giovedì 15 ottobre 2015

Il Sud stregato, sotto jettatura

“L’analisi del documento etnografico ha messo in evidenza, nelle campagne del sud, la sopravvivenza dell’antica fascinazione stregonesca, in connessione con altri stati magici affini, quali la possessione e l’esorcismo, la fattura e la contro fattura”. È l’epilogo che Ernesto De Martino appone ai tre saggi della raccolta, “Magia lucana”, “Magia, cattolicesimo e alta cultura”, all’interno del quale c’è posto per un “Regno di Napoli e jettatura”, e l’appendice “Intorno al tarantolismo pugliese”. Lucania, Puglia, dovrebbe trattarsi del Sud d’Italia. Che però è al contrario senza fascinazione, tanto meno antica, poiché è senza tradizioni e anzi senza radici.
Si riedita superbamente, per i cinquant’anni della morte di Ernesto De Martino, la sua opera più famosa – in parallelo con l’edizione economica Feltrinelli, che Galimberti introduce, qui già censita. Con introduzione sfarzosa a due voci, di Fabio Dei e Antonio Fanelli. E una fittissima serie di materiali preparatori. Come di una fucina ancora viva: “un contributo - modernissimo, addirittura precorritore - alla comprensione profonda dei modi e dei riti della cultura popolare che portano al riscatto dalla «crisi della presenza» in contesti di forte e perturbata criticità”. Mentre è la più caduca. 
Il Sud incatenato ai resti, si è detto, a persistenze inerti. Già all’epoca, 1958. Una lettura divertente, non fosse per la seriosità cui l’illustre storico delle religioni ambisce. Nel quadro della “non storia del Sud” – nel mentre che Pontieri, Placanica, Rosario Villari, Galasso la rinnovavano. Tutte cose remote, un po’ assurde anche per l’epoca. Senza contare che della “taranta” avevano detto molto di più, e comunque meglio, il Castiglione nei preliminari del “Cortegiano” e Leopardi in vari passi dello “Zibaldone”.
De Martino ne ha il sospetto, che nell’introduzione dice il confine labile tra “magia” e “razionalità”. E del “materiale relativo alla «magia lucana»”: “In generale il folklore religioso come coacervo di relitti disgregati che l’analisi etnografica astrae dal plesso vivente di una determinata società non è, nel suo isolamento, storicizzabile” – nell’isolamento cioè in cui la mette lo studioso. Ma la fascinazione non traccia negli stati psichici, che sono il suo luogo, anche morbosi. Privilegiando invece come modi interpretativi l’esorcismo, la religione (diavoleria), la superstizione, e come luogo fisico il Sud. Mentre il formulario della fascinazione che censisce non ha nulla di esoterico o cabbalistico: sono filastrocche, in italiano dialettizzato, quindi recenziori e imitative.
La jettatura De Martino nobilita con scritti “curiosi” tardosettecenteschi – che Dumas si approprierà nel “Corricolo”, il romando napoletano del 1840 – dicendoli di elevata qualità illuministica, insomma filosofica. Tali da comportare “la trasformazione della fascinazione”, dapprima a Napoli, e poi “da Napoli nel resto d’Europa”. Dove?
Per la “non storia” De Martino si appoggia a Croce. Che la storia del regno di Napoli diceva “ingrata”, ma è uno che si è divertito a rifarla in molteplici aspetti, compresi i teatri.
Un’opera buona cattiva?
Ernesto De Martino, Sud e Magia, Donzelli, pp. LI-414, ill., € 34

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