Papa Francesco
è “un conservatore”, non “un sovversivo”, e uno dell’“incontro” in un mondo che
affetta lo scontro. Ma è “un conservatore intelligente, che sa, proprio come
Giovanni XXIII, che si può conservare l’eredità della tradizione solo comprendendola,
non come moneta morta che passa di mano in mano fino a essere consumata, o come
un bel pezzo da museo, conservato sotto vetro”. Il cardinale Kasper, presidente
emerito del Consiglio per l’unità dei cristiani, tedesco di Svevia, ha giudizio
certo. Anche se il cammino intrapreso dal papa argentino il suo interlocutore
laico, il vaticanista Raffaele Luise, bergogliano professo, dice “complesso e,
a dispetto di quanto appare, non immediatamente decodificabile”. Se proprio si
vuole parlare di rivoluzione, aggiunge il cardinale, autore di “Misericordia”,
il testo di cui il papa ha fatto il suo programma nel primo “Angelus” dopo l’elezione,
tema che reitera pubblicando contemporaneamente a questa lunga intervista una
“Sfida della misericordia”, “la sua è la rivoluzione della misericordia, una
rivoluzione della rivoluzione”.
Di che stiamo
parlando in questo tanto parlare del giubileo della misericordia? Con
linguaggio spedito, normale e non curiale, non da giaculatoria, sia esso del
cardinale oppure di Luise, il teologo forse più vicino al papa ne spiega il
senso. Come di una doppia rivoluzione, accompagnandosi la misericordia al
decentramento, alla chiesa sinodale – pastorale, locale. Lo stesso Kasper Luise
definisce, oltre che “l’ispiratore del tema della misericordia che è il fulcro
dell’intero magistero di Bergoglio”, anche o di conseguenza l’“ispiratore di
quel percorso sinodale sulla famiglia che è il banco di prova dell’intero
pontificato”. Con uno snodo decisivo in questi giorni. Percorso sinodale e non ex cathedra, d’autorità.
La chiesa
sinodale Luise dice “La rivoluzione più
grande a cui ha messo mano in questi due anni il papa riformatore”. Con la
misericordia fa di più: “Sta cercando di riportare il cristianesimo alla sua
sorgente originaria, riaprendo nell’età secolare la questione di Dio”. La
misericordia Kasper dice al centro dell’Antico e del Nuovo Testamento. Una
centralità consacrata da Tommaso d‘Aquino, “genio teologico”, e ripresa da
Giovanni XXIII e dai suoi successori. Non “la benevolenza a buon mercato”,
Kasper ammonisce, “la misericordia non è buonismo”, anzi “confondere
misericordia con buonismo è non aver capito niente. Il buonismo è ingenuo,
menrre la misericordia vede e riconosce i problemi”. La misericordia “è la rachamim, deriva da rachem, il nome ebraico per utero” – è fonte
di vita, sperare con Dio per gli uomini. Un affidamento che il Vangelo ha
proposto con la parabola del Buon Samaritano.
Sembra
semplice, ne parla anche Camus – la giustizia può essere crudele senza il perdono
- ma la misericordia va oltre il
perdono, insiste il cardinale. È un modo di vivere. È tolleranza, ma è anche di
più. È generosità, ma è di più. È “un altro volto di Dio” – un altro Dio. Non
più colui che giudica e condanna, “una visione piuttosto veterotestamentaria”.
Che il cardinale vede confluire in Nietzsche: “Il dio geloso, cattivo e pericoloso
di Nietzsche, considerato spesso come il precursore del postmodernismo, che lo
accusa di conculcare la libertà dell’uomo e di opprimerlo al punto da sottrargli
la felicità”.
Un libro
rivoluzionario, senza proclami né eccessi, anche se di una rivoluzione più che
altro interiore. Sotto forma purtroppo di intervistona a ruota libera, che
scandita invece per temi avrebbe riposato e facilitato la lettura. Con molti
rimandi lasciati in sospeso, a Panikar, Dupuis, Teilhard de Chardin, Foucauld. Ma
è la spiegazione più serena e chiara di cosa sta succedendo a Roma in queste
settimane, sotto il susseguirsi quotidiano di moniti e esortazioni papali, A fine
mese sono attese le conclusioni del sinodo, che forse si sottovaluta. “Un piccolo
concilio”, lo dice Luise, lungo ormai diciotto mesi, “su un tema di etica sessuale”
– su più temi di etica sessuale. Aprendo il quale, un anno fa, papa Francesco ha spiegato, quasi sprezzante,
che Dio non è il Dio della legge ma “delle sorprese”. Ammonendo i vescovi a non
frustarne i disegni, ad aprirsi ai “segni dei tempi”. E questo è
controvertibile. Kasper stesso lo dice: “La tentazione di essere subalterna ai
tempi esiste sempre per la Chiesa”.,
Kasper è
rispettoso della gerarchia pontificia. Ma è quello del “teorema Kasper”,
divisato dai suoi oppositori non senza fondamento: di un nuovo approccio,
pastorale se non dottrinale, alla famiglia e alla sessualità. Che il papa ha
fatto suo come “conversione pastorale”. Si devono a lui frasi poi famose: “La
Chiesa non è un reperto fossile”, e “la Chiesa non è un museo”. Luise,
vaticanista molto colto, in dottrina e in storia della chiesa, lo stimola su
temi sempre rilevanti. Il papa va più in là. In linea “con un’ecclesiologia
particolare”, dice Kasper, quella della «teologia del popolo» argentina”. Rielaborata,
col contributo dello stesso Bergoglio, a partire dalla “teologia della liberazione”
latinoamericana - e poi adottata dal populismo neo peronista. Consacrata
a Roma nell’incontro con i Movimenti Popolari del mondo, poi ripetuto in
Bolivia..
Walter Kasper,
Raffaele Luise, Testimone della
misericordia, Garzanti, pp. 175 € 14
Kasper non si
stanca di ripetere che Francesco è un gesuita, che si muove “nella spiritualità
ignaziana”, della volontà che tutto muove. Per esempio nella politica? Luise
richiama “il volto severo del papa durante l’udienza al presidente Obama”, dopo
aver lungamente argomentato con Kasper che il papa non vuole immischiarsi nella
politica - il papa che ha la sua da dire ogni giorno su tutto. O nella
collegialità, l’ordinamento decentrato che il papa vuole per la chiesa? I
cardinali però esclusi, ai quali per gli auguri di Natale ha diagnosticato
almeno quindici malattie, tutte gravi e anche insultanti.
L’ottantaduenne cardinale sa che “la Chiesa costantiniana è
stata sconfitta dalla società postsecolare e dallo Stato laico”. Ma non ha
ricette, confida in un ossimoro: “La forza della Chiesa si mostra nella sua
debolezza”. Nella prudenza: “Il fondamento di tutte le virtù è la prudenza, -
diceva già Tommaso d’Aquino”. Il lettore
lasciando alla “metafora del poliedro”, anch’essa del papa. Il cardinale s’è
informato sulle proprietà di questa figura che non conosceva, e ora, dice, “ho
capito la bellezza della metafora”. Il cui senso è: mettere “in crisi la
razionalità cartesiana”.
C’è da stare
allegri? Il poliedro significa che il papa non vuole “omologare e spegnere le
diversità delle culture e delle religioni”. Anzi: “Sa che tutto non si può
collocare in un sistema perfetto, perché questo non corrisponde alla creazione
come Dio l’ha sognata né al peccato che ha creato caos né alla pluriformità dei
carismi dello Spirito”. Salvo abolire la Chiesa Uniate, la chiesa
greco-cattolica. In Europa orientale, così come nel Medio Oriente e in Africa,
queste chiese locali e insieme latine, chiosa Kasper, “nate nel Cinquecento”, creano
“molti problemi” al dialogo. Niente biodiversità, qui, da proteggere, solo accortezza
politica. Con uno Spirito Santo, che questo papato sempre invoca, molto vicino
al caos, benché peccaminoso. Lo stesso “dialogo”
non si capisce alla fine se debba accettare le diversità culturali oppure sopprimerle:
un “autentico dialogo”, chiede Luise, “non consiste nella purificazione delle
diverse fedi dalle incrostazioni storico-etniche?”, e il cardinale risponde “sì,
è urgente liberare Dio dalle gabbie culturali”. Lo “Spiritus” tanto citato “ubi
vult spirat”, come voleva l’evangelista Giovanni?
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