Mosca negoziò
ripetutamente con Mussolini la liberazione di Gramsci, da subito dopo
l’arresto. La liberazione era probabilmente concordata, a tappe, cominciando
dal ricovero in clinica, al Quisisana di Roma. Ma l’interevento intempestivo e
superficiale del partito Comunista d’Italia, bloccò l’operazione. Fabre
documenta una trattativa ripetuta e insistente tra Mosca e Mussolini. E la
leggerezza del Centro Estero del Pcd’I, che si attribuì l’uscita di Gramsci dal
carcere, facendone un successo della propaganda antifascista all’estero: il
passo ulteriore, la liberazione definitiva, fu così precluso. Se non fu
cinismo: nel gruppo parigino del Pcd’I avevano voce alcuni nemici personali di
Gramsci, in particolare Athos Lisa.
La parola fine,
a questo punto, sul perché Gramsci non fu liberato, come anche a Mussolini
conveniva. E l’inizio della sempre procrastinata revisione della natura e la
funzione del Pci nella politica italiana, durante il fascismo e poi, con
Togliatti e la Repubblica.
Fabre, storico
non accademico ma acuto rimestatore di archivi (qui anche di quelli sovietici
donati da Gorbaciov a Natta, il successore di Berlinguer alla guida del Pci,
concernenti il primissimo intervento di Mosca a favore di Gramsci, attraverso
il Vaticano), non trae le conseguenze dei suoi ritrovamenti. Ma ne pianta le
fondamenta. Quindi è da rivedere il distacco, e anzi l’opposizione, di Gramsci
alle politiche dell’Urss che finora ha fatto testo – fino a considerare
l’arresto come una decisione di Mussolini dopo un via libera da Mosca. Con
l’ostilità fra Gramsci e Mosca è da rivedere
la storia del Pci di Togliatti, che quella opposizione ha fatto
balenare, senza documentarla né affermarla esplicitamente, giusto quanto è servito
ad accreditare, una vita tutta italiana al comunismo.
Giorgio Fabre, Lo scambio. Come Gramsci non fu liberato,
Sellerio, pp. 529, ill. € 24
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