martedì 13 ottobre 2015

Il pastore errante della filosofia

“L’antisemitismo si rivela resistente. Credere che l’antisemitismo è gli altri è una scappatoia. Ciò che l’antisemitismo è, è l’«io»” – “l’antisemitismo è gli altri” è Sartre. Trawny, uno degli ordinatori dell’opera omnia di Heidegger, non scantona. Ma accanto alla palinodia del suo filosofo, “Heidegger e il mito della cospirazione ebraica”, ha pubblicato un anno fa in contemporanea, in Francia, questo saggio riequilibratore – molto più interessante, che però non si traduce.
Qui non salva Heidegger ma lo situa (giustifica): il suo errare-errore fa parte del suo concetto di erranza. Della provvisorietà - il farsi - di ogni realtà, a cominciare dal pensiero. Che è fisso e mobile. Il pensiero è la domanda, la ricerca, fino all’estremo (al sofisma):“La verità è, nella sua essenza, non verità”. La verità è  “erranza”, un vagabondaggio filosofico. Dunque è il suo antisemitismo un errore? Trawny non lo dice ma lo suggerisce. Ora, il nazismo forse sì. Ma a torto l’antisemitismo si dice un errore: è un limite – lo stesso Trawny lo dice qui sopra. C’è a chi gli ebrei non piacciono, neanche morti perseguitati. Per nessun motivo preciso, certamente non Cristo o altra civiltà, ma perché si vogliono ebrei, non si confondono. Il “giudaismo internazionale” che Heidegger mette sotto accusa nei “Quaderni neri” è il tema dei “Protocolli dei savi di Sion”, cioè della vera cospirazione internazionale, si situa storicamente. Ma è assunto in proprio, tanto più se il filosofo non si riferisce ai “Protocolli”, se non fa un errore storico. 
Con questo limite, Trawny redige un sussidiario esemplare, senza averne l’aria, accurato e semplice, di Heidegger - e un contrappunto alla lettura invadente e pasticciona di Derrida (“Heidegger e la questione”). Il sapere è un momento della produzione della verità. Noi non possediamo un sapere, siamo sapere. “Il carattere esemplare del filosofo non può essere reso che attraverso una messa in racconto”, traduce Trawny. Come di ogni esistenza, secondo lo stesso Heidegger. Ciò comporta la “finitezza della filosofia”. Nessun sapere filosofico saprebbe rinunciare a un sapere oggettivo: filosofare presuppone un’immensa conoscenza della filosofia. Tuttavia, verità e libertà avvengono, per quanto le si curi, o le si trascuri, non si sistematizzano. È questa l’erranza, l’errare è umano.
La finitezza s’intenda come rovesciamento del platonismo e della metafisica, dell’eternità delle idee. È la finitezza, per di più, di un essere che va alla fine, l’essere-per-la-morte. Un concetto originale ma non anodino. “Il suo frutto catastrofico”, commenta Trawny, “è la fine della metafisica sui campi di battaglia e nei campi di sterminio”. La guerra, lungi dall’essere la “purificazione del mondo”, che Heidegger celebra nei “Quaderni neri”, lo tradisce: “Era l’ultimo e senza dubbio il più arrabbiato ritardatore della modernità”. Ma, andrebbe aggiunto, con le stesse armi che lui contestava: la modernità, la tecnica. “In lui”, spiega Trawny che si è centellinato i “Quaderni neri”, “la Seconda Guerra Mondiale con tutte le sue mostruose metastasi, fino alla Shoah e a Hiroshima, diventa l’espressione d’una eruzione vulcanica alle dimensioni della storia mondiale: il mondo doveva uscirne trasformato”. Ma non c’è peggiore tecnicismo (burocratismo, insensibilità) di qulla
aa sua guerra.
L’effetto è doppiamente paradossale, o contraddittorio. Heidegger, il cui bersaglio è il tecnicismo, lo erige a pilastro. La storia stessa dissolvendo nella tecnica - isolati d’intimità e sensibilità saranno possibili, ma “fuori dal mondo”. Inoltre - Trawny se ne accorge subito - per uno “che ha tanto celebrato lo chez soi”, la Gemütlichkeit e il Volk, l’intimità e il popolino, “sia pure in un senso formidabilmente provinciale”, per un tradizionalista, fin nei minuti adempimenti quotidiani, è bizzarro o mostruoso invocarne la distruzione. Un aspetto trascurato, ma costante e vivissimo in Heidegger, è il suo voler essere un “paesano”, contadino e montanaro insieme, radicato dove è nato malgrado l’erranza. C’era un lato localistico fortissimo in lui - in questa dimensione folkloristica rientra il famoso esempio della “storia che avviene” quando l’aereo porta il Führer dal Duce, più stolido che politico.
Dopodiché?  Il fatto più importante, in tanta erranza, è che non c’è nessuna autocritica – la critica di Trawny è nell’esposizione. Senza autocritica per un motivo preciso, che è il fulcro della trattazione: se l’etica è dell’erranza, essa è quella tragica, di Edipo, piuttosto che quella soppesata di Aristetele. Ed è anche un’etica del “non-ritiro”: quello che è fatto è fatto. Heidegger – terza contraddizione - preso al suo amo, dunque, impiccato alla sua corda? “Edipo è l’uomo della storia”, Trawny si limita a sottolineare: “Erra tragicamente, non responsabile né colpevole… Nel dispiegarsi della verità, la responsabilità morale non è che un fantasma”. Nell’etica tragica di Heidegger la libertà è “abissale”. Insomma, non c’è responsabilità. Assolvendosi così preliminarmente, spiega Trawny, “Heidegger ha certamente ragione quando afferma che l’etica della tragedia non è un’etica della vendetta, della colpa, né della coscienza”. Ma c’è una differenza, va detto: Edipo si punisce (si acceca), Heidegger no. L’erranza, conviene Trawny, “finisce in farsa, se non concerne l’errante”.
Trawny, professore di filosofia in un’università di provincia (Wuppertal), presidente dimissionario della Fondazione Heidegger, è l’editore dei primi “Quaderni neri” di appunti del filosofo di Messkirch. Quelli dei primi dieci anni da quando iniziò la pratica, fino al 1941 (ne tenne fino alla morte nel 1976, in tutto 33 o 34 quaderni). Coniatore, nel libro che ha pubblicato in contemporanea ed è stato tradotto (“Heidegger e il mito della cospirazione ebraica”), dell’“antisemitismo istoriale” – dell’“antisemitismo iscritto nella storia dell’essere”, per caso (per colpa ma non per dolo si direbbe in tribunale, un’attenuante forte del delitto). Ha lasciato la Fondazione dopo aver completato la pubblicazione dei primi “Quaderni”, in certo qual modo dissociandosi.
Il punto centrale dei suoi cerchi concentrici è liberatorio e angosciante: l’“erranza”. Il “teatro dell’errore” di Heidegger: “La verità non avviene per caso”, parafrasa Trawny, “ma per necessità, insieme all’avvenire dell’erranza”. Magari di secondo grado: “Se possibile, Heidegger stesso può ancora sviarsi parlando di erranza: l’idea stessa di erranza conduce alla divagazione”.
Heidegger è un filosofo senza etichette. La sua filosofia consiste nel filosofare. Ed è fatta di domande più che di risposte. La sua filosofia diceva “varchi, non opere” – “varco” glielo aveva suggerito Jünger, per il quale “la patria di Heidegger” era la “foresta”: “Là è a casa sua, nella foresta vergine e nei sentieri che non portano in nessun posto”.  Ospite dell’inospitale? “Questo potrebbe spiegare”, ipotizza Trawny, “che, quasi ineluttabilmente, il suo pensiero s’impegna non soltanto su «sentieri che non portano in nessun posto» ma semplicemente si svia”.
“L’uomo è una Katastrophe”, dice Heidegger di Hölderlin. Ma, nella sua essenza e singolarità, a chi altro deve il catastrofico se non a se stesso? “Una storia senza colpevoli è insopportabile”, conclude invece Trawny. È che della guerra vediamo sempre la coda: la catastrofe della Germania, con l’ignominia dell’Olocausto. Mentre si dovrebbe ricordare che fino al 1942 la guerra era vinta, trionfalmente. Era di popolo, era un tripudio, una festa, un banchetto. Il senso – non il mistero - di questi “Quaderni neri” è che Heidegger li abbia conservati integri e con cura, e ne abbia prescritto la pubblicazione. Perché conservare i “Quaderni” nella loro integralità, così come si erano venuti redigendo, quando tutti si sbarazzavano di lettere, pratiche e appunti, delle foto ricordo e anche dei distintivi? Perché Edipo-Heidegger non è  ammutolito, come altri nazisti, dopo la guerra e anzi ha rivoluto con tenacia e furberia la cattedra? Perché per lui non era finita: doveva solo passa’ ‘a nuttata, come nella commedia di Eduardo – lo volle dire anche, da ultimo, nell’intervista a futura memoria con lo “Spiegel”.
Peter Trawny, La liberté d’errer, avec Heidegger, Indigène éditions, pp. 67 € 7

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