Savonarola fu anche poeta, di canzoni in musica - alla musica era stato educato da ragazzo. Il
brogliaccio noto come Codice Borromeo contiene, con alcuni componimenti altrui
e le letture, riflessioni e profezie da usare nelle prediche, anche quattordici
componimenti suoi: sei canzoni, tre sonetti e cinque laudi. Una produzione
esile, e non originale, su cui Giona Tuccini, professore di italiano all’università
di Cape Town, erige un piccolo monument critico – accompagnandolo da un’ampia
cronologia della vita.
Non è una novità, Savonarola ci è abituato. Ponderose analisi ha avuto
da studiosi anche molto laici, da Pasquale Villari a Luigi Firpo fino a, cinque anni fa,
Franco Cordero. Tuccini fa un’altra cosa: non lo guarda dall’esterno – la
storia, il contesto – ma dall’interno, come la persona si è evoluta, dalla
giovinezza ferrarese al rogo fiorentino, al “martirio”, e
dall’interno dei suoi scritti. Lo lega a Tommaso d’Aquino, quindi
all’ortodossia, e alla tradizione mistica, di cui il frate era imbevuto – “la
precoce intenzione di entrare negli annali della chiesa quale profeta e
capopopolo” Tuccini dice “divorante”. Ne mette in risalto la formazione
petrarchesca, con calchi numerosi – anche se di Petrarca fece bruciare in piazza
a Firenze i libri, insieme con quelli di Dante, e col “Decameron” e il “Morgante” dells sua bestia nera a Firenze, Luigi Pulci. Annotandone, delle laudi in cantabile settenari, il sicuro influsso delle canzoni
a ballo fiorite a Firenze intorno al Magnifico, altravbestia nera del Savonarola, e al Poliziano. Nonché uno o due
calchi da Jacopone e Feo Belcari.
Sulle orme verosimilmente di Dionisotti, altro illustre espatriato delle
lettere, Tuccini fa di Savovarola un poeta “settentrionale”. Era visto a
Firenze ancora nel 1496, alla vigilia della caduta, come “il Socrate ferrarese”,
ricorda. E conclude: “Le rime di Girolamo costituiscono una delle testimonianze
più alte e creative della poesia tardo-quattrocentesca di area settentrionale
(non fiorentina)”. Ma di questo non si vede come – a meno di non ridurre la
poesia di area settentrionale a calchi toscani.
Lo spiritaccio del domenicano è sempre caustico, ma su
linee pietistiche, della colpa e dell’impossibile redenzione. Da subito, quando
a vent’anni decise di farsi frate. “Pieno di “insistenti rintocchi obituari” lo
dice lo stesso curatore, specialista in proprio di letteratura religiosa (Medio
Evo, Bernardino da Siena, il Rinascimento cristiano, la cultura spirituale
primo-novecentesca). Su linee misticheggianti: “I leitmotiv della croce e dell’amore sponsale sono alla base del
misticismo occidentale combinati sinergicamente ai temi del nulla umano (in cui
Dio si incarna, divinizzando il soggetto), della tenebra divina (la noche oscura di sangiovannea fattura)”.
Il primo componimento intitola “De Ruina Mundi”. Ad
esso fa seguire due anni dopo un “De Ruina Ecclesiae”. Contemporaneamente redigeva
in latino un trattatello “De Contemptu Mundi”, il suo rifiuto del mondo. Ma
non senza ambizioni: il fondo delle sue riflessioni è, nelle parole di Tuccini,
“la mistica dell’infinita finitudine”, l’indiamento. Da ultimo nel martirio: il
martirio è il magnum argumentum del
dialogo “De veritate prophetica”, 1497 (“solo così Dio può fare di un peccatore
un santo”), ed echi se ne trovano nelle laudi. Il rogo verrà poco dopo, in
piazza della Signoria, il 23 maggio 1498. Un percorso che sembra lineare,
sebbene abnorme.
Un’edizione con un curioso contrappunto. L’animosità,
in tralice, rilevabile dalla note, di Franco Cordero, che a Savonarola dedica
ben quattro volumi, contro la prosodia e la poesia del frate: “Pastiche coniugal-genetico” dice del
brevissimo Salve Regina intitolato “Ad Virginem” – “brutti versi che non
meritavano tanto impegno calligrafico”. O “sfrenatamente mariolatrico, sebbene
maculista”. O della Ascensione: "Caleidoscopio teologal-astronomico". Vendetta di filologo? Arroganza di interprete?
Girolamo Savonarola, Rime, il melangolo, pp. 263 € 12
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