Il seguito
delle storie sollazzevoli di cui Camilleri è maestro, più forse che di
Montalbano. Storie di corna perlopiù, o di vergini assatanate. Niente di che,
un piccolo decamerone vigatese dove solo si pensa a quello, declinandolo sullo
scherzo.
Scorretto
anche, molto. Sia politicamente: l’“opposizione” mai non quaglia, anzi sempre
viene messa nel sacco, qui anche da parrini e piscopi. Sia sessualmente: il
femminismo è di vecchia maniera, da galantuomini al circolo, che ne pensano una
più del diavolo – che pensano le donne più che diaboliche, avendone incrollabile
paura sotto la necessaria ammirazione.
L’affabulazione
viene meglio a Camilleri in dialetto, rispetto a quella su temi analoghi finora
esercitata in lingua nei romanzetti di costume. Con un effetto doppio. Il
rinvio indiretto, il dialetto risuonando come un arcaismo, al Tre-Quattrocento,
quando la narrazione non aveva messo le mutande, e il toscano-volgare era
ancora dialettale. E la costituzione, attorno all’aneddoto lubrico, di un
piccolo mondo chiuso, di caratteri diversi e quindi interessanti benché di vite
inutili.
Andrea
Camilleri, Le vichinghe volanti e altre
storie d’amore a Vigata, Sellerio, pp. 311 € 14
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