mercoledì 14 ottobre 2015

Il mondo com'è (234)

astolfo

Israele nucleare – È Israele la potenza nucleare del Mediterraneo, Medio oriente incluso fino all’Afghanistan. Col sostegno finanziario e tecnico della Germania. Non dichiarando l’armamento nucleare, Israele non incorre nelle sanzioni del trattato di non proliferazione nucleare, ma il suo arsenale atomico è noto e ammesso.
Israele aveva già fabbricato almeno due ordigni operativi alla vigilia della guerra dei Sei Giorni nel 1967, testati nel Sud Africa allora afrikaner. Alla guerra del Kippur, sei anni dopo, disponeva di otto-dieci testate. Oggi l’arsenale atomico israeliano è conteggiato in 120-200 ordigni operativi, di cui 80 “strategici”. Che Israele è in grado cioè di utilizzare su veicoli a lungo raggio, missilistici (fino 11 mila km.), aerei e navali. La fornitura di sommergibili convenzionali equipaggiabili con missili cruise a testata nucleare amplia il raggio d’azione del deterrente israeliano praticamete tous azimut.
È la Germania che rifornisce i sommergibili dei missili cruise. Tecnicamente, Israele ha sviluppato l’arma atomica in Francia. Il costo è stato invece sostenuto dalla Germania. In base a un accordo firmato nel 1960 dal cancelliere Adenauer e da David Ben Gurion, padre fondatore di Israele e all’epoca rimo ministro.  Il costo totale viene calcolato in cinque miliardi di euro.
La Germania cofinanzia, per un terzo del valore, pure i sommergibili i corso di fornitura a Israele.
L’accordo Usa-Iran è stato contestato da Israele perché potrebbe intaccare la sua posizione di unica potenza nucleare in Medio Oriente.  

Mediterraneo - È la sua cancellazione all’origine della “scomparsa” dell’Europa? È arduo professarlo,  ma è così – è più probabile che sia così. La sua funzione di cerniera, tra l’Europa e il resto del mondo – a meno di non voler passare per l’inospitale Russia siberiana - è stata inalterata nei secoli. Anche dopo la scoperta dell’America. Ancora la seconda guerra mondiale è stata vinta nel Mediterraneo – gli Alleati hanno cominciato a vincerla in Nord Africa e in Sicilia. Nel Mediterraneo, a Suez, si è affermata l’egemonia americana su tutto l’Occidente, nel 1956, emarginando Francia e Gran Bretagna. Senza che tuttavia l’Europa perdesse la sua funzione: l’anno dopo si riscattava con la creazione del Mec, avviata a Messina nel 1957.
L’eclisse dell’Europa si profila col cancellierato Kohl, che volle la disgregazione della Jugoslavia per “annettersi” la Slovenia e la Croazia. Un’allegra cancellazione del Sud Europa che sfocia nella “guerra” alla Grecia e poi all’Italia. Parallela al disinteresse totale per le questioni mediorientali, per la Libia, per la Tunisia, per l’Egitto, per il radicalismo arabo-islamico, per le masse di immigrati disperati, già tremila morti affogati solo quest’anno (delle ultime centinaia non si dà più nemmeno notizia). Della stabilità politica del Mediterraneo, Turchia compresa. Degli approvvigionamenti energetici.
Annessione e guerra sono termini simbolici: non ci sono annessioni ma feudi politici sì. Né ci sono guerre, ma match truccati sì. Anche da un punto di vista etico, della responsabilità, non si può dire che l’abbandono del Mediterraneo sia stato proficuo, abbia portato più serietà nelle trattazioni, più certezze del diritto.
Si ragioni un momento per ipotesi in astratto. Come è possibile che l’Europa si concepisca tutta al Nord, quando è condizionata per la sicurezza, per l’approvvigionamento energetico, per l’ordine pubblico, per gli assetti demografici e sociali, dal Mediterraneo? Dalla frontiera euro-afro-asiatica?

Napoleone – Un ladro e un sanguinario? Lo era, e potrebbe benissimo ridursi a queste connotazioni, non fosse per il sentimentalismo delle leggi nuove che in qualche modo introdusse in Europa - in Italia, in Germania, nel Belgio-Olanda: da Goethe a Hegel, ai lombardi della Repubblica Cisalpina, perfino un poco in Spagna. Stendhal, che tutta la vita tentò di scriverne, fece molte prove ma non sciolse il nodo che glielo impediva: lo ammirava come stratega in battaglia ma non sapeva passare sopra alle malefatte.
Andò in Egitto per nient’altro che per derubarlo. In Italia non si ricorda ladro peggiore, nemmeno Carlo VIII rubò tanto. Con la pletora di familiari da sistemare e gli amici e servitori devoti da nobilitare, con prebende, a carico della finanza pubblica. Dappertutto introducendo la levée en masse, la leva obbligatoria, per farsi fare le guerre. Fu questa la ragione principale per cui non “pacificò” mai la Spagna: dovendo andare in guerra, tanto valeva battersi contro di lui che per lui. E e nel Sud Italia la Calabria, dove i “massisti” furono incoraggiati e armati dagli inglesi. Andò in Russia, impresa assurda da ogni punto di vista, unicamente  per creare feudi e a scopo di rapina.

Progressismo – È ora di destra, liberale ultra. Mentre la sinistra è e si ritiene conservatrice:  protezione del lavoro, dei diritti acquisiti, dei contratti – sui temi etici e civili destra e sinistra condividono il free for all. Il Nobel, premio progressista, per l’Economia a Angus Deaton incorona le disuguaglianze. Di cui il premiato è l’analista e il celebratore: il progresso (ricchezza, cultura, felicità) avviene attraverso le disuguaglianze, per il bisogno – con una “soglia della felicità” irraggiungibile ai più, poiché bisogna disporre di 75 mila dollari, netti, l’anno.
Anche in campo internazionale, si concelebra con Deaton il vecchio teorema di cinquant’anni fa  degli aiuti allo sviluppo inutili e in parte dannosi. Denominato “cartierismo”, dal giornalista francese Raymond Cartier che faceva campagna contro le colonie – “costano troppo”.
L’aiuto allo sviluppo era criticato anche perché sostituiva regole più aperte negli scambi internazionali, nel senso del liberismo, poi instaurate con la “globalizzazione”, che invece avrebbero solidamente impiantato lo sviluppo nelle aree povere. Questa è una vecchia critica di sinistra, che con Deaton si è imposta da destra. A metà degli anni 1960 P.T. Bauer, l’economista internazionale della London School of Economics, argomentava, sulla base delle partite correnti tra paesi donatori  paesi recipienti, che degli aiuti allo sviluppo traevano beneficio i donatori. Avendo fatto i conti dei trasferimenti - il dare e avere reale degli aiuti - aveva scoperto che aiutavano i donatori, oltre alle élites dei destinatari: “I poveri dei paesi ricchi finanziano con le tasse i ricchi dei paesi ricchi e dei paesi poveri”, affermava.
Cinquant’anni fa questa posizione passava per retrograda, anche se Bauer e la Lse gravitavano nell’area socialista - al suo seminario, ristrettissimo, era contestata da Angela Davis.

Savonarola - Un Lutero made in Italy? Un mobilitatore. Un divinatore e profeta. Gli mancavano le basi teologiche di Lutero e le Alpi di mezzo. Anche l’intelligenza politica. Fu l’esito, uno fra i tanti, di un messianismo popolaresco, molto diffuso nel Nord Italia, Firenze inclusa. Residuo del messianismo dei primi secoli del mllennio. Zelina Zanfarana, studiosa della storia religiosa di Firenze nel Quattorcento, rilevava in un lontano studio, nel 1968, “Una raccolta privata di prediche”, che l’offerta religiosa e omiletica a Firenze a fine secolo era talmente affollata e varia che chiunque cercasse la salvezza in lacrime poteva fare a meno di Savonarola.

Fu perduto dal governo democratico, che indirettamente perseguì, osteggiando la Signoria, e con l’invasione ci Carlo VIII impose. Più che dal papa, dai francescani e dai Medici. Il governo democratico gli alienò le simpatie popolari: non è un paradosso, è un fatto storico.
Passato per fanatico, era invece un realista. Fino all’ultimo si misurò abilmente con i Medici, che avversava, e col papa Borgia. Moltiplicò a dismisura le vocazioni a Firenze, al suo convento a San Marco, domenicano. Si vollero frati domenicani tra i tanti Pico della Mirandola, in morte, e Angelo Poliziano.  Osteggiò una chiesa che peggiore non poteva essere. Era papa Roderigo Borgia, di costumi sessuali dissoluti, e di politiche nepotistiche avventurose. Il tempo di Savonarola era quello. Giovanni dei Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, era stato fatto cardinale a otto ani. Il figlio del duca Ercole d’Este, Ippolito, arcivescovo d’Ungheria alla stessa età. E tuttavia i Medici e lo stesso papa Borgia lo tenevano in gran rispetto: lo temevano e lo lusingavano.
All’invasione predatoria del re francese sulla strada per Napoli, la città lo delegò a trattare. Ebbe successo, indebolì i Medici, favorì il governo democratico. Era impegnato, oltre che per il rinnovamento della chiesa, per il ritorno di Firenze alla repubblica, alle “virtù repubblicane”, e questo lo perse. Le molte fazioni in cui la città era divisa, Compagnacci, Bigi, Arrabbiati, furono presto scontente del governo democratico, e i suoi stessi Piagnoni si assottigliarono vistosamente in breve. Restò quindi isolato di fronte ai suoi, relativamente pochi, nemici. Che rapidamente se ne sbarazzarono, condannandolo all’impiccagione e al rogo. Subito poi il papa Borgia si disse male informato, e disposto a santificarlo. Disponibili a riconoscere l’errore e alla canonizzazione si dissero anche i papi Giulio II e Clemente VIII, un Medici che sempre gli era stato devoto, figio di Giuliano.

Nel rogo dei libri di Dante, Petrarca e Pulci, nel 1496, da lui ritenuto il grande corruttore di Firenze (forse per non poter criticare Lorenzo il Magnifico), Savonarola volle aggiunto anche il “Decameron”. Ma il suo “Lamento contro la corruzione” era anche il lamento della Pampinea del “Decameron”, il degrado morale e politico della città di Firenze. 

astolfo@antiit.eu 

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