Destra
– In Francia, Polonia,
Inghilterra, e in vari paesi balcanici, fino a lambire l’Austria,.è lo schieramento politico e culturale
dominante. Non più per il gioco di bascula tra sinistra e destra che le leggi
elettorali tendono a favorire, ma con costanza, da tempo. Basata sul rinascente
nazionalismo, nei confronti dell’Unione Europea, e contro la crisi economica e
l’emergenza immigrazione. L’Italia fa eccezione, ma molta sinistra è su
posizioni di destra.
Anche negli anni Trenta, dopo il
crac di Wall Street e con la Grande Depressione, l’Europa si spostò a destra:
ben diciannove regimi erano fascisti o parafascisti, e negli altri le cose non
erano chiare, in Francia, per esempio, in Belgio – eccetto che in Gran
Bretagna. La differenza è ora che molte donne sono al potere, e che non ci sono
più trascina popoli giornalisti e imbianchini ma cantanti, attori, comici.
Onfray, filosofo di sinistra,
fondatore e animatore a Caen di una università popolare una quindicina d’anni
fa, in risposta al successo elettorale di Le Pen in Normandia, ne fa l’anamnesi
su “La lettura”. In risposta a Stefano Montefiori che, leggendo i suoi attacchi
alla sinistra di governo e all’Europa liberale come fedeltà a un sentito
popolare, gli chiede cos’è questo popolo, dettaglia: “Fedeltà a miei genitori,
fedeltà alla mia compagna che insegnava in una scuola media di sottoprefettura,
fedeltà a mio fratello che si occupa della manutenzione di una cava, fedeltà a
mia nuora che lavora in una mensa, fedeltà ai senza voce, ai poveri dimenticati
dalla classe politica al governo… Io ho questa doppia appartenenza: padre
operaio agricolo, madre donna delle pulizie, e nascita, studi e vita in
Normandia, tra villaggi e piccole città. Peraltro vivo ancora in Normandia”. Non
un’eccezione, un altro mondo.
Gasdotti
–
Sono stati l’idea dell’Eni, dell’Italia. Con l’Urss dapprima, a ridosso
dell’invasione della Cecoslovacchia nel 1968. Cinque anni dopo, a ridosso della
guerra del petrolio, con l’Algeria, e qualche mese dopo con l’Urss di nuovo per
il raddoppio. Una rete partita in ritardo per il veto americano, recepito in
Italia dai governi Moro II e III. Sbloccata quando la prima esperienza di
governo di Moro si concluse, a giugno del 1968.
Subito dopo l’Italia
fu una gara. Il cancelliere tedesco Brandt mandò la Deutsche Bank in avanscoperta
a Mosca, in cerca di forniture. La Francia cercò di riannodare il legame con
l’Algeria. Perfino Bruxelles prese a progettare gasdotti: l’Iran dello scià avrebbe venduto il gas
all’Urss, che lo avrebbe rivenduto in Europa.
Gli Usa protestarono,
anzi adottarono sanzioni: niente più turbine né pompe per l’Eni. Ma la General
Electric, che le fabbricava, si congratulò molto. A fine 1968 il boicottaggio
Usa cessò, con la vittoria di Nixon dopo il decennio democratico, di Kennedy e
Johnson. Henry Kissinger, da consulente del neo presidente Usa, propose
addirittura un gasdotto North Star, che collegasse il bacino dell’Urengoy col
mare di Barents.
Guerra
del petrolio –
Fu “chiamata” indirettamente dagli Usa. Ma anche direttamente, se si considera
che i proponenti della triplicazione dei prezzi del petrolio a ottobre del 1973
furono all’interno dell’Opec, l’organizzazione dei paesi esportatori di
petrolio, il governo saudita e lo scià di Persia, entrambi legatissimi a
Washington. Già da un paio d’anni esponenti americani di vario genere,
diplomatici, banchieri, economisti, incitavano gli arabi, che invece temevano
un aumento dei prezzi, al rincaro. Che
avrebbe ricapitalizzato l’imponente industria americana di estrazione degli idrocarburi.
Già il settimo Congresso Arabo del Petrolio, tenutosi al Kuwait dal 16 al 22
marzo 1970, aveva avuto a protagonista un diplomatico americano, James Akins.
L’episodio è così narrato da Astolfo, “Non c’è anarchico felice”:
“Il petrolio è
la manna nel deserto, il prezzo può raddoppiare e triplicare, l’Occidente non è
amico dell’Oriente. Sorrisetti e mormorii fermano l’oratore: gli arabi si
tolgono l’auricolare per confermarsi l’un l’altro di aver sentito bene,
accordandosi per la celia. L’oratore si ripete, esibendo diagrammi e
proiezioni, e i ruoli si rovesciano. Stella della Conferenza del petrolio arabo
diventa un diplomatico americano di seconda fila, James Akins, che s’accredita
per uomo di Kissinger neo segretario di Stato. Il più incredulo è Abdallah
Tariki, lo sceicco che fu ministro del Petrolio in Arabia per breve tempo,
essendo troppo nazionalista per le compagnie Usa. Mr Akins dice testuale: “Gli
arabi dovranno fare un giorno la guerra agli occidentali”. Tariki subodora un
tranello e lo grida al microfono:
- Fratelli, è
uno scherzo o una congiura. Vogliono mettere fuori mercato il petrolio arabo
troppo caro”.
Abdallah el-Tariki,
sceicco già di fiducia del fondatore della dinastia saudita, era stato il primo
ministro del Petrolio, nel 1960, proprio per l’Arabia Saudita, poi giubilato
perché nazionalista.
Islam
–
Antagonizzando l’Europa, e l’Occidente (incluso quindi Israele e il mondo
ebraico), si priva di una parte di sé, quella di cui fino a non molto tempo fa
andava più orgoglioso. Viaggiando nel mondo islamico e arabo prima di Khomeini,
la sensazione era comune di trovarsi non nel Terzo mondo, alieno, ma in un
mondo comune, solo meno organizzato e più povero. Comuni i linguaggi e le
aspirazioni. Senza il complesso del diverso. E senza basi per un revanscismo, malgrado
il recente passato coloniale europeo. Molto avendo preso, anche controvoglia,
ma molto avendo anche dato: filosofia, musica, poesia, lingua, cucina, alimenti
e abitudini alimentari, mentalità. Questo ovunque: in Tunisia e Egitto ma anche
in Algeria, e in Libia malgrado tutto, e naturalmente in Marocco, nella Siria
“retroterra” del Libano cristiano, e di più in Iran.
Si tenevano convegni, ancora negli
anni 1960, da una parte e dall’altra, sui comuni destini con l’Occidente. La
cronaca di un convegno alla Fondazione Cini a Venezia
nel 1955, organizzato dall’avvocato Carnelutti, sulle colpe del colonialismo e
dell’Occidente, che Piovene ha voluto pubblicare successivamente come “Processo
dell’islam alla civiltà occidentale”, registra invece analisi unitarie. Gli
intellettuali islamici convenuti citano il “Corano” a memoria ma sono tutti
integrati, occidentali. Tra il Sud e il Nord del Mediterraneo si vedevano solo
punti di contatto. Le linee di frattura
il decano del convegno, lo storico tunisino Hassan Husni Abdul-Watab, spiegava con
ingerenze esterne: “L’unità mediterranea è stata spezzata dall’invasione di
elementi nordici. Provenienti da una natura non dolce ma ostile, erano meno
disposti alla vita pacifica… Essi fecero del Mediterraneo il mare della guerra,
dei navigli nemici, delle lotte per i mercati. Questi conflitti di carattere
utilitario furono travestiti da conflitti ideologici. I signori feudali
presentarono l’islam sotto la veste di Anticristo”. Dai “figli del sole”
normanni in poi.
Leadership
–
Non c’è gioco di squadra senza. Si vede nello sport: nel ciclismo, nel calcio.
Il ciclismo sembra sport eminentemente individuale, ma è gioco di squadra per
un leader. La squadra di calcio senza leadership nei vari reparti non vince,
non gioca nemmeno.
Medio
Oriente – È
“americano” dal 1956, dalla guerra per Suez, nella quale Eisenhower sostenne la
nazionalizzazione e il colonnello Nasser, contro Israele, la Francia e la Gran
Bretagna. Ma non per caso, lo “sbarco” era l’esito di un’attenzione lunga tutto
il Novecento. Cominciata con l’assegnazione dopo la prima guerra a compagnie
americane delle ricerche di petrolio nello Heggiaz, la regione al centro dell’attuale
Arabia Saudita. Che guadagnò all’autoproclamatosi re dello Heggiaz, e poi
dell’Arabia Saudita, Abdelaziz Bin Saud, il sostegno del governo americano.
Il petrolio fu trovato presto una
diecina d’anni dopo, e l’attenzione negli Usa crebbe, consacrata nel 1943 dal
rapporto De Grolyer al presidente Roosevelt sull’importanza del bacino
petrolifero del Golfo Persico. Due anni dopo il presidente Roosevelt, viaggiando
per il canale di Suez sull’incrociatore corazzato “Quincy”, ricevette l’ancora
contestato re saudita, consacrandone il regime.
Verona – Più che il Congresso di
Vienna, che si chiuse quando ancora Waterloo non era stata vinta, fu quello di
Verona, una settimana di ottobre del 1822, convocato sempre dal cancelliere
austriaco Metternich, a sancire l’ordine reazionario in Europa. In reazione
alla sfida liberale del 1820-1821. “Non erasi mai
veduto in Europa un’egual fitta di corone e di intelligenze congiurate contro
il diritto dei popoli. Le cose in quel congresso, pubblicamente trattate,
furono: la tratta dei negri, la rivoluzione di Grecia, la rivoluzione di
Spagna; ma in sostanza lo scopo era di afforzare i vincoli della Santa Alleanza,
e di prendere arcani concerti contro tutti i futuri movimenti possibili”. Così ricordò
l’evento lo scrittore Francesco Beltrame, primo Ottocento, di Conegliano.
La Santa Alleanza era stata
creata a Parigi, dopo Waterloo, il 26 settembre 1815, da Austria, Russia e
Prussia. Con l’adesione successiva di Francia, Piemonte, Paesi Bassi e Svezia.
Verona sarà l’ultimo congresso dell’Alleanza, poiché tre anni dopo lo zar
Alessandro I, suo animatore, morirà, e l’Austria di Metternich perde sensibilmente peso nella bilancia dei poteri europea. La scelta del congresso del 1922 Metternich lasciò alle altre cancellerie, proponendo
una lista di città tutte italiana: Milano, Firenze, Venezia, Udine e Verona. Ci
presero parte l’imperatore Francesco I d’Asburgo-Lorena con Metternich, lo zar
Alessandro I col conte di Nesselrode, Chateaubriand per la Francia, il duca di
Wellington per la Gran Bretagna, il duca di Hardenberg per la Prussia, il re di
Sardegna Carlo Felice, il re delle Due Sicilie Ferdinando I, il granduca di Toscana
Ferdinando III d’Asburgo-Lorena, e un inviato del Vaticano, monsignor Spina.
astolfo@antiit.eu
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