mercoledì 7 ottobre 2015

Il mondo com'è (233)

astolfo

Francia-Italia – Non ci sono due paesi in Europa più legati, per la storia, la geografia, la cultura politica. Ma la Franca è sempre stata avventurosamente rapinatrice con l’Italia, fino all’attacco destabilizzatore in Libia – che non è finito con l’assassinio di Gheddafi. Tanto è pacifica l’identificazione culturale e temperamentale tra i due popoli, altrettanto indiscutibilmente la Francia è sempre  stata predatrice in Italia e contro l’Italia. Con l’eccezione dell’aiuto di Napoleone III nella seconda guerra risorgimentale per l’unità – ma anche quella a un costo, Nizza e la Savoia. I normanni hanno lascito tracce quando sono passati per matrimonio agli Hohenstaufen.  Gli angioini,  mai amati, non hanno lasciato alcuna traccia in Sicilia e a Napoli. In Sicilia, terra adusa alle dominazioni straniere, sono stati gli unici a essere cacciati, tale era l’esasperazione che avevano provocato. La storia continua col papato ad Avignone, l’invasione predatoria di Carlo VIII, senza alcun reale disegno politico, le conquiste di Luigi XII, le ruberie di Napoleone.

Legge elettorale – Sotto le polemiche e le distinzioni di pelo caprino, può essere, ed è stata nella storia della Repubblica, di tre tipi: proporzionale, maggioritaria per collegio, maggioritaria di lista. Il proporzionale significa la partitocrazia: si vota per un partito, e gli eletti saranno in proporzione ai voti del partito. I collegi maggioritari danno la prevalenza al candidato – collegato al partito, ma in rapporto inverso: il partito di fa forte del successo del candidato. La legge in vigore, che l’Italicum accentua, reinstaura la partitocrazia del proporzionale, e in più dà un potere decisivo ai capipartito, che decidono quale dei loro candidati deve avere le maggiori possibilità di essere eletto (decidono l’ordine delle preferenze).
Quest’ultimo è il sistema che ha portato tante belle ragazze, con poca o punta capacità politica e magari senza nessun titolo culturale, al Parlamento e al governo. Nel presupposto che piaceranno  agli elettori e non disturberanno l manovratore.

Rommel – Curiosa figura di mito germanico, che identifica in lui, erroneamente, l’ideatore e l’esecutore brillante del Blitzktrieg, la guerra lampo. Responsabile della prima sconfitta dell’Asse, in Nord Africa, preludio allo sbanco alleato in Sicilia. E della sconfitta con sbarco in Normandia. Ma celebrato come un grande condottiero. Anche nella prima guerra mondiale non aveva brillato.
In Africa, se fu maestro lo fu del camuffamento. Carri armati costruì di compensato, legò rastrelli ai camion per fare polvere, schierò in battaglia i mezzi catturati al nemico, per confonderlo. Un  mago illusionista, nella marina borbonica sarebbe stato il Clausewitz dell’ammuìna. Che così mostrava agli inglesi dove si trovava: l’esposizione attraverso la mimetizzazione.
“Voglio prendere Alessandria”, diceva, “e pure il Cairo”. E fu l’inizio della fine. In questo è simpatico: il genio del Blitzkrieg che appronta disfatte vorticose per le armate nazi, si può farne un eroe della Resistenza, una quinta colonna. Si voleva anzi a Bassora. Nel Golfo Persico, novello Napoleone, davanti a sé vedendo solo mammalucchi.
Morivano i tedeschi nell’Africa Korps come mosche nella sua “guerra senza odio”, una buona metà già nella prima offensiva britannica del 1941, benché il maresciallo ne favorisse la ritirata sui camion dei fan-i italiani, che si dovettero fare a piedi Tobruk-Bengasi, duecento chilometri - i camion nelle tante ritirate erano riservati ai tedeschi, quelli che avevano la benzina, e quando gli italiani tentavano di aggrapparsi ai cassoni i bezerkir dell’Afrika Korps andavano al corpo a corpo, a pestare loro le mani. Distrutti nella prima offensiva anche tutti i carri armati tedeschi, quattrocento, e tutti gli aerei della Luftwaffe, mille. Così il favorito del Führer, di cui aveva comandato la guardia, divenne la gloria militare del Reich, e preparò la rincorsa dei britannici fino a Alamein, alle porte di Alessandria, a duemilacinquecento chilometri dal porto base di Tripoli - il suo genio gareggiava con quello di Graziani, che per primo aveva puntato allegro sul Cairo, riuscendo a lasciare agli inglesi centotrentamila prigionieri, un esercito, con quattrocento carri armati e 1.290 cannoni, mentre si lamentava con Roma di non avere mezzi sufficienti.
         
La gloria di Rommel si fa ascendere a un’azione di guerriglia il 9 novembre 1917, quando, da solo, prese Longarone e novemila italiani prigionieri. Così la raccontava agli astuti teutoni e storici britannici. In Italia si appropriò anche del suo unico titolo di nobiltà: a Longarone, alla tomba della famiglia Molino, pretese di aver trovato gli antenati della moglie Lucie Maria Mollin, emigrati sette secoli prima. Ma l’eroico maresciallo disprezzava l’Italia. Si danno questa certezza i razzisti, che per il fatto di stare a Nord possano guardare il mondo dall’alto in basso.
Per disprezzo Rommel non tenne conto delle utili indicazioni che Nasser e Sadat, i nazionalisti egiziani, gli facevano pervenire sul fronte interno. Ma è vero che la liberazione dell’Egitto era l’ultima cosa che il generale voleva, anche se gli avrebbe fatto vincere la guerra. I bersaglieri gli regalarono il cappello piumato, Rommel non lo indossò mai. Nell’avanzata verso l’oceano Indiano che finì a Alamein furono gli italiani a prendere il fronte decisivo a Gazala, aprendo la via alla riconquista di Tobruk. Lui invece, nel mezzo dell’ultima battaglia se ne andò alle terme in Germania. Abbandonerà il fronte pure prima dell’ultima battaglia, a Mareth in Tunisia.
Sarà il comandante tedesco in Nord Italia dopo la caduta del fascismo, e bisognerà al confronto rivalutare i fascisti di Salò, nell’ottica “ariana” vigliacchi per essere italiani, che si scannarono feroci col resto d’Italia per difendere il culo a Hitler. Nei giorni dello sbarco in Normandia Rommel, comandante del Vallo atlantico che doveva ributtare gli Alleati in mare, se ne andrà a Berlino.
Vinse a Marsa Matruh, l’unica volta in Africa, perché i britannici scapparono nella confusione, bombardati dalla stessa Raf. Per un anno il capo guardia di Hitler fece guerra contro un comando britannico incapace e diviso, è tutta qui la sua gloria. Si divertiva a correre nel deserto, e per questo divenne famoso, ma tutti ne sono capaci, nel deserto lo spazio non manca. Nel mezzo della prima offensiva britannica si lanciò ebbro verso la frontiera egiziana, che non s’accorse di avere superato. Quando lo capì e tornò in Cirenaica ci trovò i nemici e dovette evacuarla: dalle tagliole britanniche lo salvarono ancora una volta i carri dell’Ariete. Ma fu un’eccezione: Rommel si fece forte in Africa contro avversari singolarmente inetti. I britannici usavano i carri armati come le squadre di calcio, tutte all’attacco. E ogni squadra faceva la sua guerra, i carristi non parlavano con gli artiglieri, i carristi e gli artiglieri non parlavano coi fanti, un corpo d’armata combatteva duramente e si scompaginava, quello accanto non se ne accorgeva neanche. Montgomery non è migliore?

A molti inglesi Montgomery non piace. Ma nessun inglese critica Rommel, che deve restare grande perché Alamein sia vittoria grandissima. È del resto vero, Rommel fu tanto volpe da rovesciare le sorti della guerra. Doveva essere il Silla della guerra a Hitler, dice Jünger – nella prefazione 1979 a “Giardini e strade” (l’ha detto pure prima?). Si capisce che sia fallita. “Era il solo capace di portare sulle spalle”, dice Jünger, “il terribile bilanciere della guerra e della guerra civile. Il solo che possedesse abbastanza ingenuità per replicare la spaventosa semplicità di quelli che doveva attaccare”. Beh, questo è vero. Ma Hitler per primo si voleva Silla – i tedeschi si vogliono greci e idealizzano il distruttore di Atene.

Senato – La strada è segnata per la sua abolizione, all’insegne del rinnovamento improcrastinabile, mentre una funzione sua specifica non è mai stata esplorata che avrebbe potuto essere dirimente nello Stato contemporaneo, di leggi e regolamenti che si affastellano senza criterio e anche contro la costituzione e le stese leggi. Una sorta di ombudsman generalizzato. Così lo proponeva già molti anni fa don Sturzo in un discorso al Senato dopo che fu nominato senatore a vita a fine 1952: “Garantire il cittadino contro tutte le sopraffazioni, le ingerenze, le pastoie legislative che… si vanno introducendo in questo periodo di rinascita di libertà… È proprio il Senato che l’istituto che dovrebbe ridare fiducia nello Stato, vigilando sulla pubblica amministrazione, curando l’equilibrio dei poteri e assicurando al cittadino la garanzia contro lo strapotere degli enti pubblici”.

astolfo@antiit.eu 

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