Israele nucleare – È Israele la potenza nucleare
del Mediterraneo, Medio oriente incluso fino all’Afghanistan. Col sostegno
finanziario e tecnico della Germania. Non dichiarando l’armamento nucleare, Israele
non incorre nelle sanzioni del trattato di non proliferazione nucleare, ma il
suo arsenale atomico è noto e ammesso.
Israele
aveva già fabbricato almeno due ordigni operativi alla vigilia della guerra dei
Sei Giorni nel 1967, testati nel Sud Africa allora afrikaner. Alla guerra del Kippur, sei anni dopo, disponeva di
otto-dieci testate. Oggi l’arsenale atomico israeliano è conteggiato in 120-200
ordigni operativi, di cui 80 “strategici”. Che Israele è in grado cioè di utilizzare
su veicoli a lungo raggio, missilistici (fino 11 mila km.), aerei e navali. La
fornitura di sommergibili convenzionali equipaggiabili con missili cruise a testata nucleare amplia il
raggio d’azione del deterrente israeliano praticamete tous azimut.
È la
Germania che rifornisce i sommergibili dei missili cruise. Tecnicamente, Israele ha sviluppato l’arma atomica in
Francia. Il costo è stato invece sostenuto dalla Germania. In base a un accordo
firmato nel 1960 dal cancelliere Adenauer e da David Ben Gurion, padre fondatore
di Israele e all’epoca rimo ministro. Il
costo totale viene calcolato in cinque miliardi di euro.
La
Germania cofinanzia, per un terzo del valore, pure i sommergibili i corso di
fornitura a Israele.
L’accordo
Usa-Iran è stato contestato da Israele perché potrebbe intaccare la sua
posizione di unica potenza nucleare in Medio Oriente.
Mediterraneo
- È
la sua cancellazione all’origine della “scomparsa” dell’Europa? È arduo
professarlo, ma è così – è più probabile
che sia così. La sua funzione di cerniera, tra l’Europa e il resto del mondo –
a meno di non voler passare per l’inospitale Russia siberiana - è stata
inalterata nei secoli. Anche dopo la scoperta dell’America. Ancora la seconda
guerra mondiale è stata vinta nel Mediterraneo – gli Alleati hanno cominciato a
vincerla in Nord Africa e in Sicilia. Nel Mediterraneo, a Suez, si è affermata
l’egemonia americana su tutto l’Occidente, nel 1956, emarginando Francia e Gran
Bretagna. Senza che tuttavia l’Europa perdesse la sua funzione: l’anno dopo si
riscattava con la creazione del Mec, avviata a Messina nel 1957.
L’eclisse dell’Europa si profila
col cancellierato Kohl, che volle la disgregazione della Jugoslavia per
“annettersi” la Slovenia e la Croazia. Un’allegra cancellazione del Sud Europa
che sfocia nella “guerra” alla Grecia e poi all’Italia. Parallela al
disinteresse totale per le questioni mediorientali, per la Libia, per la
Tunisia, per l’Egitto, per il radicalismo arabo-islamico, per le masse di
immigrati disperati, già tremila morti affogati solo quest’anno (delle ultime
centinaia non si dà più nemmeno notizia). Della stabilità politica del Mediterraneo,
Turchia compresa. Degli approvvigionamenti energetici.
Annessione e guerra sono termini
simbolici: non ci sono annessioni ma feudi politici sì. Né ci sono guerre, ma
match truccati sì. Anche da un punto di vista etico, della responsabilità, non si
può dire che l’abbandono del Mediterraneo sia stato proficuo, abbia portato più
serietà nelle trattazioni, più certezze del diritto.
Si ragioni un momento per ipotesi
in astratto. Come è possibile che l’Europa si concepisca tutta al Nord, quando
è condizionata per la sicurezza, per l’approvvigionamento energetico, per
l’ordine pubblico, per gli assetti demografici e sociali, dal Mediterraneo?
Dalla frontiera euro-afro-asiatica?
Napoleone
– Un
ladro e un sanguinario? Lo era, e potrebbe benissimo ridursi a queste
connotazioni, non fosse per il sentimentalismo delle leggi nuove che in qualche
modo introdusse in Europa - in Italia, in Germania, nel Belgio-Olanda: da
Goethe a Hegel, ai lombardi della Repubblica Cisalpina, perfino un poco in
Spagna. Stendhal, che tutta la vita tentò di scriverne, fece molte prove ma non
sciolse il nodo che glielo impediva: lo ammirava come stratega in battaglia ma
non sapeva passare sopra alle malefatte.
Andò in Egitto per nient’altro
che per derubarlo. In Italia non si ricorda ladro peggiore, nemmeno Carlo VIII
rubò tanto. Con la pletora di familiari da sistemare e gli amici e servitori
devoti da nobilitare, con prebende, a carico della finanza pubblica.
Dappertutto introducendo la levée en
masse, la leva obbligatoria, per farsi fare le guerre. Fu questa la ragione
principale per cui non “pacificò” mai la Spagna: dovendo andare in guerra,
tanto valeva battersi contro di lui che per lui. E e nel Sud Italia la
Calabria, dove i “massisti” furono incoraggiati e armati dagli inglesi. Andò in
Russia, impresa assurda da ogni punto di vista, unicamente per creare feudi e a scopo di rapina.
Progressismo – È ora di destra, liberale ultra. Mentre la
sinistra è e si ritiene conservatrice: protezione
del lavoro, dei diritti acquisiti, dei contratti – sui temi etici e civili
destra e sinistra condividono il free for
all. Il Nobel, premio progressista, per l’Economia a Angus Deaton incorona le
disuguaglianze. Di cui il premiato è l’analista e il celebratore: il progresso (ricchezza,
cultura, felicità) avviene attraverso le disuguaglianze, per il bisogno – con
una “soglia della felicità” irraggiungibile ai più, poiché bisogna disporre di
75 mila dollari, netti, l’anno.
Anche in
campo internazionale, si concelebra con Deaton il vecchio teorema di cinquant’anni
fa degli aiuti allo sviluppo inutili e in
parte dannosi. Denominato “cartierismo”, dal giornalista francese Raymond
Cartier che faceva campagna contro le colonie – “costano troppo”.
L’aiuto
allo sviluppo era criticato anche perché sostituiva regole più aperte negli
scambi internazionali, nel senso del liberismo, poi instaurate con la “globalizzazione”,
che invece avrebbero solidamente impiantato lo sviluppo nelle aree povere. Questa
è una vecchia critica di sinistra, che con Deaton si è imposta da destra. A
metà degli anni 1960 P.T. Bauer, l’economista internazionale della London School
of Economics, argomentava, sulla base delle partite correnti tra paesi donatori paesi recipienti, che degli aiuti allo sviluppo
traevano beneficio i donatori. Avendo fatto i conti dei
trasferimenti - il dare e avere reale degli aiuti - aveva scoperto che aiutavano
i donatori, oltre alle élites dei destinatari: “I poveri dei paesi
ricchi finanziano con le tasse i ricchi dei paesi ricchi e dei paesi poveri”, affermava.
Cinquant’anni fa questa posizione passava per
retrograda, anche se Bauer e la Lse gravitavano nell’area socialista - al suo
seminario, ristrettissimo, era contestata da Angela Davis.
Savonarola - Un Lutero made in Italy? Un mobilitatore. Un
divinatore e profeta. Gli mancavano le basi teologiche di Lutero e le Alpi di
mezzo. Anche l’intelligenza politica. Fu l’esito, uno fra i tanti, di un
messianismo popolaresco, molto diffuso nel Nord Italia, Firenze inclusa.
Residuo del messianismo dei primi secoli del mllennio. Zelina Zanfarana,
studiosa della storia religiosa di Firenze nel Quattorcento, rilevava in un
lontano studio, nel 1968, “Una raccolta privata di prediche”, che l’offerta
religiosa e omiletica a Firenze a fine secolo era talmente affollata e varia
che chiunque cercasse la salvezza in lacrime poteva fare a meno di Savonarola.
Fu
perduto dal governo democratico, che indirettamente perseguì, osteggiando la
Signoria, e con l’invasione ci Carlo VIII impose. Più che dal papa, dai
francescani e dai Medici. Il governo democratico gli alienò le simpatie
popolari: non è un paradosso, è un fatto storico.
Passato
per fanatico, era invece un realista. Fino all’ultimo si misurò abilmente con i
Medici, che avversava, e col papa Borgia. Moltiplicò a dismisura le vocazioni a
Firenze, al suo convento a San Marco, domenicano. Si vollero frati domenicani tra
i tanti Pico della Mirandola, in morte, e Angelo Poliziano. Osteggiò una chiesa che peggiore non poteva
essere. Era
papa Roderigo Borgia, di costumi sessuali dissoluti, e di politiche
nepotistiche avventurose. Il tempo di Savonarola era quello. Giovanni dei
Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, era stato fatto cardinale a otto ani.
Il figlio del duca Ercole d’Este, Ippolito, arcivescovo d’Ungheria alla stessa
età. E tuttavia i Medici e lo stesso papa Borgia lo tenevano in gran rispetto:
lo temevano e lo lusingavano.
All’invasione
predatoria del re francese sulla strada per Napoli, la città lo delegò a
trattare. Ebbe successo, indebolì i Medici, favorì il governo democratico. Era
impegnato, oltre che per il rinnovamento della chiesa, per il ritorno di
Firenze alla repubblica, alle “virtù repubblicane”, e questo lo perse. Le molte
fazioni in cui la città era divisa, Compagnacci, Bigi, Arrabbiati, furono presto
scontente del governo democratico, e i suoi stessi Piagnoni si assottigliarono
vistosamente in breve. Restò quindi isolato di fronte ai suoi, relativamente
pochi, nemici. Che rapidamente se ne sbarazzarono, condannandolo all’impiccagione
e al rogo. Subito poi il papa Borgia si disse male informato, e disposto a
santificarlo. Disponibili a riconoscere l’errore e alla canonizzazione si
dissero anche i papi Giulio II e Clemente VIII, un Medici che sempre gli era stato
devoto, figio di Giuliano.
Nel
rogo dei libri di Dante, Petrarca e Pulci, nel 1496, da lui ritenuto il grande
corruttore di Firenze (forse per non poter criticare Lorenzo il Magnifico), Savonarola
volle aggiunto anche il “Decameron”. Ma il suo “Lamento contro la corruzione” era
anche il lamento della Pampinea del “Decameron”, il degrado morale e politico
della città di Firenze.
astolfo@antiit.eu
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