniana della natura
è quasi certamente falsa”. La conclusione è che la coscienza è un ostacolo a
una spiegazione naturalistica della vita: “L’esistenza della coscienza sembra
implicare che la descrizione fisica dell’universo, nonostante la sua ricchezza
e il suo potere esplicativo, sia solo parte della verità, e che l’ordine
naturale sia molto meno austero di quanto lo sarebbe se la fisica e a chimica
rendessero conto di tutto”.
Nagel,
filosofo dei fenomeni mentali, prova a scardinare il “naturalismo
riduzionistico”, sotto le specie fisiche e biologiche: “A me sembra che l’attuale
ortodossia sull’ordine cosmico… sia il prodotto di assunzioni di fondo prive di
fondamento, e che sfidi il senso comune”. Dopo aver parato preventivamente le
critiche: “L’argomento che muove dal fallimento del riduzionismo psicofisico è
un argomento filosofico, ma ritengo che ci siano ragioni empiriche indipendenti
per essere scettici rispetto alla verità del riduzionismo in biologia”. Cioè
nella bibbia darwiniana, dell’evoluzione naturale. L’approccio materialista
dominante ha mancato di spiegare fenomeni quali il pensiero, il ragionamento, l’intenzionalità, la capacità
valutativa. Lo stesso se si prende il discorso dall’altro capo:
se la coscienza non si spiega con la fisica e la biologia che abbiamo, e se la
mente è prodotto dell’evoluzione, “allora la biologia non può essere una
scienza puramente fisica”.
Una
riflessione “non ortodossa”, si dice lo stesso Nagel. Che, ateo e immanentista, è
scontento della lettura meccanicistica, da Galileo a Darwin, del mondo e della
stessa evoluzione. Houellebecq direbbe, poeta sconsiderato (nella traduzione di
Fausta Garavini e Alba Donati): “Il sistema è organizzato\ per la riproduzione
dell’identico.\ Il darwinismo avallato\ crea il banale autentico”. È il problema dei “sistemi”, che
inevitabilmente si chiudono, ma più quando si applicano al vivente.
Una
riflessione introdotta qui bizzarramente da Michele Di Francesco con molti
paletti riduttivi – riduzionistici. Tra essi una sterminata lista di filosofi –
di filosofi della mente, non di scienziati - che hanno già avuto modo di
criticare in pochi mesi il saggio. Ma procediamo con ordine.
Nagel,
filosofo dei fenomeni mentali, sfida il “naturalismo riduzionista”. Per
riduzionismo intendendosi l’assunto che ogni realtà scientifica ha l’evidenza
dell’osservazione. Secondo il modello di ricerca scientifica che si è imposto
nel Seicento, il modello meccanicistico, che le forme viventi “riduce” (spiega)
a macchine, per quanto complesse, combinazioni di particelle materiali. Una riflessione “non ortodossa”, premette
Nagel, che in effetti non ha nulla del pamphlettista: procede grave, sottile,
indecisivo. Ma fermo sul “fallimento del riduzionismo psicofisico”. E sul suo
limite evidente: “I grandi progressi nel campo delle scienze fisiche e
biologiche sono stati resi possibili dall’esclusione della mente dal mondo
fisico”. Conformando una “comprensione quantitativa”, di “leggi fisiche senza
tempo e formulate matematicamente”. Questo non è più possibile, bisogna includerci
la storia, dacché questa è stata inclusa per la cosmologia col Big Bang. Lo
steso la mente vuole un suo Big Bang. All’interno delle scienze fisiche ma
riconoscendone i limiti. Tanto più “quanto più scopriamo sulla complessità del
codice genetico e sul suo controllo dei processi chimici della vita”.
Nagel,
benché si professi profano, è in realtà scettico sulla casualità (fisica, biologica)
delle mutazioni una volta che le prime forme di vita sono apparse. Soprattutto
sulla “spiegazione riduzionistica delle origini della vita”. Contro il
“consenso dell’opinione scientifica”, riconosce. Ma l’evidenza a disposizione
non sradica razionalmente “l’incredulità dl senso comune”: “Nella storia della
natura sono al lavoro anche principi di tipo diverso, principi sull’aumento
dell’ordine che sono, per quanto riguarda la loro forma logica, teleologici
piuttosto che meccanicistici”. L’“ordine” si propone di “aumentare” sull’assunto
che “certe cose siano così degne di nota da dover essere spiegate come non
casuali”. Ma sempre con l’esigenza (“ideale”) di “scoprire un solo ordine naturale che
unifichi tutto”. Ideale incompatibile non solo col dualismo cartesiano ma anche
col teismo, di un “ordine naturale (opera) dell’intervento divino, il quale non
fa parte dell’ordine naturale” – di cui però fa sue alcune obiezioni, che dice irrefutate.
È “radicale
la differenza tra soggettivo e oggettivo mentale”. Wittgenstein era sensibile all’“errore”,
la sua riflessione nasce da questa faglia. Ma superarla con la grammatica del
linguaggio mentale non basta. Il comportamentismo, e più il comportamentismo
concettuale, di Ryle in riferimento a Wittgenstein, non risolve il dualismo
mente-corpo: “Il comportamentismo trascura proprio lo stato mentale interno”. Le
teorie dell’identità psicofisica proliferano, ma “trascurano proprio ciò che fu
deliberatamente escluso dal mondo fisico da Cartesio e Galileo per formare il
concetto moderno del fisico, ovvero le apparenze soggettive”. Quanto a se stesso, Nagel si limita a scoprire
le fondamenta , l’argomento antiriduzionista dice finora solo negativo. Perché
il compito è molto vasto: “Il materialismo richiede il riduzionismo; perciò il
fallimento del riduzionismo richiede che si cerchi un’alternativa al materialismo”.
Ma le obiezioni sono perfino ovvie: “La mente non è “il prodotto di un’aggiunta, un
evento accidentale o un accessorio, ma … un aspetto fondamentale della natura”.
Oppure: ”Il naturalismo evoluzionistico implica che non dovremmo prendere sul
serio alcuna dele nostre convinzioni, compresa la visione scientifica del mondo
da cui dipende lo stesso naturalismo evoluzionistico”.
Thomas
Nagel, Mente e cosmo, Raffaello
Cortina, pp. 134 € 16
La
tesi di Nagel non è indifendibile. La coscienza “non è l’aggiunta di un pizzico
di qualia alla vita organica, ma la
comparsa di punti di vista soggettivi individuali, un tipo di esistenza logicamente distinta da qualunque
cosa sia descrivibile dalle sole scienze fisiche”. La coscienza resta
inspiegata. Ma ciò non senza conseguenze sul sistema “riduzionistico”,
meccanicistico, naturalistico, che governa l’evoluzione. Dal momento che il
carattere cosciente degli organismi umani, occhi, orecchie, sistema nervoso,
etc, “è uno dei loro aspetti più importanti, la spiegazione della comparsa di
queste creature deve includere una spiegazione della comparsa della coscienza…
Se essa va spiegata sotto ogni aspetto in termini naturalistici, tramite la
comprensione della vita organica, è necessario cambiare qualcosa di fondamentale
nella nostra concezione dell’ordine naturale che ha dato origine alla vita”. Senonché
“il riduzionismo psicofisico è componente essenziale di un più ampio
programma naturalistico che non può
sopravvivere senza di esso”, sia scientifico che metafisico… Un terremoto?
È anche
una vindicatio della filosofia – altrimenti
che ci sta a fare (ne saprebbero di più le formiche, anche le api). Con paletti
solidi. Di filosofia analitica. Strana, poiché si parte da parole (realtà)
inspiegate: natura, materia, mente, corpo. Ma il fatto è certo: dove e cosa è,
in termini fisici, la coscienza – parola anch’essa evocativa più che
definitiva, ma ci capiamo. Siamo ancora
non sappiamo che cosa. Fra la coscienza e la fiscalità è come fra l’uomo e
l’orango, che sebbene siano per il 98 e qualcosa per cento sinili e uguali,
sono però differenti – di “natura” differente. Tra i fenomeni mentali e la
“natura” lo scarto è percentualmente irrisorio, diciamo pure millesimale, e
tuttavia naturalmente irriducibile.
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