“L’antisemitismo
si rivela resistente. Credere che l’antisemitismo è gli altri è una scappatoia.
Ciò che l’antisemitismo è, è l’«io»” – “l’antisemitismo è gli altri” è Sartre.
Trawny, uno degli ordinatori dell’opera omnia di Heidegger, non scantona. Ma
accanto alla palinodia del suo filosofo, “Heidegger e il mito della
cospirazione ebraica”, ha pubblicato un anno fa in contemporanea, in Francia,
questo saggio riequilibratore – molto più interessante, che però non si
traduce.
Qui non salva Heidegger ma lo situa (giustifica): il suo errare-errore
fa parte del suo concetto di erranza. Della provvisorietà - il farsi - di ogni
realtà, a cominciare dal pensiero. Che è fisso e mobile. Il pensiero è la
domanda, la ricerca, fino all’estremo (al sofisma):“La verità è, nella sua
essenza, non verità”. La verità è “erranza”, un
vagabondaggio filosofico. Dunque è il suo antisemitismo un errore? Trawny non
lo dice ma lo suggerisce. Ora, il nazismo forse sì. Ma a torto l’antisemitismo
si dice un errore: è un limite – lo stesso Trawny lo dice qui sopra. C’è a chi
gli ebrei non piacciono, neanche morti perseguitati. Per nessun motivo preciso,
certamente non Cristo o altra civiltà, ma perché si vogliono ebrei, non si
confondono. Il “giudaismo internazionale” che Heidegger mette sotto accusa nei “Quaderni neri” è il tema dei “Protocolli dei savi di Sion”, cioè della vera cospirazione internazionale, si situa storicamente. Ma è assunto in proprio, tanto più se il filosofo non si riferisce ai “Protocolli”, se non fa un errore storico.
Con
questo limite, Trawny redige un sussidiario esemplare, senza averne l’aria,
accurato e semplice, di Heidegger - e un contrappunto alla lettura invadente e
pasticciona di Derrida (“Heidegger e la questione”). Il sapere è un momento
della produzione della verità. Noi non possediamo un sapere, siamo sapere. “Il
carattere esemplare del filosofo non può essere reso che attraverso una messa
in racconto”, traduce Trawny. Come di ogni esistenza, secondo lo stesso
Heidegger. Ciò comporta la “finitezza della filosofia”. Nessun sapere
filosofico saprebbe rinunciare a un sapere oggettivo: filosofare presuppone
un’immensa conoscenza della filosofia. Tuttavia, verità e libertà avvengono,
per quanto le si curi, o le si trascuri, non si sistematizzano. È questa l’erranza, l’errare è umano.
La
finitezza s’intenda come rovesciamento del platonismo e della metafisica,
dell’eternità delle idee. È la finitezza, per di più, di un essere che va alla
fine, l’essere-per-la-morte. Un concetto originale ma non anodino. “Il suo
frutto catastrofico”, commenta Trawny, “è la fine della metafisica sui campi di
battaglia e nei campi di sterminio”. La guerra, lungi dall’essere la “purificazione del mondo”, che Heidegger
celebra nei “Quaderni neri”, lo tradisce: “Era l’ultimo e senza dubbio il più
arrabbiato ritardatore della modernità”. Ma, andrebbe aggiunto, con le stesse
armi che lui contestava: la modernità, la tecnica. “In lui”, spiega Trawny che
si è centellinato i “Quaderni neri”, “la Seconda Guerra Mondiale con tutte le
sue mostruose metastasi, fino alla Shoah e a Hiroshima, diventa l’espressione
d’una eruzione vulcanica alle dimensioni della storia mondiale: il mondo doveva
uscirne trasformato”. Ma non c’è peggiore tecnicismo (burocratismo,
insensibilità) di qulla
aa sua guerra.
aa sua guerra.
L’effetto
è doppiamente paradossale, o contraddittorio. Heidegger, il cui bersaglio è il
tecnicismo, lo erige a pilastro. La storia stessa dissolvendo nella tecnica -
isolati d’intimità e sensibilità saranno possibili, ma “fuori dal mondo”.
Inoltre - Trawny se ne accorge subito - per uno “che ha tanto celebrato lo chez soi”, la Gemütlichkeit e il Volk,
l’intimità e il popolino, “sia pure in un senso formidabilmente provinciale”,
per un tradizionalista, fin nei minuti adempimenti quotidiani, è bizzarro o
mostruoso invocarne la distruzione. Un aspetto trascurato, ma costante e
vivissimo in Heidegger, è il suo voler essere un “paesano”, contadino e
montanaro insieme, radicato dove è nato malgrado l’erranza. C’era un lato
localistico fortissimo in lui - in questa dimensione folkloristica rientra il
famoso esempio della “storia che avviene” quando l’aereo porta il Führer dal
Duce, più stolido che politico.
Dopodiché? Il fatto più importante, in tanta erranza, è
che non c’è nessuna autocritica – la critica di Trawny è nell’esposizione. Senza
autocritica per un motivo preciso, che è il fulcro della trattazione: se l’etica
è dell’erranza, essa è quella tragica, di Edipo, piuttosto che quella soppesata di
Aristetele. Ed è anche un’etica del “non-ritiro”: quello che è fatto è fatto.
Heidegger – terza contraddizione - preso al suo amo, dunque, impiccato alla sua
corda? “Edipo è l’uomo della storia”, Trawny si limita a sottolineare: “Erra
tragicamente, non responsabile né colpevole… Nel dispiegarsi della verità, la
responsabilità morale non è che un fantasma”. Nell’etica tragica di Heidegger
la libertà è “abissale”. Insomma, non c’è responsabilità. Assolvendosi così
preliminarmente, spiega Trawny, “Heidegger ha certamente ragione quando afferma
che l’etica della tragedia non è un’etica della vendetta, della colpa, né della
coscienza”. Ma c’è una differenza, va detto: Edipo si punisce (si acceca),
Heidegger no. L’erranza, conviene Trawny, “finisce in farsa, se non concerne
l’errante”.
Trawny, professore di filosofia in un’università di provincia
(Wuppertal), presidente dimissionario della Fondazione Heidegger, è l’editore
dei primi “Quaderni neri” di appunti del filosofo di Messkirch. Quelli dei
primi dieci anni da quando iniziò la pratica, fino al 1941 (ne tenne fino alla
morte nel 1976, in tutto 33 o 34 quaderni). Coniatore, nel libro che ha
pubblicato in contemporanea ed è stato tradotto (“Heidegger e il mito della
cospirazione ebraica”), dell’“antisemitismo istoriale” – dell’“antisemitismo
iscritto nella storia dell’essere”, per caso (per colpa ma non per dolo si
direbbe in tribunale, un’attenuante forte del delitto). Ha lasciato la
Fondazione dopo aver completato la pubblicazione dei primi “Quaderni”, in certo
qual modo dissociandosi.
Il
punto centrale dei suoi cerchi concentrici è liberatorio e angosciante:
l’“erranza”. Il “teatro dell’errore” di Heidegger: “La verità non avviene per
caso”, parafrasa Trawny, “ma per necessità, insieme all’avvenire dell’erranza”.
Magari di secondo grado: “Se possibile, Heidegger stesso può ancora sviarsi
parlando di erranza: l’idea stessa di erranza conduce alla divagazione”.
Heidegger è un filosofo senza etichette. La sua filosofia consiste
nel filosofare. Ed è fatta di domande più che di risposte. La sua filosofia
diceva “varchi, non opere” – “varco” glielo aveva suggerito Jünger, per il
quale “la patria di Heidegger” era la “foresta”: “Là è a casa sua, nella
foresta vergine e nei sentieri che non portano in nessun posto”. Ospite dell’inospitale? “Questo potrebbe
spiegare”, ipotizza Trawny, “che, quasi ineluttabilmente, il suo pensiero
s’impegna non soltanto su «sentieri che non portano in nessun posto» ma
semplicemente si svia”.
“L’uomo
è una Katastrophe”, dice Heidegger di
Hölderlin. Ma, nella sua essenza e singolarità, a chi altro deve il
catastrofico se non a se stesso? “Una storia senza colpevoli è insopportabile”, conclude invece Trawny. È che della guerra vediamo sempre la coda: la
catastrofe della Germania, con l’ignominia dell’Olocausto. Mentre si dovrebbe
ricordare che fino al 1942 la guerra era vinta, trionfalmente. Era di popolo,
era un tripudio, una festa, un banchetto. Il senso – non il mistero - di questi
“Quaderni neri” è che Heidegger li abbia conservati integri e con cura, e ne
abbia prescritto la pubblicazione. Perché conservare i “Quaderni” nella loro
integralità, così come si erano venuti
redigendo, quando tutti si sbarazzavano di lettere, pratiche e appunti, delle
foto ricordo e anche dei distintivi? Perché Edipo-Heidegger non è ammutolito, come altri nazisti, dopo la
guerra e anzi ha rivoluto con tenacia e furberia la cattedra? Perché per lui
non era finita: doveva solo passa’ ‘a
nuttata, come nella commedia di Eduardo – lo volle dire anche, da ultimo,
nell’intervista a futura memoria con lo “Spiegel”.
Peter
Trawny, La liberté d’errer, avec
Heidegger, Indigène éditions, pp. 67 € 7
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